martedì 13 luglio 2010

ASTRATTISMO EPICO, SINESTESIA ESTREMA

Lo stesso Bruno Basta, padre dell’Astrattismo epico o meglio ancora organico, come lui stesso lo ha definito, ci ha parlato del legame astrale che pare abbia con quello che possiamo definire il suo alter-ego, Stelak, artista o gruppo di artisti – non è facilissimo capire i borbottii del maestro dopo il decimo bicchierino di grappa - paleolitici nel periodo di passaggio tra matriarcato e patriarcato. Tra i fumi dell’alcol BB è solito dipingere e nello stesso tempo, tra un’invocazione ad Aua, Wigga e Mestwina e un borborigmo digestivo, evocare la storia di Stelak, la cui vocazione artistica passa attraverso la sperimentazione musicale, frustrata a suon di clavate, alla sperimentazione nelle arti visive. La totale mancanza di qualunque talento nel disegno non impedì a Stelak di sperimentarsi nei graffiti, ovviando all’inizio con una sorte di proto-stencil, nella cui fase arcaica, animali di piccola taglia venivano sbattuti contro la parete rocciosa. Da quello che BB ha desunto attraverso il suo legame ancestrale, tale tecnica fu abbandonata per un eccesso di cromatismo rosso. Nella fase successiva si rese necessario un connubio artistico con un altro artista che teneva fermo il soggetto mentre l’altro ne seguiva i contorni con un bastoncino annerito. Anche questa tecnica fu abbandonata quando i committenti cominciarono a chiedere ritratti di serpenti a sonagli e cinghiali.
Nonostante gli insuccessi iniziali l’artista paleolitico, alter ego di BB, non abbandonò l’idea di eseguire graffiti tentando composizione varie. Ma ogni volta il suo tentativo di ritrarre un animale lasciava perplessi gli osservatori che non riuscivano a distinguere i suoi elefanti dalle sue anatre. Quello che però suscitava la più notevole ammirazione erano i colori che Stelak realizzava con tecniche misteriose. La frustrazione per la totale negazione per il disegno veniva ampiamente controbilanciata dal virtuosismo cromatico, che Stelak produceva organicamente seguendo diete particolari. Una settimana di soli pomodori per un rosso carico. Tre giorni di bucce di melanzana per il viola. Due giorni di limoni per il giallo. Lattuga per il verde chiaro. Nel periodo più oscuro, spaghetti al nero di seppia.
Nel riproporre questa forma d’arte rivissuta attraverso il legame astrale BB ripercorre l’astrattismo di necessità, determinata dall’assoluta incompetenza nel figurativo che, proprio nella testardaggine del perenne tentativo di riprodurre forme riconoscibili senza mai riuscirvi, trova il suo carattere epico. La straordinaria varietà della gamma cromatica, anch’essa in qualche modo riconducibile alla necessità di produrre in proprio i colori attraverso un’attenta e selettiva scelta delle pietanze, hanno spinto altri critici a parlare di “Astrattismo Dietetico” o “Organico” mettendo l’accento su come la visione diretta del cromatismo Bastiano, con tutta la gamma di nuance sperimentate nelle varie versioni stagionali, induca fenomeni di sinestesia estrema in chi contempli l’opera appena prodotta. Lo spettatore lentamente, ma inesorabilmente, perde il contatto con la realtà ed è indotto ad entrare in uno stato di estasi o di demenza, poiché tutti i criteri tradizionali, visivi e olfattivi, sono rimessi in discussione. Tali opere hanno insite una portata di avventura e di azzardo che è impossibile prevedere tutte le possibili reazioni. Con l’andar del tempo la forza di rottura tende ad attenuarsi evaporando l’effetto di stravolgimento sensoriale, ma l’esperienza visiva rimane impressa nell’aspetto più profondo della nostra anima di fruitori dell’arte in tutte le sue forme, suoni e odori.

martedì 6 luglio 2010

PALCHINPARCO MON AMOUR

E’ il giorno prima del gran giorno.
L’attività per i preparativi ferve e i membri del FalSTAFF sudano sotto il sole e sotto la direzione di Daniela che, sorridendo, impartisce ordini. Paolo allunga i cavi per l’alimentazione elettrica dal palco alla console. Carlo ricontrolla la scaletta. Franca prepara i giochi per i bambini consultando l’ampia bibliografia a disposizione. Leonardo, arrampicato su un albero, monta lo striscione. Gabriele trasporta cose varie nonostante il dito ingessato. Bruno si aggira nel parco con espressione concentrata ed indaffarata.
Verso sera qualche ospite comincia già ad arrivare, dormiranno qui per essere pronti domani. Arriva anche Eugenio carico di attrezzature varie, con tanto di cuscino personalizzato. Peccato che abbia dimenticato il pigiama. No problem, dormirà con un lenzuolo avvolto a mo’ di toga con cui si aggira la sera da una stanza all’altra della casa di Daniela con ammirevole nonchalance. La notte trascorre tranquilla, anche se sono pochi gli emuli del principe di Condè di manzoniana memoria e spesso ci si ritrova in cucina a chiacchierare. Paolo ne approfitta per passare due prese in più anche lì, buone per preparare la colazione.
L’alba radiosa dell’indomani è la promessa di un giorno memorabile.
Ultimi ritocchi e prime accoglienze.
Daniela, vestita in perfetto stile “casa nella prateria” gira distribuendo altri ordini e altri sorrisi. Il parcheggio, sotto la direzione del dito inflessibile e ingessato di Gabriele, comincia a riempirsi, mentre le squadre di recupero degli ospiti dispersi per la campagna romana sono in allerta. Paolo allunga altri cavi per alimentare le varie postazioni. Franca prepara palloncini e giochi vari. La scaletta viene rivista ancora per nuove esigenze appena comunicate. Leonardo continua ad arrampicarsi su alberi appendendo cartelli ed avvisi vari. Bruno dovrebbe pulire i bagni ma, con espressione seria e indaffarata, si ricorda che è allergico proprio a quei prodotti che si usano nei bagni chimici.
Finalmente si comincia sotto il sole di mezzodì di un luglio felice di essere il mese più caldo dell’anno. Le performance si susseguono. Tutto bene, pare. Paolo, intanto, continua a tendere cavi, ogni cespuglio deve avere il suo punto luce e la sua presa per ricaricare telefonini. Franca insegue i bambini proponendo giochi vari, ma quelli sono interessati solo a fare gavettoni con i palloncini e tirarseli addosso. Intanto i pittori espongono e dipingono, i cantanti cantano, i poeti problematizzano. Richiesta di modificare la scaletta. Posticipare perché all’ora prevista il sole illuminerebbe il poeta performer dal lato sbagliato. In alternativa ruotare il palco. Carlo annuisce senza espressione. Un altro chiede di poter leggere tutto il suo poema (480 pagine!) perché solo così se ne capirebbe la grandezza. Daniela gli sorride amabile mentre gli porge un caffè pieno di sonnifero. Leonardo, da sopra l’albero dove sta appendendo l’ennesimo cartello, si accorge che Gabriele, oltre al dito ingessato, presenta una leggera zoppìa, ma quello fa segno che tutto è sotto controllo. Bruno si aggira per il parco con l’espressione sempre più indaffarata, anche se nessuno ha capito cosa stia facendo esattamente.
Carlo, dovendo modificare per l’ennesima volta la scaletta, ha deciso di scriverla in endecasillabi perfetti per poi inserirla nella raccolta “A luglio, di sabato si va necessariamente al mare!” di prossima uscita.
Paolo sta portando cavi elettrici anche a casa dei vicini, distante due chilometri, non si sa mai. Leonardo sopra l’ennesimo albero grida qualcosa a Gabriele, ma quello gli fa segno che non riesce a sentirlo perché ha cominciato ad accusare un leggero abbassamento delle facoltà uditive ma, tranquillo, sicuramente è una cosa transitoria, almeno spera. Franca, completamente fradicia, mormora qualcosa a proposito di Erode. Meglio non indagare. Daniela sorride ancora. Il dubbio viene. Non è che sia una semiparesi facciale?
Finalmente sera, poi notte. Ultime esibizioni, ultimi applausi.
Il FalSTAFF si riunisce a godersi il fresco e la stanchezza satolla di soddisfazione. Carlo ne approfitta per recitare a voce alta la versione in versi della scaletta appena composta scatenando l’entusiasmo ammirato di tutti, anche di Gabriele, nonostante abbia cominciato ad accusare anche una leggera forma di lombosciatalgia, e di Leonardo che orami usa le funi come liane spostandosi da un albero all’altro. Bruno giace su una sedia con espressione di chi ha passato tutta la giornata impegnato a fare la faccia concentrata ed indaffarata e la cosa ha consumato tutte le sue energie. Paolo cerca di convincere una delle espositrici attardatasi che starebbe benissimo con dei cavi elettrici avvolti intorno al corpo e delle prese a mo’ di orecchini. Franca infila spilloni in pupazzi con sembianze di fanciulli recitando strani mantra in lingue sconosciute. Tutto è andato bene: siamo sopravvissuti. E’ l’ora del riposo.

giovedì 1 luglio 2010

PARASTINCHI E PARADISI

(Estratto da CRONACHE DAL PARADISO - dal nostro inviato la buonanima di Dirtydancing – cronache di un giornalista free-lance che si ritrova inopinatamente in un altrove del tutto simile al paradiso narrato nei libri che leggeva da bambino con tanto di angeli e anime dei beati)

Faust è sovraeccitato. Come al solito, in fondo. E’ uno che vive tutto con perenne entusiasmo. Ce ne vorrebbero di più come lui. Da prendere a piccole dosi, però.
“E’ fatta, tranquillo!”
Si concede qualche attimo per godersi la mia espressione interrogativa. Deve riuscirmi particolarmente bene perché sembra in estasi.
“Il torneo di calcio a cinque! ”.
La mia espressione non muta e lui se ne “spara” un’altra dose abbondante, forse vuole farsene una scorta per l’inverno.
“Non te ne avevo già parlato? Rimedio subito. Domani comincia il torneo di calcio a cinque con la prima partita a cui partecipa la nostra squadra, la Cornelius F.C.. Senti che formazione: io, chiaramente, in porta, che oltre la mole e il pelame ho anche una certa agilità gorillesca. Davanti formazione a rombo. Vertice basso, difesa, tu. Due sulle fasce, a destra Filippo Tommaso Marinetti, a sinistra il marchese Lafayette. Vertice alto del rombo, attacco, indovina chi? Dai, indovina! No, anzi, lascia perdere che non indovineresti mai. Spartacus, il gladiatore”.
La mia espressione deve essere ancora comicamente indefinibile perché Faust decide di concedersene ancora un po’ beandosi di tanta faccia.
“Ho pensato a tutto, disposizione in campo, tattica, divise sociali. Tranquillo, il perizoma leopardato è opzionale. Seguimi: Spartacus è lo specchietto per le allodole, deve attirare su di se gli avversari, l’arma segreta sarà Marinetti sulla fascia. Corre come una locomotiva, non si ferma mai, anzi mentre corre fa pure i versi come una locomotiva: SPAFF, ZUM, SDENG SDENG. Ma non devi sottovalutare Lafayette, sotto quella parrucca da cicisbeo c’è un mastino che sembra Benetti dei giorni migliori. Capito? E’ un rombo dinamico, il nostro!”
“Faust, ma io che centro? Non gioco a calcio dai tempi dell’oratorio. E, figurati, neanche ci sono mai andato all’oratorio”.
“E allora? Sei un giornalista, no? Oltre a giocare, racconterai le epiche gesta della Cornelius F.C. dall’interno, la cronaca diretta dallo spogliatoio. Altro che interviste precotte. Racconterai l’epica scalata verso la vittoria, la fatica, l’eroismo, il sacrificio, l’agonismo esasperato, il sudore misto a sangue. Tutte quelle stronzate che voi giornalisti vi inventate per non far capire che non avete niente da raccontare. Te lo devo insegnare io il mestiere?”.
“Qui l’unica stronzata che vedo è la mia partecipazione. Scusa, ma io non capisco niente di calcio, non so cosa sia la diagonale, non conosco la differenza tra la ripartenza e il contropiede, mi è ancora misteriosa l’applicazione del fuorigioco. Come posso esserti utile?”.
Qui Faust fa un lungo sospiro e si trattiene a lungo a fissarmi senza rispondere. Ma la sua espressione ora è seria, sembra quasi compatirmi.
“Ascolta. Il Paradiso è grandissimo, tra trapassati e simulacri di vivi c’è tantissima gente. Se vuoi ritrovare qualcuno, l’occasione migliore è proprio questo torneo. E’ organizzato direttamente dall’ufficio del Gran Capo e tutti, ma proprio tutti, vengono a vedere il torneo. Anche Mandolina verrà, ne sono sicuro”.


Lo spogliatoio è interamente rivestito di maioliche bianche, anche sul soffitto, ed illuminato da una luce diffusa che non riesco a capire da dove arrivi. Ognuno sulla propria panca, ci prepariamo. Marinetti in silenzio, dardeggiando occhiate severe e concentrate tutto intorno, indossa calzettoni con la giarrettiera, mentre il marchese Lafayette estrae una testa di legno su cui ripone con cura la parrucca incipriata. In un angolo una montagna di muscoli ripiegata su se stessa cerca la concentrazione mugugnando preghiere. Questa visione di Spartacus dovrebbe suggerirmi un vulcano in eruzione, mi sembra piuttosto una pignatta di fagioli sul fuoco. Inutile negare, sono perplesso.
Faust, mentre indossa il perizoma leopardato, – incredibile, ce l’ha davvero – espone a voce alta le sue elucubrazioni tecnico-tattiche. Per me poche indicazioni, una su tutte: se ho la palla, devo lanciarla a sinistra sulla fascia di Martinetti. Come si sente nominare Filippo Tommaso si gira verso di me lanciando il suo grido di guerra: SDENG ZAFF BANG! Ma contro chi giochiamo?
Faust fa un gesto di sufficienza, l’A.S. Margaritas ante porcos, buone individualità ma scarso gioco di squadra. Sembra davvero fiducioso. Indossiamo le nostre divise bianche con bordi blu oltremare, ma mi colpisce che sono molto larghe, almeno tre taglie in più.
Scendiamo in campo, coperto da un manto erboso perfetto e circondato da tribune che a prima vista mi paiono infinite. Non scherzava Faust, davvero ci vengono tutti a vedere queste partite. L’altra squadra è già in campo, completo verde con scritte e numeri dorati, anche loro almeno tre taglie in più. Il capitano ha sulle spalle la scritta con il nome, Carneade – e chi è costui? – dietro di lui riconosco i fratelli Santonastaso, coppia difensiva, Ugo Foscolo credo sia la punta avanzata e in porta William Shakespeare. Arbitra Pedro Almodovar in giarrettiera e mutande di pizzo.
Comincia la partita e io mi ritrovo con gli occhi sbarrati: i giocatori si muovono lentamente, danzando con leggiadria. Piroettando sulle punte, Carneade, gestisce la palla e la appoggia ad uno dei Santonastaso, Mario credo, che con gesto teatrale la passa delicatamente al portiere. Il pubblico applaude ad ogni coreografia e la partita prosegue con giocatori più intenti alle evoluzioni aggraziate che a finalizzare il gioco cercando il tiro in porta. Ad ogni occasionale contatto è tutto uno “Scusi, non volevo” e ”Prego, è colpa mia”.
Cerco di adattarmi muovendomi a passo di danza, ma quando mi capita la palla tra i piedi al centro del campo e, alla mia banale finta, Carneade trova esteticamente piacevole cascarci in pieno lasciandomi libera la strada verso la porta avversaria, l’istinto prende il sopravvento. Non si giocano centinaia di partite in mezzo alla strada, quasi tutte ad una porta sola e “ogni tre calci d’angolo è rigore” senza che questo ti segni indelebilmente per tutta la vita e pure oltre. I Santonastaso si muovono all’unisono per contrastarmi ma, arrivati contemporaneamente davanti a me, decidono di abbracciarsi per improvvisare due passi di tango. L’applauso è assicurato ma io, che ho continuato la corsa dietro la palla, mi ritrovo da solo davanti la porta e tiro. Il portiere, Shakespeare, è intento a monologare verso il pubblico e il pallone finisce in rete. Goal!
Almodovar fischia indicando il centro del campo. Vado con tutto il repertorio delle esultanze, salto piroettando con il pugno in alto, poi la maglia sulla testa, linguaccia, aeroplanino, cullo il bambino, breakdance, ecc. Sto per cominciare le esultanze collettive ma mi accorgo che compagni e avversari mi guardano stupiti e imbarazzati. Torno nella mia metà campo fissando interrogativo Faust che mi risponde con una serie di gesti indecifrabili. Carneade intanto pone la palla al centro, alza le mani e annuncia solenne:
“No Fair Play Time”.
Una schiera di angeli volanti atterra e, divisi in squadre di tre, ci spogliano, ci dotano di elementi di protezione e caschi e ci rivestono. Quando termina la vestizione sembriamo pronti per una partita di football americano, ora la divisa calza giusta. Più stupito di prima guardo Faust che, ancora gesticolando, mi fa capire che è tutto a posto. Sarà, ma ho i miei dubbi e il ruggito con cui l’intera squadra dell’A.S.Margaritas si scaglia contro di noi me li conferma tutti.
Adesso si muovono con veemenza frenetica. Entrata feroce di Pippo Santonastano su Marinetti scatenato sulla fascia che, cascando, scava un solco. Scambio col fratello per evitare Spartacus che, manca, in effetti, la palla ma centra in pieno l’avversario scaraventandolo in alto. Pippo si alza in volo per quattro, cinque metri agitando freneticamente gambe e braccia dopodiché ricade pesantemente sopra Martinetti che si stava rialzando. Contrasto violento tra Ugo Foscolo e Lafayette, le scintille provocate dallo sfregare delle armature protettive bruciacchiano le loro divise mentre rotolano a terra, io controllo la palla, sono pronto a calciare, ma Carneade mi sbatte spalle a terra finendomi sopra, faccia a faccia. Ne approfitta per ringhiarmi sul viso lasciando colare una bava di saliva che potrebbe annegare un animale di taglia media. Una pallonata tremenda lo prende in piena fronte, salvandomi. Il pubblico in delirio sostiene Martinetti che scatta di nuovo sulla fascia sbuffando davvero come una locomotiva, evita questa volta l’entrata assassina di Pippo e crossa al centro. Groviglio di corpi, risolve Spartacus che trascina tutto il gruppo di peso in fondo alla rete: 2 a 0. Corro ad abbracciare il goleador, faccio appena in tempo a toccarlo che tutto il resto della squadra, compreso Faust, ci piomba addosso. Poi non ricordo nulla.
Mi sveglio negli spogliatoi dopo chissà quanto tempo. Moana Pozzi vestita da infermiera mi sta rimboccando le coperte. La guardo inebetito e lei mi sorride.
“Sono in paradiso?”.
“Sì”.
(fine… per ora)