giovedì 27 maggio 2010

giallo latinense

“Ciao”
“Ciao. Adesso il tuo avvocato ti da il permesso di sederti vicino a me?”
“Valeria è prima di tutto la mia migliore amica. In questa circostanza è anche il mio avvocato”.
“A me ha sempre ricordato un cane da caccia con quel suo modo di puntare il naso in avanti”.
“E’ sempre stata un po’ altezzosa, questo è vero. Ma è un’amica sincera”.
“Che non mi ha mai sopportato. Almeno dal giorno in cui ti ho sposato”.
“Sei ingiusto con lei”.
“Forse. Ma non è per questo che hai deciso di divorziare”.
“Ne abbiamo parlato abbastanza, non credi?”.
“Sì. Anche se io ancora non riesco a capire bene. Ma ormai siamo qui. Oggi è il gran giorno. Emozionata?”.
“Sì. Ed evidentemente anche tu, visto che oggi parli, dopo anni di mutismo”.
“Forse non avevo argomenti interessanti”.
“Già. Forse. O forse non trovavi interessante parlare con me”.
“Io ho sempre adorato ascoltarti”.
“Per questo mi lasciavi da sola nei miei interminabili monologhi? Tu mai che avessi qualcosa da dirmi, da raccontarmi. Mai qualcosa da condividere con me. Mai che mi parlassi di te, del tuo lavoro. Sì, lo so, il segreto di ufficio o come diavolo si chiama. Ogni volta che seguivi un caso avevi una faccia da funerale. Ti chiudevi come una tomba. Mi sembrava, ogni volta, di vivere con il colpevole di ogni delitto che vedevo al telegiornale o leggevo sui giornali”.
“Non alterarti che il cane da caccia ti sta puntando con il suo naso”.
“Stupido. Però è vero, anche a me ha sempre ricordato un cane che punta un osso, con quel modo strano con cui tiene alto il mento e muove la testa”.
“Ho sempre immaginato che quando vi incontravate, le mettevi il guinzaglio e la portavi a passeggiare nel parco. E, mentre tu ti sfogavi contro di me, lei faceva i bisogni nei cespugli”.
“Che idiota”.
“Però ti ho fatto ridere. Davvero non ti ho mai raccontato nulla del mio lavoro?”.
“Mai. Solo una volta, appena sposati, accennasti ad un’indagine. Avevi cominciato a raccontare poi, però, ad un certo momento, non mi dicesti più nulla, anche se io chiedevo ogni giorno. Tu, invece, muto. Evidentemente non mi ritenevi più degna. Ma, probabilmente, non ti ricorderai più”.
“Il caso del macellaio di via Corridoni. Ricordo benissimo”.
“Si. E’ vero. Mi avevi parlato di un macellaio. All’inizio mi raccontavi tutto. Io mi emozionavo ad ascoltare il tuo racconto. Ti aspettavo con ansia la sera per sapere quello che avevi scoperto. Ma chi era stato ucciso?”.
“Abbiamo tempo credo. Te lo posso raccontare con calma. Era in agosto, un’estate molto calda. Eravamo da poco rientrati dalla luna di miele e io avevo appena preso servizio in questa piccola città di provincia dove era stato assegnato e dove ti ho portato a vivere. Vice-dirigente della Squadra Mobile Sezione omicidi. Era il primo passo di quella che sognavo potesse essere la mia carriera. Aspettavo solo l’occasione per poter chiedere il passaggio al Servizio Centrale Operativo a Roma, il mio vero obiettivo. Mi serviva solo una possibilità. Quel giorno stavo in ufficio con Di Sabato che commentava ancora le partite del mondiale di calcio, quello di Spagna. Era felice della vittoria perché finalmente vedeva tante bandiere in giro. Era fissato con il calcio, il maresciallo Di Sabato, e pure con le bandiere. Aveva quella del Napoli attaccata dietro la sua scrivania. Aveva appena finito di rievocare la semifinale con la Polonia e stava per attaccare con il suo personale resoconto della partita con la Germania quando arrivò la telefonata. Il cadavere di un uomo era stato ritrovato nel suo appartamento, in via Eroi del Lavoro, proprio a due passi dalla questura. Era il primo caso importante che potevo gestire da solo, insomma la mia grande occasione. Potevo mettermi in luce, finalmente. Ero così eccitato che volevo andare a piedi, ma il maresciallo mi ha dirottato alla macchina di servizio. Arrivammo sul posto contemporaneamente all’ambulanza. Di corsa su, al terzo piano. Sul pianerottolo abbiamo trovata una donna, pallida come un cadavere, che tremava e non riusciva a parlare. Ci ha indicato la porta aperta. Nel salotto c’era il cadavere di un uomo, il fratello della donna”.
“Poveretta, era sotto choc”.
“Quando si è ripresa siamo riusciti ad interrogarla. Ci ha detto che era andata a trovare il fratello perché non lo sentiva da diversi giorni e si era preoccupata. Aveva avuto ragione a preoccuparsi perché era morto, una coltellata gli aveva spaccato il cuore”.
“Ma chi poteva essere stato secondo lei?”
“Non aveva sospetti. Suo fratello era la classica brava persona che non aveva nemici. Vita tranquilla, da scapolo”.
“Mi ricordo che la sera quando sei rientrato eri turbato”.
“Ero molto perplesso. La scena del delitto aveva qualcosa che non quadrava”.
“In che senso?”.
“Tutto l’appartamento era sottosopra come se qualcuno avesse cercato qualcosa nei vari cassetti”.
“Una rapina, allora”.
“Il cadavere era nel salotto a faccia in giù. Il coltello gli era penetrato quasi fino al manico perché cadendo ci era finito sopra ed aveva attraversato tutto il corpo. Non era un normale coltello, uno di quelli che si trovano comunemente dentro casa”.
“E che coltello era?”.
“Ricordo perfettamente i dettagli. Era un coltello con lama appuntita e leggermente ricurva verso l’alto. Una lama lunga, mi pare 22 centimetri. Il manico era in acciaio zigrinato. Non avevo mai visto un tipo di coltello del genere. Il cane da caccia ci sta osservando e sorride”.
“E’ contenta, lasciala sorridere. Cosa altro ti lasciava perplesso?”.
“La sorella aveva detto che aveva trovato la porta chiusa. Ma non a chiave dall’interno. Come se qualcuno, uscendo, l’avesse chiusa tirandosela dietro dal pomello esterno”.
“C’erano impronte digitali su quel pomello?”
“Solo quelle della sorella”.
“E basta?”
“Già. Qualcuno l’aveva pulito, dopo aver richiuso”.
"Il rapinatore, sicuramente”.
“C’era già stato qualche caso di ladri sorpresi in casa. Quando era accaduto, erano scappati immediatamente. Se c’era stata una colluttazione e ci scappava un ferito, o peggio un morto, il ladro scappava il più velocemente possibile, preso dal panico. Mica sono degli assassini dal sangue freddo che si mettono a far sparire le tracce. E poi, di solito, già portano i guanti, perché fermarsi a ripulire il pomello?”.
“Giusto. Allora non è stato un ladro di appartamenti, uno di quelli esperti almeno. E cosa avete fatto, allora?”
“Ci siamo concentrati sull’arma del delitto. Micheluzzi, quello della scientifica, te lo ricordi? Venne anche a pranzo a casa nostra. No? Non fa niente, Comunque Micheluzzi non aveva dubbi: era un coltello da macellaio del tipo francese. Un coltello di tipo professionale, insomma”.
“Ricordavo bene che c’entrava un macellaio, allora”.
“Già. Lì vicino, in via Marchiafava, c’era un macellaio. Avremmo cominciato a controllare quello. Andammo io stesso e Di Sabato a parlare con il macellaio. Fingendoci clienti, cominciammo a fare domande sui tipi di coltelli che usava. Mi sono fatto una cultura sui coltelli da disosso, coltelli per carne surgelata, mannaie, mannarette, coltelli colpo, coltello mezzo colpo e compagnia bella. Quando gli ho chiesto del tipo francese si è irrigidito e ha cambiato espressione. Ma lei chi è? Mi ha chiesto indicandomi con la punta del coltello. Quando gli ho mostrato i documenti è diventato ancora più nervoso. E mi ha mostrato che nel raccoglitore dei coltelli c’era uno spazio vuoto. Era incavolato nero, era convinto che qualcuno glielo avesse sottratto di nascosto. Aveva pensato uno scherzo o a un dispetto”.
“E mancava proprio uno del tipo dell’arma del delitto?”.
“Mancava proprio uno del tipo francese, come l’arma del delitto”.
“E sul coltello c’erano le impronte digitali del macellaio?”
“E sul coltello c’erano le impronte digitali del macellaio, certo”:
“Allora era stato lui!”
“Allora era stato lui ad usare quel coltello, certo. Ma non è altrettanto certo che lo abbia usato per uccidere il nostro uomo”.
“Ma non c’erano altre impronte sul coltello?”
“No, praticamente quelle riconoscibili erano solo quelle del macellaio. Ma questo l’avremmo scoperto in seguito quando lo avremmo ufficialmente accusato. Intanto dovevamo procedere con cautela. A quel punto i sospetti erano leciti. Per la notte del delitto inoltre il macellaio non aveva un alibi. All’inizio aveva detto di essere rimasto a casa quella sera, ma nessuno l’aveva visto rientrare. Poi si era corretto e aveva detto di essere andato a fare un giro in moto di notte, ma da solo e quindi nessuno poteva confermare. Niente alibi, quindi. Mancava solo il movente”.
“E che movente poteva avere ?”
“Si uccide sempre per gli stessi motivi: soldi o amore”.
“Per gelosia, vorrai dire. E questo delitto, fu un delitto per soldi o per gelosia?”.
“La vittima era un quarantenne, scapolo. Impiegato presso un ente statale per i contributi all’agricoltura. Il macellaio conosceva la vittima. Secondo le testimonianze raccolte frequentavano lo stesso bar, ma sembra che fosse una conoscenza superficiale, nessuno li ha mai visti seduti allo stesso tavolo. Qualche volta, negli ultimi tempi, l’impiegato era andato a fare compere nel negozio del macellaio.
“E il macellaio? Che tipo era?”
“Il macellaio pare fosse uno che piaceva alle donne e a cui piacevano le donne. Un tipo abbastanza atletico, un passato da giocatore di calcio delle serie semiprofessioniste. Scapolo anche lui, cambiava spesso partner senza grossi problemi. L’impiegato invece conduceva una vita ritirata. Nessuna donna nella sua vita. Due persone completamente diverse. Che interesse poteva avere il macellaio ad uccidere una persona così innocua per lui?”.
“Davvero un mistero, allora. Non siete riusciti a trovare alcun legame tra loro?”.
“Niente che li unisse almeno fino a quando la signora che abitava al piano di sotto dell’impiegato non ci confidò che lei aveva avuto l’impressione che anche quel signore, così grigio e anonimo, con una vita così regolare, aveva avuto un cambiamento negli ultimi tempi. Aveva comprato una macchina nuova, una Fiat 128 bianca, sorrideva più spesso ed era più profumato”:
“Aveva vinto al totocalcio?”.
“Qualcosa di più sconvolgente, secondo la signora del piano di sotto”.
“E cioè?”
“Si era innamorato”.
“E di chi?”
“Una vedova, una che abitava nello stesso isolato, nel palazzo dirimpetto al suo rispetto al cortile interno. Lei stava al quinto piano”.
“E si frequentavano?”
“Nessuno li ha mai visti insieme, ma da qualche testimonianza, oltre alla signora del piano di sotto, anche il carrozziere di fronte al bar, la fioraia e altri ancora, avevano notato che l’impiegato cambiava espressione ogni volta che vedeva la vedova e la salutava con grandi sorrisi”.
“E lei ricambiava?”.
“Sempre secondo i testimoni, lei se ne accorgeva appena di lui. Ricambiava il saluto e basta. Quando l’abbiamo interrogata, ci ha confermato che lo conosceva di vista, ma non sapeva neanche il suo nome”.
“E il nome del macellaio?”
“Brava. Quello lo conosceva benissimo. Infatti, uscivano insieme. Lui la passava a prendere e la portava in giro con la moto”.
“Ma questo non spiega il motivo per cui il macellaio poteva avercela con l’impiegato, semmai il contrario!”.
“Appunto! La gelosia è un motivo sufficiente per desiderare la morte di qualcuno, abbiamo tanta letteratura a documentarlo. Ma, come hai giustamente notato, è il geloso che è rimasto ucciso non il rivale”.
“E allora?”
“E allora l’ipotesi, che abbiamo formulato e che chiudeva il cerchio, era che il macellaio la sera del delitto andò a casa dell’impiegato, attirato da quest’ultimo. Quindi l’impiegato avrebbe minacciato o addirittura aggredito il macellaio. Allora quello lo abbia ucciso per difesa”.
“E come l’avrebbe attirato?”
“Quello ha poca importanza. Poteva inventare mille scuse. Qualcosa di importante da dirgli o da proporgli, magari aveva predisposto un agguato finito male. Il macellaio era molto più prestante e l’avrebbe sopraffatto”.
“Sembra plausibile”
“E, infatti, dopo aver appurato che sul coltello ci fossero solo le impronte del macellaio, abbiamo provveduto al fermo. Tutti soddisfatti, sembrava che il caso fosse chiuso rapidamente. Il macellaio avrebbe certo confessato. Aveva ucciso per legittima difesa”.
“E invece?”.
“E invece, quello non confessava. Si ostinava a dire che era andato a fare un giro di notte e che neanche lo conosceva quel tipo”.
“Io ero convito della sua colpevolezza. E anche Di Sabato. I colleghi già mi facevano i complimenti per la mia capacità investigativa e si dimostravno conviti che quello sarebbe stato il primo passo di una brillante carriera. Aspettavamo solo l’inevitabile confessione. Quello si ostinava a negare”.
“E alla fine ha confessato?”
“E alla fine, come nei migliori gialli cinematografici, ci fu un colpo di scena. Il macellaio aveva un alibi di ferro”.
“E chi glielo ha fornito?”
“I carabinieri”:
“Come? Mi prendi in giro?”
“Al momento del delitto il macellaio stava incontrando di notte dei contrabbandieri di droga. E’ tutto registrato dai carabinieri che, infatti, sono venuti a prelevarlo il giorno dopo. E, pure, piuttosto incazzati che con la nostra inchiesta gli avevamo mandato a monte mesi e mesi di appostamenti”.
“Incredibile! E’ il delitto rimane insoluto?”
“E’rimasto ufficialmente un delitto insoluto.”.
“Ufficialmente, dici. Quindi tu avevi un’idea di come si siano svolti realmente i fatti?”.
“Sì, ma era solo una mia idea”.
“Voglio saperla”.
“Vuoi?”
“Vorrei. Ti prego”.
“Spero tu non mi prenda per pazzo. Dopo il colpo di scena tornai sulla scena del delitto. Volevo riverificare tutto. Se avevo tralasciato qualche dettaglio importante. Mentre giravo per casa, andai a vedere nella libreria se c’era qualche libro particolare che mi desse qualche informazione in più sulla personalità della vittima.”
“Hai trovato qualcosa di interessante?”.
“Notai due libri: un giallo di Simenon, "Il defunto signor Gallet" e, accanto, una biografia di Borromini”.
“E’ che hanno di particolare?”
“Il giallo di Simenon lo avevo letto anche io: è un’inchiesta di Maigret su un delitto che alla fine si scopre essere un suicidio.”
“Davvero?”
“Inoltre, secondo la tradizione, Borromini si è suicidato lasciandosi cadere su una spada”.
“E l’impiegato ha fatto alla stessa maniera?”.
“Sì”.
“Ma come avrebbe fatto a non lasciare impronte sul coltello? Aveva dei guanti quando l’avete trovato?”
“il suo problema era tenere il coltello in verticale per lasciarsi cadere sopra a peso morto. Per farlo, aveva incastrato il manico in un blocco di ghiaccio. Poi con il coraggio della disperazione di un amante disilluso si è lasciato cadere sulla lama spaccandosi il cuore. Il caldo estivo poi avrebbe fatto il resto, il ghiaccio si sarebbe sciolto, tutti, trovandolo steso a terra con un coltello nel petto, avrebbero pensato ad un omicidio. Il coltello, chiaramente, lo aveva rubato nel negozio del macellaio nelle occasioni in cui si recava a fare spesa, di solito verso l’ora di chiusura. Così le impronte digitali avrebbero accusato quello che per lui era il suo rivale in amore. Un nemico imbattibile per lui, altrimenti”.
“Hai trovato conferme al blocco di ghiaccio?”
“Sì, ho appurato dove avrebbe potuto facilmente prenderlo”.
“Quindi sei sicuro della tua ipotesi?”:
“Già”.
“E non l’hai mai detta?”
“No”.
“A nessuno?”
“E perché?”
“Perché per quanto folle, assurdo, e colpevole era un gesto d’amore, per quanto l’amore può essere folle, assurdo e colpevole. A che serviva sporcarlo con una verità giudiziaria?”.
“…”
“…”
“Sei venuto meno al tuo dovere, se è così che si dice”:
“Sono venuto meno al mio dovere, sì”.
“...”
“…”
“Era la tua grande occasione, avresti risolto il caso.”
“Era la mia grande occasione, sì”.
“E invece…”.
“Invece…”
“…”
“…”
“…”
“Ci stanno chiamando”
“Sicuro?”
“Si, l’usciere, laggiù, quello con il foglio in mano”.
“No, ti sbagli. Chiama qualcun altro”.
“Ma…”
“Fidati. Anzi, accompagnami a prendere un caffè al mare. Dammi giusto il tempo di liquidare Valeria…”
(fine)