giovedì 30 aprile 2009

RICORDO SOPITO





Spengo la luce, sto per alzarmi dal tavolo di lavoro quando un ricordo mi affiora alla mente improvviso, netto.


Rimango seduto e rivivo la scena.


Esattamente venti anni fa un tipo strano volle a parlarmi di una visione che aveva avuto e che, secondo lui, sarebbe stata un’idea eccezionale per un film, un colossal tipo catastrofico-fantascientifico.


Piuttosto scettico gli dissi di esporre brevemente il plot e quello, con uno sguardo allucinato, cominciò con la prima scena: alba su new york, panoramica sullo skyline della città in controluce sul cielo rosato e in sottofondo una musica serena e rassicurante.


“Magari la Rapsodia in blue di Gershwin, come la scena iniziale del penultimo film di Woody Allen” ironizzai.


Quello continuò senza scomporsi, rapito dalla sua visione, descrivendo come improvvisamente un jumbo sarebbe entrato nell’inquadratura con un rombo spaventoso andandosi a schiantare contro la torre nord del WTC con una esplosione infuocata, pochi secondi e un altro jumbo avrebbe centrato l’altra torre e mentre i due edifici crollavano in fiamme voci fuoricampo avrebbero annunciato di altri aerei contro il Pentagono e magari contro la Casa Bianca.


Gli chiesi se la Pan American avesse dichiarato guerra agli Usa ma lui di nuovo non raccolse.


Allora, brusco, gli feci notare che la sua idea era totalmente inverosimile.


“Tutti sanno che le torri sono state progettate per resistere agli impatti aerei e che gli Usa hanno la flotta aerea migliore del mondo a proteggerli”.


Ma quello continuò farneticando di terroristi arabi, di un presidente Usa tonto e manovrabile, di dichiarazioni di guerra ad un paese straniero accusato di possedere fantomatiche armi di distruzione di massa.


E di scene di bombardamenti notturni e battaglie nel deserto con i pozzi di petrolio in fiamme sullo sfondo.


Bloccai il suo delirio e, calmo ma risoluto, gli dissi che lui era totalmente pazzo e che io non avrei più ascoltato quelle farneticanti follie.


Mi aspettavo una reazione violenta.


Quello invece si alzò pacato, aprì la porta, mormorò: “Tra venti anni” e andò via.


Un ricordo completamente sopito che mi sale alla memoria in maniera così prepotente e lucida.


Proprio ora.


Sarà che sono passati esattamente venti anni.


Sarà che adesso il mio ufficio è al piano 87° della torre nord del WTC, ma sento una sensazione di angoscia serpeggiarmi dentro e mi manca l’aria.


Tremo.


E’ la stanchezza, decido.


Meglio che vada a riposare prima che sia io ad impazzire sul serio.


Domani è già 11, ho tanto lavoro da fare.

martedì 28 aprile 2009

PICCOLE STORIE D’AMORE

Raccontami storie d’amore…

Grandi storie d’amore?

No, piccole! ...piccole storie d’amore

Va bene, questa l’ho letta tempo fa, probabilmente inventata ma bella.
Lui e lei si conoscono e si amano da sempre. Sono entrambi obesi. Si sposano e magari hanno anche dei figli. Poi dopo anni lei decide di dimagrire.

Vuole cambiare, sente che può affrontare un problema che ha sempre evitato, deve trovare una parte di se che ancora non conosce. Lo capisco

Ma lui no! Vede tutto questo come un tradimento: lei distrugge il loro mondo piccolo e perfetto.

Anche questo lo capisco, mantenere il proprio nido, il guscio che li protegge dal resto del mondo. Un mondo in cui sono partiti svantaggiati dalla condizione fisica.

Due esigenze forti, umane e totalmente divergenti. Tutto si lacera inevitabilmente, è il dramma, la disperazione di lui, lei combattuta da sentimenti contrastanti, la separazione inevitabile.

Due necessità legittime ed inconciliabili
….e quindi una storia vera….
Dammene un’altra….

Lei cerca lui. Lui è uno che si prostituisce, giro chiuso, clienti: solo donne e selezionate. Lei gli racconta che ha fatto di tutto per trovarlo e fargli una proposta: una notte d’amore, anzi la notte d’amore, l’unica della sua vita e lei vuole che sia perfetta.

L’unica notte d’amore della sua vita… vuole un momento unico ed indimenticabile. E perché lui?

Perché vuole un professionista che conosca perfettamente l’arte del sesso. Ma la sfida che lei lancia è questa: vuole sentirsi amata oltre che scopata,è questa la perfezione che chiede. In cambio lei lo farà tanto ricco che non avrà più bisogno di vendersi.

E lui… capisce che lei non scherza e che la sfida è vera?

Si e questo lo inquieta. È turbato.

Scappa, lo so. L’amore è una sfida troppo forte. Anche per una sola notte.

E se lui accettasse? Se si prestasse a questa sfida assurda?

Non riuscirebbe. Anzi sarebbe lui ad innamorarsi di lei. Io immagino questa donna come una persona speciale. Lui ne subirebbe il fascino.

Il professionista cinico che vede improvvisamente crollare tutte le sue barriere protettive e si ritrova come un giovane inesperto di fronte ad una donna vera.

Si perché le altre lo usavano come un attrezzo e basta. Questa gli chiede amore come prestazione.

Ingenua e romantica come una rivista per adolescenti.

No, non mi freghi col sarcasmo. Ogni volta che si parla d’amore tu ti barrichi dietro ironie che trovo irritanti.

Non litighiamo, dai.

Non stiamo litigando. Parliamo, e mi piace. E queste piccole storie sono belle ma tristi. Raccontami una storia d’amore piccola bella e felice.

Va bene ….
Allora
Lui e lei sono sdraiati sul letto e si guardano negli occhi. Lei dice “raccontami storie d’amore” “grandi storie d’amore?” ”no,piccole!…piccole storie d’amore” ….

domenica 26 aprile 2009

IN TRENO




Un uomo seduto vicino al finestrino
Una ragazza sfoglia una rivista
Un uomo nascosto dal giornale che sta leggendo
- Buongiorno è libero quel posto?
- Ci sono seduto io, signora.
- Anche lei come me adora stare vicino al finestrino
- Il posto di fronte è libero
- Ma io devo stare seduta nella direzione in cui viaggia il treno, altrimenti ho nausea e conati di vomito improvvisi.
- Prenda pure il mio posto, signora.
- Le dispiace se leggo?
- Legge a voce alta?
- Magari lei ama conversare
- Anche a me piace leggere in treno. Ecco il mio libro.
- Ma che combinazione! Anche io ho un romanzo di Ausonio Piumacchi
- Scusate è proprio buffo, ma anche io ho con me un libro di Piumacchi
- Tutti e tre con libri diversi ma dello stesso autore. Una coincidenza proprio curiosa. Il mio comunque è un saggio storico: “la corriera di cossiga”.
- Interessante?
- Guardi, il lavoro di documentazione ed analisi è accurato, c’è passione e direi anche competenza nel trattare gli argomenti.
- Le piace allora
- Mah. Le tesi sono molto interessanti, si, ma lo stile è troppo assertivo, perentorio direi, quasi aggressivo, c’è quasi del piacere narcisistico nel personalizzare così l’esposizione. Secondo me un saggio scientifico deve essere più neutro nei toni. Sinceramente preferisco altri stili. E il suo romanzo?
- Si intitola “Babbut”. All’inizio, quando ho capito che parlava della storia di lavoro e delle lotte operaie, ho temuto che fosse uno di quei libri retorici, pesanti e pure un po’ tristi. Invece tutto al contrario. La lettura è stata scorrevole e a tratti anche divertente.
- Me lo consiglia allora?
- Che le devo dire? Il protagonista è chiaramente l’alter-ego dell’autore. E a me pare che sia un po’ troppo indulgente con il suo personaggio. Insomma si auto-assolve. Io credo che si dovrebbe essere più severi con se stessi.
- Io ho comprato “Il liberal-socialista” quando è uscito il film, quello con Scamarcio. Però il mio fidanzato, che ne capisce di libri, ha letto il libro prima di me e mi ha detto di lasciar perdere. Lui l’aveva letto proprio tutto e gli pareva una “ prolissa autolatria”. Allora l’ho accantonato, il libro intendo. Poi però ho lasciato il mio fidanzato e per fargli un dispetto ho ripreso il libro.
Il signore nascosto dietro il giornale che stava leggendo sempre più nervosamente, lo chiude con un gesto improvviso si alza prendendo la sua borsa e, prima di uscire, si ferma si volta e fissa gli altri tre: - Ma annate un po’ a fanculo! - Era Ausonio Piumacchi."

sabato 25 aprile 2009

BATTAGLIA NAVALE


La luce del sole entrava dalle finestre scorrevoli dell'aula e inteporiva l'aria rendendo ancora più soporifera la voce monotona del professore che espletava la sua funzione docente con annoiata meccanicità. Roteando il capo alla ricerca di qualcosa che mi impedisse di addormentarmi incontrai lo sguardo di Bonfanti Alessio, un figlio di papa anzi in questo caso di generale o ammiraglio, uno che ci teneva sempre a mostrare la sua superiorità sia con i compagni che con i professori. Veniva a scuola accompagnato da autista e, quando si degnava di rivolgere la parola a qualcuno, parlava sempre di onore e dignità e delle armi di suo padre generale o ammiraglio. Che, per uno di terza media, a me faceva un po' ridere ma un po’ mi metteva in soggezione. Un atteggiamento competitivo compusivo, mi hanno spiegato dopo, comunque il bonfanti in genere, vinceva le sue sfide. Un cucciolo della razza padrona, chiosò mio padre quando gliene parlai. Coperto dalle spalle del compagno davanti, mi mostra un foglio a quadretti con due quadrati bordati in orizzontale dalle lettere da A a L e in verticale dai numeri da 1 a 10. Chiaro: una sfida a battaglia navale. E' l'ultima mania dello stronzo, ormai ha già battuto tutti. Sono uno dei pochi che manca. A gesti, senza farsi vedere dal professore, mi spiega che i compagni che siedono ai nostri lati faranno da garanti e verificheranno che nessuno bari. La flotta è quella classica: una corazzata da 4 caselle, due incrociatori da 3, 3 cacciatorpedinieri da 2, e 4 sommergibili da 1. Tentenno, un po' per timore che il professore ci veda e ci punisca, un po' per timore della sua abilità nel gioco. Ma non posso tirarmi indietro. E sia! Schiero la flotta sul riquadro di destra cercando di immaginare quali possano essere i posti più adatti. Comincia lui. Acqua. Poi io acqua. Andiamo avanti per un po'. Poi lui mi colpisce un incrociatore. Esulta in silenzio. Mi rifaccio, colpisco qualcosa. Lui continua, mi rendo conto che la sua è una tattica studiata a tavolino. Traccia con una serie di colpi delle linee, dividendo il campo. Io vado più che altro a culo. Continua a colpire i miei pezzi. Le cacciatorpediniere da due me le fa fuori subito quasi tutte. Io vado spesso a vuoto poi centro qualcosa e perdo tempo a finirla: è un incrociatore da 3 ma ci vogliono troppi colpi. Intanto lui si accanisce sulla mia povera corazzata. La mia rabbia si stempera immaginando il dramma dei minimarinai che cercano di scampare al naufragio in quel mare quadrettato. Continuo a colpire a vuoto per un po' poi rintraccio le sue cacciatorpedieniere e ne affondo due in rapida successione.
E' meno baldanzoso il bastardo, per un momento mi pare preoccupato, poi mi fissa di nuovo truce e mi gela con un colpo preciso che becca uno dei due miei sottomarini superstiti. Situazione disperata: ho un solo sottomarino e l'incrociatore colpito all'inizio e evidentemente vuole finire con calma. Lui due sottomarini e la corazzata.
Sparo una lettera e un cifra a caso: colpito. Cavolo è la sua corazzata! Lui fa una smorfia ma poi si ricompone, sa che è in netto vantaggio. Cerca ancora il mio sottomarino per poi finire l'incrociatore. Io mi accanisco sulla corazzata. Lui scientifico non si scompone più continuando la sua ricerca. Ho segnato i suoi colpi vedo che restringe molto il campo di azione. Lui spara: acqua. Tocca a me: colpito il sottomarino! Si! sono in vantaggio io adesso. Gliene rimane solo uno!
Freme, io godo, ma subito mi gela con una combinazione alfanumerica che per me potrebbe essere la formula del più potente dei veleni. Ha affondato l'ultimo mio sottomarino. E dai colpi tirati puà capire la posizione del mio incrociatore danneggiato. Praticamente due colpi e mi affondera tutto. Lui ha solo un sottomarino, ma è un'unica casella in un mare quadrettato che mai come ora mi pare sterminato. Ghigna luciferino. Sudo. Due colpi, sparo il primo, guarda il suo foglio, si fa serio, poi si gira verso di me e, allargando il sorriso più beffardo che può, mi dice:”Acqua!” Poi lascia partire un colpo preciso sul mio incrociatore che ormai immagino in preda alle fiamme e in procinto di affondare in un gorgo tipo la nave di Achab. E lui è la balena bianca che ride con tutti i suoi enormi fanoni. L'ultimo colpo per me, poi sarà finita. Punto la matita su una delle caselle bianche, quasi sfondo il foglio, come se volessi infiocinare il capodoglio ghignante alla faccia mia, e sparo. Lui non si muove, il compagno vicino, il garante, che lo stava spalleggiando fa una faccia strana e si tira indietro, lui non si muove e ancora non parla. Allora mi alzò, sento che il brusio della voce del prof che ha fatto da sottofondo a tutta la battaglia si è interrotto, ma non mi interessa, metto una mano su foglio di Bonfanti Alessio e lo abbasso sul banco in modo da poterlo leggere. Il suo sottomarino superstite era proprio nella casella che avevo appena indicato : SIIIIIIII! T'ho fregato BASTARDO!” mi ritrovai ad urlare.
Chiaramente finii dal preside. Tre giorni di sospensione e il rischio di non essere ammesso agli esami di terza media. Sudai per superarli. Bonfanti Alessio invece si ritirò dalla scuola, frequentò scuole private, accademia militare e via di seguito. Quest'anno si candida come sindaco. Razza padrona. Quasi quasi lo voto.

venerdì 24 aprile 2009

EFFETTO DOMINO


L’appuntamento era dietro casa subito dopo mangiato. Mario arrivò 10 minuti dopo di me. “Ma che ti sei portato appresso a tua sorella?”
Prima di rispondere serrò le labbra gonfiando la bocca come faceva ogni volta che si sentiva in difetto. “I miei non vogliono che resti sola, che combina un sacco di guai”
“e che guai può fare una bambina di 10 anni?”
“pensa che la settimana scorsa ha preso tutte le medicine dall’armadietto del bagno, le ha pestate tutte insieme e le ha fatte mangiare al cane dei vicini. Quelli si sono incazzati con i miei”
“ma mica possiamo fare la missione con lei appresso”
“tanto questa non parla quasi mai e poi magari ci aiuta”
“Ma se è una femmina di 10 anni”
“Pure tu hai 10 anni”
“si ma io sono maschio. Uffà, vabbè andiamo, però se la missione fallisce è tutta colpa tua”
Volevamo introdurci nella “casa”, un edificio abbandonato ad un piano circondato da un muro scrostato e semidirupato. Passammo da una breccia sul lato opposto alla via principale e attraversammo il giardino incolto che sembrava la jungla di sandokan vista in tv la sera prima. Io aprivo la pista spostando i rami e nel farlo mi accorgevo del tremore delle mie mani. Volgendomi indietro incontravo il volto pallidissimo da Mario quasi incollato alla mia schiena. La sorella ci seguiva più distaccata, con aria assente, ma certo a lei non tornavano in mente tutte le storie che gli altri ragazzini ci avevano raccontato sulla “casa”, non solo diavoli, streghe, fantasmi, ma soprattutto vampiri. La missione era appunto trovare la coppa d'oro nascosta là dentro che, secondo quel ciccione di Saverio, raccoglieva i denti da latte che i vampiri cambiavano diventando grandi. Chi li trovava poteva diventare invisibile, diceva Saverio, Mario invece diceva che facevano volare chi se li metteva in tasca. Saverio si mise a canzonarci, e quindi partì la sfida e la nostra missione.
Le porte e le finestre erano tutte sbarrate, girando intorno notai che sotto il terrazzino di ingresso, sul cui parapetto erano allineati una seria pieno di vasi di coccio pieni di scheletri vegetali, c'era una finestrella semiaperta. “Da lì” sussurrai a Mario, lui annuì e mi spinse avanti. Mi introdussi a fatica tanto era stretta l’apertura., il posto era buio e con quell’odore di umido e di polvere che ti riempe subito naso e gola. Mi mossi verso la porta semiaperta , mentre Mario cercava di entrare come avevo appena fatto io, bisbigliando qualcosa alla sorella che come al solito non rispondeva. Urtai qualcosa che, con effetto domino, fece crollare una serie di ombre nere causando un fracasso terribile. Mi bloccai e, quando sentii una voce cavernosa sbraitare da dietro la porta che stavo per raggiungere, mi si gelò il sangue. In preda al panico mi precipitai verso la finestra. Mario era già schizzato chissà dove e io mi arrampicai su oggetti marci e pieni di ragnatele cercando di uscire e intanto sentivo che qualcuno o qualcosa era entrato nella stanza ruggendo. Ero quasi completamente all’aperto e mi accingevo a correre quando mi sentii afferrare per una caviglia. Non ebbi il coraggio di guardare indietro, cercai di scalciare ma inutilmente, mi sentivo tirare verso quella voce che rideva e bestemmiava. Le porte dell’inferno sembravano essersi spalancate, i capelli dritti in testa per il terrore volevano bucarmi il cranio, le mie mani disperate cercavano di afferrarsi all’erba che si strappava facilmente, quando un rumore secco de improvviso spezzò quella risata demoniaca , la presa sulla mia caviglia si allentò. Non riuscii a muovermi per chissà quanto poi sentii di dovermi girare e vidi la testa dell’uomo schiacciata da un pesante vaso di coccio. Alzai lo sguardo lentamente scorrendo il muro centimetro dopo centimetro fino al bordo del parapetto del terrazzino, da cui mancava uno dei vasi. Al suo posto vedevo le spalle e la testa della sorella di Mario con uno sguardo che non ho mai saputo definire.
Da allora stiamo insieme, prima amici poi fidanzati e presto ci sposeremo. Lo ha deciso lei, come sempre, e quando io, come sempre, ho cercato di obiettare mi ha fissato negli occhi ed io, come al solito, ho rivisto lo stesso sguardo che aveva su quel terrazzino tanti anni fa.
E allora, come al solito, lascio che sia lei a decidere.

giovedì 23 aprile 2009

LA NOTTE CHE SALVATORE SALVO' (!) LA CITTA'


“Alle giostre! Alle giostre!”
Salvatore si affrettava con il suo carrettino carico di bruscolini. Le giostre attiravano gente e quindi buoni affari per lui che amava il suo lavoro di bruscolinaro. Ombrello sotto braccio, come sempre anche se era bel tempo, e cappello in testa, a passi brevi ma veloci, girò l’angolo della chiesa pronto a rispondere ai saluti di tutti, che Salvatore il sindaco lo conoscono tutti e tutti lo ascoltano quando espone le sue incredibili idee per abbellire la città facendosi grandi risate.
Rimase a bocca aperta di fronte a quello spettacolo inaspettato. Nessuno sulla giostra dei calcinculo, nessuno a fare la fila alla cassa,nessuno in giro a passeggiare, nessuno a chiamarsi l’un l’altro da lontano, nessun bambino a piangere per lo zucchero filato. Nessuno.
Strizzò gli occhi Salvatore, incredulo.
- “E’ uno scherzo, mi fanno sempre gli scherzi, si sono nascosti”
Lui lo capiva quando gli facevano gli scherzi ma assecondava lo stesso, perché lo scherzo è come una favola e, a quelle, Salvatore ci credeva. Mise il carrettino in quello che riteneva un buon posto per la vendita e cominciò ad affacciarsi agli angoli nascosti.
- “Cucù! …cucù!”
Al quarantottesimo cucù Salvatore si arrese: non c’era davvero nessuno.
Si sedette, posò ombrello e cappello, sbuffò e si grattò la testa, questo scherzo non gli piaceva. Si prese la faccia paffuta tra le mani e decise di aspettare. Intanto avrebbe lavorato su una nuova idea per fare la città più bella.
Il suono meccanico della giostra che cominciava a girare su se stessa fece ruotare anche lui. Le luci si accesero mentre gli altoparlanti cominciarono a diffondere la musica. Bello, comincia la festa, ma la gente dov’è? Tutto accelerò improvvisamente, la giostra sempre più vorticosa con i sedili allungati in orizzontale che quasi non si distinguevano più, e la musica, velocizzata, trasformata in un suono indistinguibile. Poi silenzio improvviso.
Due figure si materializzano di fronte a lui. La prima somigliava ad una lavatrice con i piedi, la seconda ad un bidone aspiratutto. Avanzarono verso Salvatore che li guardò con curiosità più che con sorpresa. Come quando il bidone cominciò a parlare.
- “Salvatore, veniamo da un pianeta lontano per incontrarti.”
Momento di pausa. Salvatore inclina la testa di lato.
- “Questo è l’ambasciatore e io il portavoce. Il nostro pianeta è tecnologicamente molto avanzato e le nostre città gareggiano per superarsi in bellezza ed efficienza. Siamo in grado di fare tutto ma il nostro limite è la fantasia. Ti spiamo da anni e ci siamo ispirati alle tue idee.”
- “Le idee mie?”
- “L’edizione scorsa abbiamo realizzata quella dei fuochi di artificio che esplodendo facevano le immagini dei santi, per questa l’idea del mare in città”
- “Si ma sopra, così quando cammini per strada alzi una mano e ti prendi un pesce”
- “Proprio quella, è stata un grandissimo successo. Grazie a te”
- “Bello … bello”
- “L’ambasciatore vuole ringraziarti realizzando le stesse cose qui nella tua città”
- “Che bello come saranno contenti tutti i bimbi … gli amici”
- “No, loro no”
- “Ma siii! Ai bimbi piacciono i fuochi di artificio e il mare e…”
- “Loro non ci saranno, li porteremo via insieme a tutti gli altri. Sono capaci solo di ridere alle tue idee e non le meritano. Rimarrai tu, vero sindaco della città, e nessuno altro”
- “ ..e gli amici?”
- “Nessuno”
- “…e il compare?”
- “Nessuno”
- “..e la comare?”
- “Nessuno”
Silenzio. Salvatore fissava alternativamente il bidone e la lavatrice.
- “No…” mormorò piano
- “NO” gridò, con la voce incrinata come stesse per piangere, e colpì con l’ombrello prima la lavatrice e poi il bidone
-“NO … i bimbi… gli amici …la comare ..e per loro che voglio fare tutto, è per loro il mare, per loro il cinema con la banda e la madonna con l’elicottero e i fiori che si gonfiano e diventano sedie…”
E continuava a colpirli con l’ombrello finché un raggio uscì dall’oblo della lavatrice paralizzandolo.
- “Ehm …Salvatore un momento, forse troviamo un accordo”
disse il bidone ruotando continuamente sul suo asse rivolgendosi sia all’umano che alla lavatrice. Cominciò a girare intorno alla lavatrice il cui oblò continuava a cambiare colore passando da colori accessi e caldissimi a quelli freddi ed intensi fino a che si assesto su un lillà pallido. Allora il bidone si rivolse di nuovo a Salvatore.
- “Facciamo un patto: tu continuerai qui sulla terra insieme ai tuoi amici, ai bimbi, alla comare e al compare ad inventare nuove idee e noi avremo il diritto di sfruttarle sul nostro pianeta”
L’oblo della lavatrice cambiò improvvisamente l’intensità del colore
- “.. in esclusiva”
aggiunse il bidone ristabilendo la precedente.
- “Stampo subito un atto, visto che sono un modello traduttore-notaio … ecco qui ora l’ambasciatore con suo laser lo sigla … e ora tu”
Mostrò il foglio a Salvatore che ancora arrabbiato ci sputò sopra.
- “Perfetto il tuo DNA in forma salivare va più che bene. Così il patto è sancito. Addio Salvatore”
Di nuovo l’effetto precedente con le luci, la giostra e la musica che riprendono lentamente per poi accelerare ed intensificarsi e quindi, dopo aver raggiunto un livello quasi insopportabile, ritornare alla normalità o quasi. Salvatore,che aveva chiuso occhi e orecchi, li riaprì piani piano ritrovandosi al centro della festa con la giostra dei “calcinculo” che girava piena di gente, gente in fila alla cassa, altri che passeggiavano, altri ancora che si chiamavano da lontano, qualche bambino che piangeva per lo zucchero filato. Si guardò intorno con gli occhi lucidi incantato dalla festa, finchè si sentì tirare per la giacchetta
- “Salvato’ me lo dai o no ‘sto pacchetto di bruscolini?”

mercoledì 22 aprile 2009

FOTOTERAPIA

Con gli occhi cisposi ciabatto per casa. Erano le tre, stanotte, serata alcolica, di quelle di una volta. Cattivo sapore in bocca e cattivo umore. Mi sento prigioniero della mia testa. Evadere, come? Accendo il pc, un giro su FB magari aiuta. Che fa il mondo? Post vari, tentativi di umorismo abortiti, grida di dolore, appelli sessuomaniaci travestiti da intellettualismi ritorti, …
”…I’ll send an S.O.S to the world,
I’ll send an S.O.S to the world …”
E questa?
Strana foto con invito/provocazione:”cos’è?”
dunque, immagine di una serie di macchie di luce oblunghe tante, quasi una texture... come quegli strani giochi di luce che i raggi di sole, filtrando attraverso la serranda, facevano sulle tende in camera di mia madre. Li guardavo incantato, nascosto sotto il letto, mia madre mi chiamava: “andiamo da zia”. Non ci volevo andare, mi offriva sempre l'orzata e guai a rifiutarla, la zia si offendeva. Venivo costretto a trangugiare quella roba bianca e viscida nel suo piccolo giardino, seduto tra vasi su cui, con una poltiglia bianca, erano incollati conchiglie di varie forme - chissà dove li trovava – e cercavo di distrarmi fissando le ginocchia sbucciate di quel bambino di cinque anni che ero.
E quest’altra foto?
Allora … questa è Mariapierina, una vecchietta molto pia. Quando ha visto tutta quella gente incamminarsi tutti insieme, ha pensato che fosse una processione, magari un po’ strana. Meglio chiedere all’Adalgisa, la vicina, che è una che ha studiato, sa leggere e scrivere. E quella, la vicina le ha detto che si, era una processione, anche se diversa, ma oggigiorno i giovani che si avvicinano alla religione inventano nuovi modi per stare insieme e professare la fede, una volta li ha visti suonare la chitarra in chiesa. Lei adora stare insieme ai giovani anche se non sempre li capisce. E le due amiche, con un crocefisso in mano ognuna, hanno cominciato a camminare insieme a quella gente. La Mariapierina, intanto guardava intorno a sé rapita e chiedeva all’Adalgisa. Questa elaborava le impressioni comunicate dall’amica e forniva la risposta.
- “NO TAV c’è scritto sui cartelli!” chiede Mariapierina. Per l’Adalgisa deve essere qualche iscrizione tipo INRI, che non si ricorda bene che vuol dire, ma era sicuramente religiosa, prova ad indovinare
- “Forse … forse … Nuovo … Ordine … Talare ... Avanti Vescovo!”
- “E che vuol dire?”
- “Non lo so! Ma quando non si capisce basta la fede”
- “Ah, giusto!”
La folla festante si incontra con un altro gruppo tutto vestito di nero con scudi e manganelli che avanza in direzione opposta.
- “E questi chi sono?” ha chiesto Mariapierina,
- “Vediamo – ha detto l’Adalgisa, alzando un po’ gli occhiali per mettere meglio a fuoco - ma si, questi in nero sono i flagellanti”
- “Flagellanti?”
- “Ma si, quelli che si picchiano da soli per dimostrare il loro amore per il Signore”
- “Ma sei sicura? Mi pare che questi invece stanno prendendo a bastonate gli altri”
- “Ma non capisci proprie niente. Lo fanno per aiutarli a pentirsi, ad esorcizzare i loro peccati. Quelli in nero sono troppo buoni, invece di purificarsi loro, preferiscono purificare gli altri! Che generosità d’animo!”
E Mariapierina è commossa, gli atti di bontà disinteressata le hanno sempre fatto versare lacrime e anche stavolta non si smentisce.
Intanto mi è passato il cattivo umore.
“… I hope that someone gets my,
I hope that someone gets my,
I hope that someone gets my,
message in a bottle, yeah...”

martedì 21 aprile 2009

SELF CONTROL

Mi raccontò che, appena incontrata, aveva capito subito che doveva muoversi “col freno a mano tirato”: lei giovane, ingenua e inesperta; lui maturo, consapevole ed esperto; e che “i primi tempi tutto era sotto controllo”. Lui gestiva il rapporto con responsabilità sapendo che nessuno dei due “doveva lasciarsi travolgere dall’onda dell’emozione, che anzi bisognava saperla cavalcare come un surfista, dominandola fino a quando giunta a riva si spegne, e allora si può scendere senza quasi rimaner bagnati”. Lui, in quanto uomo capace di grandi passioni, e lei, in quanto essere implume e fragile, “dovevano essere protetti dal dolore che si prova quando i sentimenti obnubilano la mente”.
E quando lei era dovuta ripartire, lui, immediatamente, aveva deciso che era necessario interrompere il rapporto “prima che le radici diventassero troppo profonde e strapparle potesse provocare sofferenze insopportabili” ma lei insisteva, non se la sentiva di troncare così, brutalmente, e allora va bene, piccola, ma vedrai.
Facile profeta. Lei poco a poco si staccava, ma lui capiva, lo aveva previsto e sentiva di avere il controllo. Maturità ed esperienza di vita.
Poi, non aveva capito bene come e quando, si era ritrovato a scrivere lettere appassionate, a registrare discorsi con il mare in sottofondo, a prendere all’improvviso treni ed aerei, a camminare di notte da solo in città straniere finendo in un pub a bere e a parlare con sconosciuti in lingue che non ricordava di conoscere al punto di sostenere conversazioni, a passeggiare solitario il 31 dicembre in riva al mare guardando l’orizzonte nella direzione presunta di lei.
Oggi ho telefonato e sono andato a trovarlo. Ho citofonato più volte, nessuna risposta. Il cancello era aperto e così la porta finestra del terrazzino che da sul giardino. Sono entrato e l’ho trovato seduto con lo sguardo vuoto. Tutto bene, si, dovevo scusarlo ma si sentiva così apatico e svuotato che non ha realizzato che doveva rispondere. Stava riflettendo. Sapeva che se si fosse innamorato avrebbe pagato pegno, ma va bene, lo aveva messo in conto. Poi una serie di metafore che però non ho ben capito. Però va bene, dai.
Ma si, non è il caso di preoccuparsi. Sta reagendo, lo conosco bene e so che ha tante risorse. Gli serve solo un po’ di tempo. Lo saluto e lascio che si immerga di nuovo nel suo ”stato di torpore rigenerante”.
Esco, chiudo il cancello e mi giro di nuovo verso casa sua.
Mi fa così pena e tenerezza che quasi non mi accorgo di quanto lo invidio.

LA CLAQUE

Vorrei fare un pezzo ora ma ho bisogno di un favore. Mi occorre una claque. Sapete cosa è, no? Quando c’è la battuta ridete, ogni tanto un applauso qualche “bravo”. Non è onesto, dite? E mica sono le risate finte della tv, roba precotta, finta, di una tristezza. La claque no, anzi. Vi ricordate “un’americano a roma”? “Santi Bailor” interpretato Sordi come garanzia sulla sua qualità di artista dice che il nonno ha fatto “le clacchette co’ Ermete Zacconi”, grande attore della Roma primo novecento.
La claque aveva la sua dignità e dovevi essere bravo per farne parte, dovevi saper ridere sonoramente per trascinare gli altri spettatori, applaudire a tempo con la battuta, in pratica la claque era parte integrante dello spettacolo. Era ed è legittima difesa. Legittimissima contro un nemico subdolo, infame, che aspetta col fucile puntato. Appena un attore si affaccia al proscenio lo individua al primo sguardo. Lo riconosce dalla postura tipica, dall’espressione del viso e soprattutto dallo sguardo, quello sguardo che fissa negli occhi l’attore e gli lancia la sfida: “famme ride”.
Si mette di punta, come quando da ragazzini giocavamo “a chi ride prima” e ci fissavamo reciprocamente negli occhi sforzandoci di rimanere seri. Per vincere, pensavi alle disgrazie peggiori, se serviva ti mordevi la lingua. E così questo infame che fa finta di ascoltare e invece si concentra sulle corna che gli ha messo la moglie (e ha fatto bene), sulle tasse, sulla politica, se juventino su calciopoli, magari si infligge le unghie nella carne pur di non divertirsi. Non riderebbe neanche torturato con una piuma sotto i piedi. E se una sera sono in due, che ogni tanto si scambiano tra loro uno sguardo di intesa, è una tragedia. Stanno li passivi, sanno che possono distruggerti solo con lo sguardo e farlo è il loro massimo piacere.
Io mi faccio un culo così a scrivere lo spettacolo, a montarlo, a organizzare tutto, e tu godi a distruggermi alzando un sopracciglio ogni tanto e sbadigliando? Ma ti anniento io, con l’aiuto delle mie truppe scelte: la claque. La claque che ride e partecipa e più è brava più il nemico si intimorisce, lo travolge con gli applausi a scena aperta, così che gli nasce il dubbio dentro, pensa “forse sono io che non ho capito la battuta”, diventa insicuro e un nemico insicuro è un nemico battuto, conquistato, vinto. Ci vuole la claque. Serve la claque.
E ci vorrebbe sempre una claque nella vita quando quello che hai costruito viene messo in dubbio da uno stronzo annoiato.

lunedì 20 aprile 2009

UNO DI LORO

Uno dei primi ricordi che ho è di me bambino, non avevo ancora compiuto cinque anni, che gioco davanti casa di nonna ed un adulto, forse mio zio, che mi dice “stasera c’è la partita in tv” con una faccia indecifrabile, come se mi confidasse uno dei più grandi segreti della vita.
”Che cosa che?”chiesi ignaro, abboccando all’amo, “poi vedi” fu la risposta infame che mi tenne sulle spine fino al momento in cui tutti i maschi di famiglia si radunarono di fronte al televisore per la cerimonia dell’accensione.
Il vecchio tv in bianco e nero di nonna aveva una rigorosa procedura da seguire: prima accendere lo stabilizzatore, una scatola metallica color verde posta sul piano inferiore del mobile tv, attendere che l’”occhio” diventasse rosso, poi spingere il pulsante dell’apparecchio televisivo e attendere di nuovo che le valvole si scaldassero per poter funzionare.
Tutto questo comportava un tempo di attesa indefinito, in genere molto breve per programmi noiosi come “canzonissima” o gli sceneggiati tv ed invece lunghissimo per i cartoni animati, almeno cosi mi pareva.
Quella volta a tutti sembrò una eternità e questo, anche se io non potevo capirlo, era un buon segno.
Quando finalmente lo sfrigolio dello schermo annunciò l’arrivo delle immagini ricordò che mi allungai in tutto il mio metro e basta di allora verso lo schermò: finalmente avrei saputo.
E la prima immagine che vidi fu quella di un uomo in calzoncini e maglietta scuri che fissava una palla bianchissima e sfocatissima ai suoi piedi vicino ad una bandierina, seppi dopo, del corner.
All’improvviso una figura completamente bianca entrò nell’inquadratura travolgendo uomo, palla e bandierina.
“Cazzo!”avrei gridato se avessi saputo che si diceva così, ma essendo un bambino di nemmeno cinque anni mi limitai ad un suono strozzato.
Chi è, cosa è, come è, ditemi ditemi. Gli adulti presenti mi gratificarono di poche spiegazioni smozzicate tutti presi da quelle immagini e da quella voce eccitata che usciva dall’apparecchio.
Afferrai cose come, calcio, milan, scnhellinger.
Ricostruii a fatica, quello era il calcio, lo faceva qualcosa che si chiamava milan, e c’era uno tutto bianco con il numero tre sulla schiena che faceva quelle entrate pazzesche, proiettando in aria palloni, bandierine (del corner) e avversari.
Quella incredibile scossa di adrenalina mi sconvolsè e tutta la tensione che avvertivo negli adulti intorno mi confermava che quello era uno spettacolo stupefacente.
Non mi ricordo altro ma ormai ero uno di loro.

domenica 19 aprile 2009

SENTIRSI DA DIO

“Cari allievi questa parte del museo è dedicata ad un periodo particolare della nostra civiltà.
Tutto cominciò quando una ditta lanciò un nuovo prodotto con lo slogan “sentirsi da dio”: un pupazzo color argilla a grandezza naturale.
Il cliente, tramite apposito software, trasmetteva le caratteristiche fisiche e mentali desiderate e quindi, con il contatto del proprio dito indice con quello del prodotto, dava la scintilla vitale: la creatura era viva a tutti gli effetti.
Il software conteneva alcune limitazioni per esigenze etiche, ma queste furono facilmente crackate e chiunque poteva creare un individuo vero e proprio, del tutto uguale a noi.
I coniugi insoddisfatti creavano l’amante perfetto, anzi se lo regalavano a vicenda.
Il single disperato realizzava per se la partner ideale con un patchwork di pornostar .
Una baby-sitter costava un patrimonio? Bastava farsela in casa.
Non si trovano più calzolai/idraulici/artigiani? Compravi una creatura e la programmavi.
La collega non te la dava? Ne creavi una copia e la programmavi ninfomane.
Un successo clamoroso! E gli effetti furono notevoli, anche quelli giuridici. Infatti subito nacque un movimento politico per i diritti delle “creature” in quanto essere viventi, compreso il diritto di voto. I partiti cominciarono a crearsi gli elettori. Invece che convincere qualcuno a votare era più facile creare direttamente l’elettore perfetto: fedele e totalmente acritico.
Qualcuno cominciò a fare scherzi cretini creando ibridi sempre più mostruosi, con l’inserimento di caratteristiche animali e vegetali. La situazione divenne insostenibile.
Fortunatamente le creature originali duravano poco e presto la moda passò.
Ma gli ibridi invece cominciarono a riprodursi tra di loro diventando presto un problema per la sopravvivenza del pianeta intero. Inoltre erano maleducati, incapaci, rumorosi, sporchi, litigiosi, volgari: bisognava liberarsene ma la nostra cultura non ci consentiva soluzioni drastiche.
I viaggi spaziali erano già abbastanza progrediti e questo consentì di trovare una soluzione.
Gli ibridi furono selezionati per caratteristiche e vennero individuati i pianeti adatti a loro, ma fu posta particolare attenzione a che i peggiori andassero il più lontano possibile.
Qui potete vedere le riproduzioni oleografiche dei gruppi principali.
Quelli? I più brutti?
Secondo le cronache erano anche i più violenti e volgari.
Quelli furono inviati al limite della galassia, sul terzo pianeta del sistema solare per essere precisi, la Terra”.

sabato 18 aprile 2009

LA STRADA

Il folle urla.
”Assassini!!!!”
Tutte le mattine alla stessa ora. Ci si potrebbe regolare la sveglia.
Per la verità quasi tutte le mattine. Ogni tanto varia, così tanto per divertirsi e l’altra mattina l’ho sentito in dormiveglia ed ho pensato:”cacchio già le otto!” invece erano ancora le sei, evidentemente si era svegliato prima e aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro.
Altre volte cambia l’anatema e urla “delinquenti!!!!” e all’inizio viene il dubbio che sia un altro, poi riconosco la voce e mi rassicuro: nulla di nuovo sul fronte interno.
Per il resto della giornata non si vede e non si sente, alla mattina invece, come se si fosse autonominato muezzin di quartiere, si affaccia al balcone e benedice la comunità con il suo personale buongiorno.

Ormai sono affezionati, qui in zona. La strada è in una zona semiperiferica, anzi a giudicare dalle consuetudini di quelli che qui abitano da sempre è periferia vera. Forse è meglio dire che è una specie di paese, tanto che la strada è vissuta come un prolungamento comune dei cortili delle case.
Già nella prima mattinata, in un paio di punti lungo il marciapiede, è solito vedere spuntare una testa di ponte di sedie di plastica bianca e sdraio di tela a cui se ne aggiungono così tante altre durante il giorno che il marciapiede non basta più e si comincia ad invadere la carreggiata. La strada è della gente di questa via, una sorta di spazio comune della comunità.
I due punti di aggregazione sono in chiara concorrenza tra loro. Si trattano con cortesia e rispetto ma in realtà sono due compagini che si dividono lo stesso terreno. Ultimamente uno dei due gruppi tende a rimanere di più nei propri cortili senza invadere il marciapiede. Si sentono sconfitti o tentano un rilancio in versione moto carbonaro?
L’atteggiamento verso chi non appartiene alla comunità è comunque lo stesso. Il forestiero che si trova a passare viene scrutato con sospetto, studiato per capirne le intenzioni. Si accende un meccanismo simile a quello che hanno gli aerei militari per l’identificazione amico/nemico. Finché non si accerta o si crede di averlo fatto, l’allarme rimane in funzione. Chiaramente il concetto di privacy è pura fantascienza. Nei punti in cui si formano questi raduni spontanei a cui i partecipanti si autoconvocano si celebra il sacro rito della condivisione. Condivisione di qualunque cosa, ma soprattutto dei cacchi altrui. Come in qualunque sana comunità.

Oggi la vicina, una ragazza dell’est ha deciso che fa caldo ed è il caso di fare la doccia in giardino con il tubo di gomma in reggiseno e perizoma. Rimango per un quarto d’ora a pulire la stessa finestra.
Mezz’ora dopo è sul balcone di fronte a stendere la biancheria e mi tocca pulire per un quarto d’ora la finestra corrispondente.

Il pensionato spazza il cortile davanti al garage e raccoglie 14 viti piccole 2 grandi e graffette varia, le mette in fila e considera con attenzione quelle che potrebbero bucare una ruota. Così avrà un argomento di conversazione a tavola.

A sera, mentre le sedie di plastica e le sdraio di tela rientrano nelle rispettive case in buon ordine, quattro ragazze vicine di casa più o meno coetanee, parlando tra loro a voce alta, riempiono una macchina per andare in un nuovo locale di tendenza appena aperto sulla spiaggia: pavimento in legno, tende che salvano la privacy e impediscono la visione esterna, musica a palla che non si sente il rumore delle onde, cuscini a terra incensi vari, praticamente potresti essere in qualunque posto della terra anche in alta montagna. Fichissimo. Le figli e i figli, essendo tutte e quattro separate sono state affidati a nonni, televisori e playstation in ordine crescente di importanza. I padri, questi strani inevitabili incidenti, orbitano intorno ai cazzi loro e non possono essere presi in considerazione. Anzi quella che guida ci tiene a specificare che da poco se lo è ripreso in casa dopo la separazione ma adesso s'è stufata di nuovo e quasi quasi lo caccia un'altra volta.

venerdì 17 aprile 2009

RACCONTO TATTOO

- Pronto?
- Senti che voce. Non hai dormito per niente eh? racconta voglio tutti i particolari.
- Ma che ore sono?
- Lascia stare. Voglio sapere tutto. Ero strasicura che quel tipo era adatto per te. Ti ho costretta a parlarci perché mi sono accorta di come lo guardavi e di come lui ricambiava. Adesso raccontami tutto, ogni dettaglio. Me lo devi
- Beh, non ricordo proprio tutto. Non ricordo di cosa abbiamo parlato al pub, niente di importante, ma il tono della voce, il modo di parlare, come muoveva gli occhi…
- Si vabbè. Ma poi dove siete andati da te o da lui?
- Da me
- Eh! Lo sapevo, fai la santa, l’altezzosa ma quando ti capita l’occasione subito al sodo, sei proprio maiala. Racconta su!
- Avevi ragione. Sintonia totale tra noi. Tutto quello che faceva o diceva mi risuonava dentro. Anche lui era completamente preso. Siamo finiti a letto quasi subito e abbiamo cominciato a fare l’amore, però…
- Però…?
- Non riuscivo a lasciarmi andare. Mi piaceva da impazzire, lo voleva ma continuavo a fissarmi su tutti quei disegni che aveva sulla pelle
- Tatuaggi? Ne aveva così tanti? E allora?
- E’ stato dolcissimo. Mi ha sorriso, mi ha accarezzato e, senza che chiedessi nulla, ha incominciato a raccontare. Anni fa si era trovato in un paese straniero in piena guerra civile e aveva conosciuto una ragazza. Un giorno lei lo ha preso per mano e lo ha portato a vedere “un miracolo”, così aveva detto. L’ha condotto in una casa di campagna semidistrutta dalle bombe e gli aveva mostrato l’unico muro rimasto integro. La parete era piena di nomi, segni, date, e piccoli disegni di vari tipi e genere. Un insieme complicato e affascinante. Lei gli aveva spiegato che da generazioni le donne anziane della famiglia avevano preso la consuetudine di segnare solo su quella parete l’altezza crescente dei bambini della famiglia. Col tempo qualcuna aveva sentito il bisogno di segnare anche altre cose che riguardavano la vita dei componenti della famiglia. Avevano cominciato cosi a stabilire un codice grafico sempre più raffinato e rigoroso che raccontava ogni evento di ognuno. Non solo matrimoni, nascite, separazioni, ma anche sogni, speranza, dissidi, dissapori. Quel muro, per chi possedeva il codice, raccontava tutta la vita e tutti i segreti di quella famiglia. Lui rimase stordito da quell’immagine e decise che avrebbe fatto lo stesso con la sua vita ed il suo muro sarebbe stata la sua pelle. Da allora in poi ogni evento ogni emozione, ogni sogno, ogni speranza, lui lo scrive sulla sua pelle, tutti i suoi segreti sono raccontati lì e chi conosce il codice è in grado di leggerli. Così ho cominciato ha chiedere il significato di un segno e lui mi ha raccontato una storia, poi un altro e così via fino all’alba.
(continua)

mercoledì 15 aprile 2009

fantacronaca o quasi

la triste serata di cantalupo è iniziata con un viaggio in macchina interminabile (5ore!)causa continui errori di tragitto così che siamo giunti sul luogo in netto ritardo. digiuni , non c'era tempo di mangiare nulla, siamo corsi alla nostra postazione.
comunque ci sentivamo confortati perchè tanta gente era accorsa per assistere all'ultima serata e la piazza era gremita.
tutti pronti ai posti assegnati, ultimi variazioni sulla scaletta, brontolii dello stomaco. attesa. intanto ci giungeva dalle altre postazioni musica, risate, applausi. dopo venti minuti che ancora non si vedeva nessuno, zaphod si è affacciato al'ingresso della nostra piazzetta e si è accorto che la gente a quel punto tornava indietro oppure sciamava nei vicoletti bui a destra e sinistra pur di non passare da noi.
consulto generale dell'anonima, decidiamo di avvertire gli organizzatori che ci rispondono che provvederanno subito.
infatti la gente arriva. prima una coppia che dopo un rapido sguardo attraversa di corsa la piazzetta senza darci tempo di accennare l'inizio di un racconto. poi un gruppo di tre persone. questi camminano e ci sorridono dirigendosi verso l'uscita. infami. ci accorgiamo che si sono messi anche i tappi di cera per non sentirci.
secondo consulto generale dell’anonima, questo più combattuto. questa opportunità va sfruttata: ci devono ascoltare! decidiamo di offrire 10 euro a chi si ferma e ascolta almeno tre racconti.
la prima coppia che accetta ascolta il primo racconto poi va da zaphod, gli restituisce i soldi e se ne va.
il gruppo successivo ci risponde che ci daranno loro 20 euro se li facciamo passare senza disturbarli. ci accordiamo per 30.
poi però, a forza di insistere e di investire, riusciamo a raccogliere un piccolo gruppo dopo cinque minuti questi però cominciano a discutere tra loro. c'è chi vuole andarsene, chi vuole rispettare l'impegno e tenersi i soldi, qualcuno a cui facciamo pena e piange per noi, uno con le cuffiette celate sotto un cappello che finge di ascoltare e ogni tanto fa si con la testa, poi ad un certo punto strilla "goooool!" e si mette a correre per la piazzetta. "gol! forza rimini!!!" mah!?!?. la discussione tra i membri del gruppetto sale di tono e noi non riusciamo più a declamare. alla fine scoppia una rissa tra loro, botte calci, insulti. se la prendono anche con noi. consulto rapido degli anonimi che decidono di rifugiarsi nell'appartamento messo a disposizione dagli organizzatori in attesa che si calmi la situazione. dieci minuti e la piazzetta è vuota. sono le 11.00 oramai. consulto tattico-strategico degli anonimi: basta! se maometto non va alla montagna..decisione: andiamo in piazza dove tutti si riuniscono a fine serata per mangiare, leggeremo lì davanti a tutto il paese. galvanizzati dall'idea del blitz ci organizziamo . tutti in piazza ci arrampichiamo sui "bambocci" le statue poste all'ingresso del borgo vecchio e, mentre tutti mangiano, cominciamo la lettura acrobatica.
dopo cinque minuti tutto il paese è intorno a noi.
gli sguardi fissi e accigliati. una delegazione composta dal sindaco, tutta la giunta,e gli organizzatori viene avanti con il megafono il sindaco ordina alla popolazione di mantenere la calma e ribadisce che non saranno tollerate atti di violenza non espressamente autorizzati seduta stante da lui stesso, massima carica del paese. poi sempre col megafono, si rivolge a noi che stiamo a due metri da lui e ci ordina di andare immediatamente via dal paese altrimenti avrebbe autorizzato il linciaggio.
alla piazzola dell'autogrill, dove finalmente siamo riusciti a mangiare un tramezzino insipido e che ha causato problemi intestinali a tutti, viola compresa, consulto dell'anonima per un bilancio della serata.
"beh dai non è andata così male, è vero potevano dare fuoco alle nostre auto e non l'hanno fatto, dobbiamo curare di più i dettagli secondo me, la scaletta, la scaletta non funziona così, la scaletta va bene non funziona la tua capoccia che non sai leggere, io non so leggere? ma perchè non ti fai un ripasso della grammatica con la scusa che sei autodidatta scrivi da cani ,scusa viola, ma pensa alle stronzate che scrivi tu cretino, a chi stronza, imbecille, rimbambito..."
finale: fermati dai carabinieri per rissa nella piazzola dell'autogrill ci hanno trattenuti in caserma fino all'alba per le generalità, dopo siamo stati rilasciati anche perchè continuavamo a leggere i nostri racconti pure dietro le sbarre....

lunedì 13 aprile 2009

la tinta


….allora ...aprire i contenitori, …mescolare il prodotto, …applicare, …attendere, …risciacquare ..è la prima volta che uso ‘sta tinta …mah …. quella ha insistito “spendi troppo per capelli, ti porto prodotto da mia terra buono e costa poco” …machittelacchiesto!… io poi …non riesco a dire di no…mah speriamo che non bruci …e che non dia prurito… altri due minuti….però ….che sensazione curiosa… mah!… mo tolgo l’asciugamano… sembra tutto a posto… il colore non è granché …mi piacerebbero un po’ più scuri… teh! mi è sembrato che siano diventati più scuri….non è possibile …eppure…. vabbene, allora li vorrei proprio neri….. cazz..!… so’ diventati neri corvini… ma che fica ‘sta lozione! …un’altra prova: rossi! …maddai so’ diventati rossi da non crede’ ….ancora: biondo cenere! ..po…! che fico! ….biondissimi!!! un’altra prova: ricci! ..dai! …. fichissimi …adesso li vorrei lisci, lisci, lisci, liscissimi! …..ma è troppo fico ….stasera quando torna lo faccio ammazza’ dalle risate: i capelli a comando! ….intanto mi metto un po’ di crema… oh ma… ‘ sta ciocca s’è allungata e …m’ha preso la crema!…ci riprovo: spugna! po…!… troppo fico… basta pure che lo penso e basta ...mmh... faccio una prova... vado in cucina …mi siedo e ...dai!… posso anche leggermi il giornale mentre i capelli sparecchiano, lavano i piatti e mettono a posto… alè! i capelli fanno tutto …e io mi posso rilassare …anzi magari mentre loro fanno le pulizie io ripasso quei passi del corso di danza che proprio non mi vengono…. metto il cd … e vai con la musica… dunque … ma che succede? … una parte dei capelli mi avvolge ..e … mi fa muovere … a tempo con la musica.. cavolo! …a tempo…e i passi …perfetti… fico, ….oddio, ...pure troppo… invece di una ballerina mi sembra di essere una…marionetta … però sono contenta.. si festeggia… faccio una cena… che mi piace troppo cucinare… e vai: pasta con le sarde! … eh no!….i capelli fanno tutto loro… non riesco a fare neanche una cosa... uffà... allora preparo il secondo ...no… ancora i capelli che mi anticipano ….e non mi fanno fare nulla ….non vale … così non mi piace… io che faccio????

ciao …sei tornato.
dai, … non fare quella faccia, per favore….
….sto così male tutta rasata? ….va pure di moda, no?
..si …si … colpa di quella tinta... è che non mi piaceva come erano venuti i capelli…. troppo…..invadenti
NO, non la buttare!!!
….magari … quando mi ricrescono i capelli… ci riprovo!

domenica 12 aprile 2009

REMsistenza

MARIA E I FIGLI
“Ragazzi preparatevi che vi accompagno a scuola”
“Mamma non ho fatto i compiti, non ci voglio andare”
“Io voglio cambiare la maglia che mi hai comprato ieri. Hai sbagliato colore!”
“Magari ho sbagliato a comprarla che hai già l’armadio pieno”
“Io non ci vado a scuola, che quel ciccione di Manuel mi rompe sempre le palle”
“Mamma quel colore mi sbatte, non posso andarci a scuola, figuriamoci in giro!”
“ Allora, tu dillo alla maestra ma senza specificare che è un ciccione e tu tranquilla, che la maglia te la cambierò io durante la pausa pranzo, magari con il consiglio della tua amica che fa la commessa in quel negozio”
“Solo alla principessa compri le cose, a me non hai comprato niente! Io non ci vado a scuola!”
“Perché io sono brava a scuola, non sono un somaro come te, piccoletto”
“Qui non si fanno preferenze anche tu sei un principino e oggi comprerò un regalo anche per te, non ti preoccupare,”
“Allora voglio un gioco per il pc: il superbuzzsgranaossa ”
“Io entro alla seconda ora comunque”
“E va bene, allora ricapitoliamo: nell’ora di pausa dal lavoro invece di mangiare tranquillamente il mio pranzo andrò a comprare il gioco per il pc per il principino azzurro ed a cambiare la maglia per la principessa sul pisello”
“Mi raccomando, non sbagliare il gioco: il superbuzzsgranaossa, ….quello zlx 3000 ”
“Mi raccomando, non sbagliare il colore stavolta”
“Agli ordini, miei nobili affamatori da favola”


IL SOGNO DI MARIA CON I FIGLI
“Ma guarda chi c’è fuori dalla mia casetta: il principino azzurro e la principessa sul pisello. Così vestiti mi ricordate due miei piccoli amici, Hänsel e Gretel, una volta ho avuto il piacere di averli a pranzo”
“Buongiorno signora, andavamo in giro per il bosco e abbiamo visto la sua villetta”
“Si, è così carina, tutta colorata, ha anche un buon odore, peccato per tutte quelle mosche”
“Vedo che vi piace la mia casa. Avete già mangiato la cassetta per la posta, il tappeto di benvenuto ed il campanello”
“Quando ho suonato il dito mi è rimasto appiccicoso e così mi sono accorto che era fatto di caramello”
“Poi sa com‘è l’appetito vien mangiando e…”
“Almeno la posta potevate risparmiarla, che vi credete che le bollette le addolciscono con il miele? Ma accomodatevi piccoli ingordi e continuate pure a mangiare. Sono buone le sedie? Ed il tavolo?”
“Buonissime! Tutto cioccolato fondente!”
“Hai provato le posate? Buone! E la consolle in arte povera ? Possiamo mangiare anche il chippandale?”
“Certo cari principino, io intanto vi preparo un bagno caldo in questo pentolone sul fuoco!!!”
“ Posso sbafarmi questo puff fatto di marshmellow??”
“E io mi volevo sgranocchiare quella chaselonge di marzapane. Bella. Design moderno?”
“Si, scuola bavarese! Ed ora, prima che mi finiate tutto l’arredamento che mi costa un occhio, venite a farvi il bagno!”
“Eh ma è veramente bollente!”
“Ed è anche piena di verdure”
“Si serve per depurare l’organismo, sapete con tutti quei grassi saturi, il colestero eccetera non c’è niente di meglio di carne in brodo”
“Ma ci vuole mangiare? “
“Non può farlo! Siamo pesanti da digerire!”
“Lo so ho già preparato un alkaseltzer gigante e dopo avrò tutto il tempo per rilassarmi. Zitti ora che devo mettere il coperchio sul pentolone! Devo proprio decidermi a comprare una pentola a pressione!”

MARIA E IL LAVORO
“Buongiorno, caro”
“ciao, ma che avevi stanotte? Parlavi continuamente nel sonno”
“Ah si? E che dicevo?”
“Boh, arte povera, chippandale, pentole a pressione, a volte sorridevi …”
“Chissà! Forse ho voglia di cambiare l’arredamento di casa. Ciao caro, scappo che faccio tardi al lavoro”

“Maria!”
“Eccomi dottoressa, ”
“Maria, si ricorda della pratica della società di cui abbiamo parlato ieri? Bisogna preparare un elenco della documentazione necessaria”
“Si, dottoressa. Ho preparato la scheda relativa, lo schema per la documentazione da allegare e ho già inoltrato le istanze per la richiesta presso gli uffici competenti”
“Ah si? E dove è finita la pratica ora?”
“E’ in archivio, dottoressa, al suo posto, ecco gliela prendo io ”
“Certo Maria, se tu cataloghi le cose a modo tuo mi spieghi come faccio io a trovarle. Bisogna usare un ordine che sai comprensibile anche agli altri, capisci? Non puoi usare solo un tuo modo personale di tenere in ordine le cose, un ordine che comprendi solo tu, capisci?”
“Capisco, dottoressa. Colpa mia che pensavo che l’ordine alfabetico fosse ormai universalmente accettato ”
“E poi ti ho detto mille volte di non toccare la mia scrivania, perché quello che alla tua mente semplice appare come caos in realtà è un ordine complesso per menti allenate a ragionare ad alto livello, capisci?
Se tu metti a posto credendo di fare ordine scompagini questo equilibrio delicato e io non ritrovo più nulla, capisci?
Ma dove cazzo sta quel timbro maledetto?
“Provi a guardare nel cassetto con su scritto ”timbri”
“Qua dentro? Eccolo! Che stavo dicendo? Ah si, oltretutto Maria, ma lo capisci che mi devi ringraziare, perché io sto qui , ti insegno anche la professione, ti pago per un lavoro che fai male… lo capisci? e ma che ne diresti se un giorno io chiudo lo studio, ti lascio qui a fare chissacche, e me ne vado su un isola deserta a farmi servire i cocktail da negri muscolosi , eh? Che ne diresti?
“Direi che quell’isola non sarebbe poi così deserta. Comunque capisco, dottoressa, capisco

MARIA E IL SOGNO DELLA DOTTORESSA
“Dottoressa, si svegli”
“Come? Ah sei tu Maria. Ma che ci fai a casa mia in piena notte?”
“Sono venuta ad avvisarla che c’è stato un incendio: lo studio è andato completamente distrutto”
“Lo studio?!? Tutto distrutto? Ma come è possibile? L’allarme non ha funzionato? I pompieri sono arrivati tardi”
“L’allarme non ha funzionato e i pompieri sono arrivati tardi. Tutto distrutto”
“E adesso? Come facciamo? Non è rimasto più niente!”
“No, non è esatto. Si ricorda che negli ultimi tempi io rimanevo un po’ di più in studio? Ne ho approfittato per fare delle copie di sicurezza delle cose veramente importanti. Quelle sono al sicuro”
“Brava Maria, brava, stavolta sei stata davvero brava. Ma come le hai selezionate le cose importanti? Sei sicura di quelle che hai scelto?”
“Non si preoccupi, dottoressa. Lo studio l’ho sempre portato avanti io, mentre lei si dedicava alle pubbliche relazioni, e io so come funziona l’archivio generale, quello principale e lo schedario segreto”
“Lo schedario segreto? L’archivio generale? Quello principale?”
“Mentre lei frequentava l’università io già lavoravo qui con suo padre, il senatore. Suo padre è un uomo meticoloso, pignolo, ha sempre avuto il pallino di controllare tutto e tutti. Negli anni si è creato uno schedario segreto con cui tiene in mano vari personaggi, sia nel campo della politica che in quello economico. Pensi addirittura in quello accademico. Non si è mai chiesto come ha potuto laurearsi senza aprire mai un libro?”
“Ma che dici? Maria … “
“Dico che negli anni il senatore ha cominciato a perdere qualche colpo e ha avuto bisogno di qualcuno che organizzasse e aggiornasse il suo schedario e quel qualcuno ero io. Qualcuno che portasse veramente avanti lo studio e quella ero sempre io. Mentre lei, dottoressa, continuava a fare di tutto meno che occuparsi della attività professionale”
“Ma allora tu…”
“Allora non è completamente stupida. Certo. L’incendio allo studio l’ho appiccato io, dopo aver manomesso l’allarme. Prima ho organizzato tutto”
“Che vuoi dire? Maria mi fai paura”
“Visto che praticamente sono io a gestire tutto ho fatto in modo che tutto il denaro che è passato per lo studio negli ultimi cinque anni finisse su un mio conto personale, in questo modo potrò smettere di lavorare. Poi ho trasmesso copie della documentazione dello schedario un po’ a tutti, magistratura, giornali, partiti politici, movimenti vari in modo che sia impossibile insabbiare la cosa.”
“Ma tu così mi hai rovinato, io mi ..”
“Lei è meglio che stia calma. Tra le varie persone che verranno messe nei guai dalla pubblicazione della documentazione dello schedario del senatore ci sono anche personaggi in odor di mafia. Quelli si che vorranno subito vendicarsi, le conviene quindi cercare di scappare il più lontano possibile”
“Tu dici che vorranno farmi al pelle? Si, hai ragione quegli amici di papà che anche in casa nostra giravano con la pistola! Hai ragione! Ma, ma io come faccio, non so ..”
“Non si preoccupi, lo so che lei non è in grado neanche di prepararsi la colazione da sola. Ma il mio scopo è solo riprendermi ciò che è giusto e non voglio che le sia fatto del male. Quindi ho pensato ad organizzarle una fuga in modo che possa andare lontano e nessuno la possa più trovare”
“Grazie Maria, io ti ringrazio, lo so che in fondo tu sei buona e che… e questi chi sono?”
“ Non si spaventi, sono grandi, grossi, muscolosi e di colore ma non sono cattivi. Sono due amici miei che la porteranno in salvo nel loro paese dove potrà rifarsi una vita grazie alle sue qualità”
“Ma come potrò ringraziarli?
“Lei indossi questa per il viaggio”
“Una divisa da cameriera?”
“Così comincia ad abituarsi alla nuova vita”


MARIA E IL CALCIO
“Buongiorno amore, dormito bene?”
“Non molto, anche stanotte hai parlato nel sonno. Parlavi di dottoresse, senatori, incendi. E poi ridevi, ridevi. Ma ti senti bene?”
“Ma certo caro, tu piuttosto, sei pronto per stasera?”
“Certo cara, prontissimo, sono giorni che aspetto con ansia”
“Anche tu? oggi mi sono sentita un po’ nervosa pure io”
“Nervosa? Dillo a me, è una settimana che mi sudano le mani”
“E quindi hai organizzare tutto? Ti confesso che avevo il dubbio che ti fossi dimenticato”
“E come potevo? Ma ti rendi conto? Stasera c’è la finale e siamo favoriti!!! L’Atletico Maracanà che vince la coppa è un sogno che si realizza”
“….ah? la …coppa”
“Piuttosto come mai tu sei tanto entusiasta? Non te ne è mai fregato niente del calcio”
“ Beh veramente, è che stasera era il nostro anniversario e mi avevi promesso che mi portavi a cena in quel ristorante sul mare”
“...il ristorante sul mare?”
“Quello dove mi hai portato la prima volta che siamo usciti insieme, lo stesso in cui mi hai chiesto di sposarti due anni dopo, cioè dieci anni fa..”
“Dieci anni fa… però come passa il tempo”
“ Dieci anni …per cui si potrebbe festeggiare l’anniversario”
“Ah beh voi donne tenete sempre i conti di tutto, i compleanni, gli anniversari, ma in fondo è importante che stiamo insieme e che ci vogliamo bene, giusto?”
“Certo, caro, noi donne siamo un po’ fissate con i conti e con la mania di far quadrare il bilancio familiare, e ci dimentichiamo che l’importante è che stiamo insieme e che ci vogliamo bene”
“E poi stasera ho dovuto organizzare tutto io, con gli amici, a casa di Piero. Mi sono dovuto ricordare di prendere sciarpe, bandiere, trombe, che tanto si vince sicuro e poi si festeggerà e quindi niente di meglio che i caroselli con le macchine, giusto?”
“Certo, è ovvio, se c’è da festeggiare qualcosa, i caroselli in macchina sono la cosa migliore”
“E quindi a cena in quel ristorante ci possiamo andare un’altra volta, a te non dispiace giusto?”
“Certo, non preoccuparti, un’altra volta andrà bene, magari prima controlliamo il calendario della lega calcio”
“Anzi possiamo andare a mangiare una pizza, che quel posto costa una cifra, giusto?”
“Certo, caro, lo sai che a me piace tanto la pizza”
“Grazie cara, ti voglio bene”
“Anche io ti voglio bene, ciao caro, divertiti e … forza Atletico Maracanà!”


MARIA E IL SOGNO DEL CALCIO
“Maria sei in collegamento”
“Grazie studio sono qui fuori lo spogliatoio dell’Atletico Maracanà, che tra pochi minuti scenderà in campo per la finalissima del torneo internazionale più importante del mondo”
“Bene Maria, sei riuscita a seguire la preparazione della squadra a questo appuntamento che lasciami essere un po’ enfatico, oserei definire fondamentale per la storia dello sport della nostra nazione”
“E’ vero, studio, tanto che fin da ieri sera ho percepito la tensione nei volti dei ragazzi dell’Atletico Maracanà, una tensione di preparazione certo ma anche il segnale della pressione emotiva che pesa su di loro”
“Certo, Maria, tutta la nazione è in trepidante attesa dell’inizio dell’incontro. Sarà il momento della verità, Tutto quello per cui si è combattuto verrà deciso nei fatidici 90 minuti in quella che, non ho timore di definire, la madre di tutte le finali. Dicci Maria, racconta ai telespettatori come la squadra dell’Atletico Maracanà ha vissuto la vigilia del match, e soprattutto come hanno fatto, quelli che saranno i protagonisti dello storico incontro che si va a disputare, a sostenere la tensione, questa tensione che ci hai già descritto così bene. Vai Maria!”
“Certo studio, ho seguito la squadra da ieri sera e ho visto, come già vi stavo dicendo, che questi ragazzi stavano vivendo davvero un momento difficile da superare, la tensione che si disegnava sui loro volti era il riflesso di tutte le aspettative, le loro certo, ma anche quelle di tutta la nazione. L’intero paese si aspetta che questi giocatori vincano la coppa, anzi se ne parla come se la coppa fosse già vinta e la partita fosse una cerimonia per festeggiare l’esito inevitabile. Io li ho guardati , uno ad uno, ho visto sui loro volti anche la paura, la paura di sbagliare, di perdere questa occasione storica”
E’ vero, Maria . E’ un’occasione storica. Questi ragazzi possono scrivere i loro nomi a caratteri d’oro nel grande libro della storia dello sport nazionale e saranno ricordati come i grandissimi campioni del passato. E’ quindi è normale che il nervosismo, per così dire serpeggi un po’ tra le file dei nostri giocatori, dei nostri gladiatori che si accingono a scendere nell’arena sportiva”
“Appunto, avevano tutti paura di perdere questa occasione e la tensione li stava uccidendo così ho deciso di aiutarli”
“Brava Maria, anche tu hai dato il tuo apporto alla conquista della coppa, come una impavida crocerossina sul campo di battaglia. E dicci, dicci come ti sei resa utile, come hai sostenuto i membri della nostra compagine?”
“ Appunto, studio. Ho sentito che c’era davvero bisogno di sostenere i membri della nostra compagine e mi sono data da fare. Ho cominciato dal centravanti che sembrava sull’orlo di una crisi di nervi e l’ho aiutato a scaricare la tensione. Poi, quelli della difesa stavano per litigare tra di loro e allora ho preso in mano la situazione, li ho fatti sfogare per bene tutti insieme e li ho accompagnati in camera. E via via tutti gli altri, tutta la notte e più volte. Alla fine erano tutti rilassati, con i volti distesi. Pensa che adesso a pochi minuti dall’inizio qualcuno nello spogliatoio dorme ancora.”
“Come dorme? ma allora? e la giusta tensione, la necessaria carica emotiva prima della gara necessaria per poter dare il meglio di se..”
“ Diciamo che il meglio lo hanno dato questa notte. Adesso sono un po’ scarichi, ma sono molto più sereni”
“E il mister …?”
“Ah, lui era uno dei più tesi stanotte, ma dopo il mio trattamento era così spompato che credo che sia rimasto addirittura a dormire in albergo”
“Ma..ma.. Maria, cioè, … noi , …loro, …la coppa… e poi cosa hai in mano? una maglietta omaggio della squadra?”
“Queste? No, queste sono le mie mutandine, tutti giocatori hanno voluto autografarle per un ricordo della nostra nottata. Ma sai, penso che le regalerò a mio marito che è tanto, ma tanto tifoso dell’Atletico Maracanà”

sabato 11 aprile 2009

RESISTENZA EROTICA

- E questa?
- Questa cosa?
- Questa ricevuta di albergo con orario pomeridiano e due caffé.
- Io … non saprei, forse sarà uno scherzo di un amico.
- L’ennesimo scherzo, allora. Non è la prima che trovo.
- Cara, prima di condannarmi lasciami la possibilità di chiarire.
- Per me è già sufficientemente chiaro cosa sei.
- Io … capisco il tuo stato d’animo, ma quella adesso ti appare come la mera ricerca di un piacere egoistico in realtà ha motivazioni importanti e profonde. Ma ti sei resa conto di cosa sta succedendo intorno a noi in pieno ventunesimo secolo? Oggi sta diventando sempre più forte ed evidente un fenomeno che si verifica da molto tempo nel nostro paese.
- Andare a mignotte?
- Mi sto riferendo all’attacco continuo allo stato laico portato dagli apparati del potere clericale e dai loro accoliti.
- E cosa centra con le tue maialate?
- Centra. Ma senti cosa dice il papa un giorno si e l’altro pure? E le continue trasmissioni su preti e santi, gli special su padre Pio, le fiction alla don Matteo e compagnia bella? E quell’altro che attraverso il suo giornale e il suo programma televisivo ogni giorno sferra attacchi contro l’aborto? E la legge sulla fecondazione assistita? Il processo di smantellamento dello stato laico è costante. I segnali sono inequivocabili: stiamo precipitando di nuovo in pieno medioevo. Prossimamente verrà attaccata anche la legge sul divorzio, ne siamo sicuri.
- Siamo? Parli al plurale come il papa adesso?
... (continua) ...

venerdì 10 aprile 2009

NEMESI ATIPICA

…allegare curriculum vitae…Il curriculum. E che ci scrivo? Il sottoscritto, ecc. ecc. , percorso scolastico, università, corsi di specializzazione, master, pubblicazioni e fino a qui bene, anzi benissimo. Ma esperienze lavorative che ci scrivo? Che, a parte stage di formazione professionali pagati profumatamente dal sottoscritto, sto facendo lavori a tempo determinato al massimo di tre mesi? Che sono iscritto a tutte le agenzie di lavoro interinale del mondo? E che sono quasi tre mesi che lavoro sottopagato e al nero qua dentro agli ordini di quel cafone ignorante del capomagazziniere, con un collega ritardato che mi piglia costantemente per il culo e la ragioniera bonazza che non mi degna di uno sguardo?
Ma guardali ‘sti tre stronzi come chiacchierano. Io che approfitto della pausa per cercare un lavoro vero sfogliando le pagine degli annunci e loro che fanno comunella alla faccia mia. Il capomagazziniere poi, ‘sto pennellone semicalvo con l’helicobatter pilori incancrenito, si crede chissà chi solo perché può tiranneggiare me e ‘sto tonto di Mario.
Poi fa il piacione con la ragioniera, e quella ride, ride come un’idiota per quei complimenti cafoni, riciclati dagli amici del bar del mercoledì sera.E invece, quando ci provo io con frasi galanti piene di citazioni colte, quella fa la faccia storta e mi guarda come se avessi scureggiato. E quello scemo di Mario scoppia a ridere e mi piglia per i fondelli.
Li odio. Li odio tutti. Come odio questa società malata che premia i peggiori mettendoli ai posti di comando, e io, che non ho mai accettato di piegarmi a chiedere favori e che non intendo far carriera leccando il culo al potente di turno, vengo trattato come un essere inferiore.
Basta! Basta accettare passivamente. Tu, società, vuoi che io ti dichiari guerra. E guerra sia. Basta essere la vittima di questa situazione assurda. Da oggi in poi ribalterò tutto: io sarò il carnefice. Vedremo chi è inferiore. Voglia che il sangue scorra a fiumi. Sarò spietato peggio Jack lo squartatore, peggio di Harry pioggiadisangue, peggio di Landrau, Verdoux e Barbablù messi insieme. Sarò il re dei serialkiller, altro che Psyco. Hannibal Lecter me fa una pippa. Lucarelli ci scriverà un’enciclopedia su di me. Sarò il genio del male, anzi della giustizia, meglio sarò l’angelo della vendetta! Sceglierò le mie vittime. Sarò giudice e arbitro del loro destino. Deciderò io quando la loro misera vita di lacchè del sistema avrà fine. SI! Sarò l’angelo della vendetta! Sarà la loro Nemesi!
E so già quale sarà il primo ad essere punito

Ho studiato tutto: il percorso, i movimenti, i tempi. Il capomagazziniere va al solito bar tutti i mercoledì sera alle 10, gioca a carte con i soliti tre, fa le solite battute, solite considerazioni sulle mignotte, tutti gli altri per quelle dell’est, lui per quelle di colore,solita birra e gazzosa, come beveva il nonno, dice lui. Poi, secondo quanto ha perso, torna casa in un orario che varia dalle 1,30 alle 2,30. Rispetto al percorso diretto fa la solita deviazione per vedere le mignotte che battono proprio dietro casa sue e che, secondo me, non ha mai avuto il coraggio di frequentare, nonostante le chiacchiere. E comunque passa vicino questo cancello leggermente arretrato che è il punto ideale. E anche questa notte invernale è ideale: la nebbia intensa mi permetterà di avvicinarmi senza che se ne accorga, poi un colpo perfetto con il cric alla base del collo, come nelle prove che ho fatto con il manichino dell’Upim, ed è fatta, secco! Certo che forse appostarmi qui a mezzanotte è un po’ presto ma non voglio lasciare niente al caso. Ripassare il piano, allora, che una volta fatto secco bisogna far sparire il corpo. Così la polizia penserà che è scappato all’estero a nascondersi. Mario dice che secondo lui il capomagazziniere si frega i soldi dalla cassa d’accordo con la ragioniera. Vai a vede’ so’ pure amanti sti due stronzi! Veramente Mario dice di no, quella è frigida, fa solo finta di ride alle battute, lo fa solo per tenerselo buono. Certo che il freddo stasera non scherza! Sono vestito pure un po’troppo leggero. Mica mi potevo imbacuccare che devo essere sciolto nei movimenti, veloce e letale come un ninja. Solo che l’umidità mi penetra nelle ossa, … mi verranno i reumatismi, o, peggio, la polmonite…ci vorrebbe la mutua anche per i serialkiller… veramente sono ancora aspirante serialkiller, nel senso che devo ancora comincia. Stasera è il debutto! Ci vuole un po’ di training autogeno …dai sono l’angelo vendicatore… O l’angelo sterminatore. …Vabbè … l’angelo della morte …l’angelo che porta la punizione divina, se non rimane congelato con tutto ‘sto freddo….Non ho pensato a qualche frase ad effetto da dirgli prima di colpirlo, che ne so: è la tua ora, bastardo! … Uhm!.. No così pare uno spaghetti western, manca solo sergio leone che da il ciak. No, no, vediamo: hai finito di angariare i lavoratori per dare sfogo alla tua frustrazione! ..No! Troppo anni 70 e soprattutto troppo lungo, non sto ancora a metà che quello se ne scappato a casa. O dalla polizia. …Oppure capace che si gira e mi mena direttamente che è pure più grosso di me. ..No,no meno subito e bene… Solo che sto freddo… mi sta congelando,… il braccio è tutto intorpidito…e non sento più i piedi,….magari provo a muoverli un po’,.. poco però che magari arriva adesso … e mi sente…. faccio pure fatica …a tenere gli occhi aperti…sta nebbia è terribile … non si vede niente… è tutto bianco …lattiginoso…sembra che lo sguardo… ci galleggi dentro…mi fanno male gli occhi…quasi quasi li chiudo… solo un momento…sono l’angelo sterminatore con.. gli occhi chiusi……e porto …la … …”

- Ti sei svegliato, finalmente.
- Dove..?
- Pronto soccorso. Non ti muovere. Hai una coperta termica addosso e sei attaccato ad un monitor cardiaco.
- Come..?
- Ora devo praticarti delle flebo “calde”
- Ahi
- Lo so che ti fanno male ma servono a ristabilire la temperatura normale.
- Ma che è successo?
- Ti hanno portato qui stamattina verso le quattro, semiassiderato. Ti ha trovato uno che ha detto che ti conosce, che lavora con te, il tuo capo mi pare. Praticamente ti ha salvato la vita. E' rimasto fino a poco fa a vedere se ti riprendevi.
- …il capo? …il capomagazziniere!
- Ci ha raccontato che stava rientrando a casa e ti ha trovato per terra svenuto con il cric in mano.
- Il cric?
- Si, ma non ti preoccupare, ha detto che andava lui a vedere dove sta la tua macchina e a far cambiare la gomma a terra. Che fai piangi?
- no, cioè si, deve essere colpa delle flebo: fanno male.
- Te l’ho detto che sono dolorose.
- E, quante ne devo fare?
- Quel cretino del medico, quando è uscito con tutti gli altri, ha detto che un paio potrebbero bastare, ma io voglio essere sicura e te ne faccio dodici.
- Come dodici? E poi perché sono legato qui sopra tutto nudo? E perché non c’è nessun altro ? Ma che succede, dottoressa?
- Calma, quante domande. Meglio che ti metto prima un bel cerotto sulla bocca così non disturbi. Ecco fatto. Prima di tutto io non sono dottoressa, sono una portantina con contratto a termine. Non c’è nessuno perché gli altri, che sono in regola, sono andati a manifestare e hanno intenzione di occupare la sede della ASL a tempo indeterminato, per avere aumenti di stipendio, più ferie e tutto quello che decideranno di pretendere, loro che possono. Io invece, che qua faccio la schiava a tutti, non posso permettermi neanche di scioperare altrimenti mi gioco la possibilità che mi rinnovino il contratto per altri tre mesi. Quindi mi potrai capire anche tu se mi sento leggermente alterata anzi se sono proprio incazzata a morte con il mondo intero. Mi devo sfogare con qualcuno o no? E quindi, ti ho denudato e legato sulla sedia del ginecologo così, appena finite le flebo, ti faccio un bel clisterone. E poi vedremo, abbiamo tanto tempo da passare insieme, mio piccolo passerotto indifeso.

giovedì 9 aprile 2009

SMOCONDEUOTER!

Potevamo venire fuori meglio. Noi quarantenni, intendo.
Ma non è stata tutta colpa nostra. Alcuni traumi sono stati devastanti. un esempio:
smoke on the water dei deep purple., mito di noi adolescenti di allora. avete presente? Inizia con una frase di chitarra distorta, con note staccate e precise, pure io che non so bene come si impugna ho provata a rifarla con la chitarra . ta ta taaaa- ta ta tattàaaa- ta ta taaaa tattà il suono è aggressivo, ti graffia la pelle ti vibra su tutta la superficie delle braccia, poi dopo un “ruggito” la chitarra elettrica ripete la frase e qui entrano gli altri strumenti, il basso elettrico, la batteria, la tastiera. E parte una cavalcata sottolineata dalla linea del basso che ti trascina nell’impeto. E tutti noi adolescenti allora cominciavamo a muoverci al ritmo simulando di montare un destriero poderoso. Altro che cavalcata delle valchirie. Quel suono ti smuoveva qualcosa di primordiale dentro e quando entrava la voce di gillan, che urlava quella parole per noi misteriose con la nostra scarsa conoscenza dell’inglese il coinvolgimenti era totale, fin al ritornello in cui per un attimo il ritmo assatanato si placava, gillan, urlando, scandiva le parole “smoke on the water, a fire in the sky” (e noi dietro che lo imitavamo senza arrivare ai suoi acuti) e poi la cavalcata riprendeva, e via a condire quei suoni con immagini che evocavano sia la fine che l’inizio del mondo, il magma primordiale, la lotta di divinità, giove contro i titani, odino e thor, il walhalla, il caso primigenio e sentire quel suono quella voce ti faceva capire o adolescente con i capelli lunghi, i jeans attillati, la maglietta nera con immagini e scritte anch’esse misteriose ed evocative che anche tu facevi parte del grande mistero universale, chi era parte della forza cosmica che tutto ha creato ma che quindi anche tutto può distruggere. E tutte le tue pulsioni di adolescente sconvolto da tempeste ormonali immerso in un mondo da rifiutare e che ci rifiutava riconoscevi i tuoi simili e li sentivi a te vicini quando quel “riff” di chitarra ti avvisava cha la mistica cavalcata stava per cominciare. Poi…
poi un giorno, un brutto giorno qualcuno trova le parole della canzone e armati di vocabolario cominciammo l’esegesi del testo sacro scoprendo che…. Quello che il tipo con quella voce baciata dagli dei invoca non era una preghiera ad un dio generoso e terribile, non era la fascinazione e il terrore angosciato di fronte all’incredibile potenza dell’universo, no. Non era il riverbero intimo del mistero del trascendente. NO
Il tipo ci racconta che “ loro i signori dipparpol sono arrivati sul lago di Ginevra in svizzera (in svizzera????) felici e contenti perché devono registrare un disco (un disco???) e (angoscia) non hanno molto tempo a disposizione, purtroppo (la tragedia???) durante un concerto di Frank Zappa, “some stupid”( stupid????) con una flare gun (pistola a razzo) a causato un incendio e il posto è andato distrutto (cioè il fumo sull’acqua era l’incendio di questo albergo e noi che ci incazzavamo quando qualche incauto per fare lo spiritoso diceva che per lui smoke on the water era uno che si faceva le canne al cesso) comunque i parpol, nel timore che i loro fan per l’angoscia riflessa della loro tragedia perdessero l’appetito, ci hanno tenuto a far sapere che alla fine hanno trovato un altro hotel in cui soggiornare (meno male) , registrare il disco e trovare il tempo per giocare a tirarsi le cacche di mucca svizzera durante le pause di registrazione.
Noi pensavamo che quel pezzo raccontasse la nostra generazione, col senno del poi guardando quello che facciamo noi quarantenni, forse avevano ragione loro
“smoke on the water, a fire in the sky”

mercoledì 8 aprile 2009

IDEE NUOVE

Concittadini,
ci sono momenti nella vita di una nazione in cui, avendo accertato quale sia la distanza dei partiti di entrambi gli schieramenti dalla vita quotidiana e dalla gente comune, i “rappresentanti della vita civile” devono farsi avanti e proporre idee e soluzioni nuove per uscire dalla crisi che stiamo attraversando.
Una crisi che, prima di essere una crisi economica, è una crisi di valori e di idee e a cui solo alcuni coraggiosi – organizzandosi, per presentarsi alle elezioni amministrative, in C.U.L.O. ossia Comitati Unitari Lotta Organizzata - hanno saputo dare una prima risposta. Questi primi coraggiosi - che si sono messi in gioco in prima persona mettendoci la loro faccia, poiché sentivano di avere una vera faccia da C.U.L.O. - hanno aperto la strada.
Ma adesso abbiamo bisogno di fare un passo ulteriore e coordinare la nostra azione: per questa abbiamo sentito l’esigenza di fondare la G.N.O.C.C.A., Gente Normale Organizzata Contro Crisi e Affini per presentarci alle prossime elezioni politiche.
E’ nostra intenzione quindi proporre quelli che sono i tre principali punti del programma politico della G.N.O.C.C.A. che mirano a incidere profondamente nella struttura della nostra società e così mutare in meglio il nostro stile di vita. Siamo convinti che le riforme da noi proposte, che hanno il pregio di poter essere applicate immediatamente senza bisogni di costosi interventi strutturali che rischiano di impantanarsi alla prima difficoltà, saranno il volano di una nuova ripresa economica.
La prima proposta è la riforma dell’istituzione fondamentale della nostra società, quella che impernia ogni nostra attività quotidiana e intorno alla quale ruotano la maggior parte delle nostre decisioni: il matrimonio.
E la riforma che noi della G.N.O.C.C.A. intendiamo proporre è, sfido chiunque a dimostrare il contrario, altamente innovativa: il matrimonio a tempo determinato.
Sappiamo tutti che l’amore è il centro della nostra vita, è il fuoco sacro che lo anima.
Ma quando l’essere umano si trova incastrato tra meccanismi che sembrano serrati su di lui per un tempo indefinito l’istinto di sopravvivenza spesso prevale a discapito del sentimento verso l’altro.
La risposta è eliminare il matrimonio?
No, la risposta per noi della G.N.O.C.C.A. è trasformarlo in matrimonio a tempo determinato, un matrimonio con data di scadenza: dopo tre anni si torna liberi come prima.
E’ facile vederne i vantaggi: se il sentimento è ancora forte come all’inizio, si celebra di nuovo il matrimonio. Un nuovo inizio con cui rinverdire i fasti dell’unione con una nuova celebrazione, una cerimonia ufficiale che diventa l’occasione per una festa con invitati in abito elegante, nuovi regali, che magari un televisore nuovo fa comodo, e nuovo viaggio di nozze
Il sentimento si rinforza e l’economia gira. Pensate agli affari incrementati per ristoranti, agenzie di viaggio, negozi di abbigliamento ecc.
Se viceversa il sentimento fosse sfiorito nessun dramma: tutti e due liberi; niente problemi di pratiche di separazione e di divorzio. Tutto liscio. Basta attendere la data di scadenza, tanti saluti, e si torna tranquillamente sulla piazza.
La seconda riforma nel programma della G.N.O.C.C.A. riguarda il traffico cittadino: obbligo di uso di mezzi di locomozione a trazione umana nel perimetro urbano; praticamente in città solo biciclette, monopattini, risciò;
oltre all’ovvie conseguenze positive:
meno traffico e meno problemi di parcheggio, invece delle ingombranti auto, snelle biciclette con pericoli di ingorgo ridotto a zero, a meno di gigantesca ammucchiata in curva;
meno inquinamento atmosferico e acustico che le biciclette non emettono gas di scarico e, invece del rumore dei motori il leggero sferrare delle catene nei carter, invece dei clacson assordanti gli scampanellii felici dai manubri.
meno vita sedentaria, e conseguente miglioramento della salute dei cittadini - meno ricadute sul sistema sanitario - muscoli più tonici, fisici più asciutti, miglioramento dell’aspetto e quindi successo personale con l’altro sesso.
la ricaduta sulla vivibilità delle città sarebbe notevole anche perché avremmo:
meno danni in caso di incidente, un tamponamento può produrre al massimo un fanalino rotto, un investimento una storta ad un piede.
meno delinquenza , meno rapine in banca - “aspettami qui fuori col motore acceso” “capo, siamo in tandem” “beh, aspettami con il piede sul pedale” – meno scippi - ”vai con la vecchia” ”ma capo, siamo in salita!” – e quindi aumento della sicurezza.
meno problemi di patente con autovelox, palloncino ecc. , a cena si potrà bere quanto si vuole, mica ti possono ritirare la patente se guidi brillo la bici;
meno problemi di guida in stato alterato anche per i giovani che amano andare a ballare: niente psicofarmaci, al massimo anfetamine per provare il brivido della velocità e le stragi del sabato sera sarebbero del tipo " nella serata di ieri all’uscita delle discoteche si lamentano due ginocchia sbucciate, e tre lividi sugli avambracci ".
E poi niente auto blu, al massimo tandem.
E sopratutto pensate alla faccia che faranno i cinesi quando ci vedranno andare in giro tutti in bicicletta.
Il terzo punto del programma politico della G.N.O.C.C.A., mi sia consentito, un vero colpo di genio, è la mutualizzazione della prostituzione.
Quante persone esercitano quello che, con un abusato eufemismo, viene definito “il mestiere più antico del mondo” e da quanto tempo? Queste persone hanno sviluppato ormai un’esperienza professionale notevole per non parlare di quelle che hanno un vero e proprio talento naturale. Perché sprecare queste risorse? Perché sciupare quello del trattamento sessuale, come vero e proprio aiuto alla cura contro lo stress, attraverso liberi professionisti con tanto di Partita Iva e registrati in uno specifico albo professionale?
"Dottore sono stressato!"
"Le prescrivo due fellatio al giorno dopo i pasti”.
"Dove devo farmele praticare?"
"Dove vuole ricordi che se la prestatrice d’opera è convenzionata Asl paga solo il ticket. Le consiglio la signorina che esercita all'angolo e da me personalmente verificata”.
"Grazie dottore, comincio subito la cura, stasera stessa”.
"Altrimenti si faccia rilasciare la ricevuta fiscale, che la prestazione è detraibile dalle tasse”.
Quanti problemi risolti!
Regolarizzazione della prostituzione con controllo sanitario e quindi meno rischi di diffusione di malattie sessuali, maggior introiti per lo stato grazie all’attività regolarizzata con versamento dell’Imposta sulle attività professionali, aumento dei posti di lavoro, lotta all'abuso dei medicinali, ricaduta benefica rapporti matrimoniali:
“Stronzo mi hai tradito!”
“Ma cara vedi? Ho la ricetta del medico.”
“Oh sì, hai ragione, scusami caro. Vado a prepararti la cena.”
Idee nuove, soluzioni nuove per una nuova società più giusta e più equilibrata. Solo così il nostro paese potrà garantirsi il ruolo che gli compete nel mondo e potrà garantire ai cittadini di vivere una società giusta e sana.
Votate per la G.N.O.C.C.A. .

martedì 7 aprile 2009

LITIGARE CON LA STAMPANTE INCEPPATA NON LA RIPARA

La scienza e l’arte si fondano entrambe su metodo ed intuizione. Il primo è elemento imprescindibile in quanto rappresenta l’organizzazione ottimale di tempo e risorse disponibile: la seconda, corto circuito fatale, consente passaggi immediati da un livello a quello superiore con un accelerazione improvvisa e stordente che non sarebbe possibile – e sarebbe comunque del tutto inutile - senza il lavoro metodico e ordinario su cui basarsi.
L’impegno preso della dimostrazione della inutilità del “litigio”, anzi della sua dannosità per la salute dell’uomo, fisica e mentale, mi aveva portato a organizzare le ricerche su argomenti come da elenco nell’articolo precedente. Ma un piccolo, banale incidente mi ha dato l’occasione per una sperimentazione immediata che ha fornito nuovi ed importanti elementi per la dimostrazione della tesi.
L’assoluta urgenza della consegna di una relazione mi aveva portato ad organizzare i tempi in modo rigido. I passaggi, nello schema mentale del lavoro, avevano durata precisa così da permettermi il rispetto della scadenza fissata. Sennonché l’imprevisto: la stampante si inceppa. La classica procedura di sblocco che eseguo ormai automaticamente non ha funzionato per cui sono stato costretto ad interrompere quello che stavo facendo, tutto concentrato, per occuparmi della stampante. Una serie di segnali inusuali dei led dell’apparecchio mi hanno costretto a prendere il libretto delle istruzioni, che come ormai capita sempre più spesso hanno scritte ed ideogrammi in tutte le lingue – qualcuno, sono sicuro, inventata, che si divertono a prenderci per i fondelli - ma mai in italiano. Sentivo che la sana tensione creativa, necessaria per la concentrazione stava cedendo il posto all’ansia e al nervosismo. A quel punto l’intuizione, geniale ed istintiva: invece di ricorre alle tipiche tecniche zen di rilassamento, avrei potuto lasciarmi andare e sperimentare direttamente su di me il tipico fenomeno dell’incazzata con apparecchio malfunzionante. Ero consapevole dei rischi che correvo - e che correva la stampante - ma era un’occasione impedibile. Sarei stato Hyde e Jeckill contemporaneamente, la bestialità e la razionalità insieme. Mi eccitava, inutile negarlo.
Ecco gli appunti presi che un giorno riordinerò per bene in uno studio organico sull’argomento:
a) fase libretto di istruzioni o del decriptologo: il soggetto sfoglia sempre più nervosamente il libretto alla ricerca delle istruzioni, introvabili, nella sua lingua madre; prova con quelle in inglese e/o francese affidandosi alle reminescenze liceali e all’aiuto di un dizionario, studia i disegni capovolgendoli più volte maledicendo l’imperizia dell’artista. Alla fine rinuncia e opta per l’approccio diretto;
b) fase approccio diretto o del meccanico: il soggetto studia l’apparecchio da vicino e da tutti i lati compreso, se possibile, quello inferiore. Tenta di sfilare i fogli, solleva il coperchio, sposta la cartuccia, alza alette, forza meccanismi, oddiocheeraquelrumore chiude tutto con fare circospetto sperando non avanzi nulla;
c) fase mistica o del rito apotropaico: il soggetto prova ad accendere e spegnere l’apparecchio più volte con tempi sempre più lunghi, sperando che un dio misericordioso, non badando al suo ateismo sprezzante, si degni di compiere un intervento miracoloso rimuovendo la forza oscura che impedisce di finire il lavoro;
d) fase dell’approccio personale o dell’ok corral; il soggetto affronta direttamente l’apparecchio ottuso dandogli del “tu”, convinto ormai che è la scarsa voglia di lavorare dell’apparecchio stesso ad impedire qualunque riparazione. L’inizio pacato ed amichevole “dai, su, cosa c’è che non va?” sfocia presto in livorose minacce nonché allusioni sempre meno velate alla professione della assemblatrice della stampante, che nella ormai incontrollata visione del mondo del soggetto corrisponde più o meno alla genitrice;
e) fase del metodo “fonzie”: consiste nel portare un colpo secco – a mano aperta o chiusa – sulla parte superiore dell’apparecchio. Altamente sconsigliato poiché le scocche contemporanee risultano assai più fragili di quelle del passato, o quantomeno dei jukebox degli anni 50 (vedi Happydays);
f) fase catarsi finale: il soggetto in preda a stato di agitazione scomposta impreca ad alta voce ed è preso da un irrefrenabile desiderio di lanciare la stampante dalla finestra o contro il muro. Evitate assolutamente la prima per le conseguenze imponderabili, mentre si sconsiglia la seconda per le conseguenze facilmente immaginabili compresa esplosione della cartuccia di inchiostro

corollario: inoltre, la relazione è stata consegnata in ritardo