venerdì 20 agosto 2010

L’UFO

Continuano le segnalazioni di avvistamenti da parte di cittadini sempre più preoccupati per un inquietante fenomeno che ha caratterizzato queste giornate estive nella nostra in città e che vasta eco hanno avuto finora sulla stampa locale. Si parla ormai apertamente di UFO e, anche se le autorità non si sono ancora pronunciate, nei bar, nei centri commerciali, per strada le persone sempre più spesso si scambiano questa parola insieme a sguardi che assumono le sfumature più diverse secondo le circostanze dell’avvistamento.
L’unico elemento che accomuna tutti gli avvistamenti è il luogo: tutte gli avvistamenti sono avvenuti lungo quella fascia che affianca la strada che dal centro città conduce a Capo Portiere. Si tratta di un’area che si sviluppa per una decina di chilometri con una larghezza variabile che da poco più di un metro all’interno della città, dove è caratterizzata da una pavimentazione in betonelle e da una vegetazione piuttosto invasiva, raddoppia andando verso il mare dove la pavimentazione tende a diventare in asfalto ed è separata dal resto della carreggiata, normalmente dedicata al traffico veicolare, da parapetti in cemento.
Lungo questo percorso dove i cittadini svolgono le abituali attività quali passeggiare, fermarsi a chiacchierare, fumare, leggere il giornale, sostare con motorino, auto, SUV, autocarro, autoarticolati, depositare i coloratissimi sacchi della differenziata e qualunque altra attività che venga loro in mente – la fantasia non manca dalle nostre parti – da qualche giorno misteriose apparizioni stanne gettando lo scompiglio.
Si parla di uno strano veicolo che si muove sul terreno quasi senza rumore e che sarebbe caratterizzato da una forma tendente al piatto posta in verticale, ossia perpendicolare al piano stradale. Quello su cui molte testimonianze convergono è la presenza di due forme circolari – qualche esagitato parla di un numero maggiore ma lo stato di sovreccitazione ci porta ad escludere tale ipotesi in quanto come è noto, secondo il principio di Heisemberg, la descrizione del fenomeno è sempre influenzata dall’osservatore – poste una nella parte frontale e l’altra in quella posteriore in modo che le due forme appartengano comunque allo stesso piano geometrico, e che ruotando su se stesse consentono al veicolo di spostarsi nello spazio.
Le due forme circolari – che qualche intervistato azzarda a paragonare a ruote – sono collegate tra loro da una struttura metallica al cento della quale sarebbe posizionato un essere più o meno antropomorfo che sta in una posizione quasi seduta e, sembrerebbe da quello che si dice, che non stia fermo ma muova alternativamente le due lunghe propaggini inferiori allo scopo di assecondare, almeno così è stato teorizzato, il movimento all’apparecchiatura sottostante.
Questa descrizione ha spinto l’esperto, inviato in zona da una nota trasmissione televisiva che si occupa di fenomeni apparentemente inspiegabili, a fare un parallelo con il famoso “astronauta di Palenque” un’incisione su una pietra tombale maya ritrovata nel Tempio delle Iscrizioni, nello stato messicano del Chiapas, dove è ritratta una figura umana in una posa che ricorda quella di un viaggiatore spaziale intento a pilotare un veicolo non identificato. La postura dell’incisione ricorda in modo molto vicino quella della descrizione dei testimoni, troppe le analogie per pensare che sia solo frutto del caso, almeno secondo l’esperto.
L’altro giorno si sono avuti momenti di estrema tensione quando il fenomeno si sarebbe manifestato in un punto della carreggiata, caratterizzato da un bizzarro rialzamento del suolo e da decorazioni fatte con vernici bianche, realizzato in modo da collegare un marciapiede all’altro. In quel momento la strada era percorsa allegramente dalle auto degli aspiranti bagnanti e alla vista dello strano veicolo ci sono stati momenti di confusione e anche scene di panico. Una donna ha avuto necessità di ricorrere al pronto soccorso dopo aver perso i sensi per l’emozione.
Come dicevamo non tutte le reazioni sono state dello stesso tipo. Alcuni fedeli hanno invocato la presenza del vescovo attribuendo il fenomeno a non meglio identificate presenze. Costoro avrebbero osservato, infatti, che lungo il percorso sono stati tracciati più o meno a distanza costante dei segni bianchi che risaltano sulla coloratura rossiccia dell’asfalto. Tali segni ricorderebbero in forma stilizzata il misterioso veicolo descritto nelle apparizioni. Pertanto, secondo le ipotesi di coloro che hanno invocato la presenza dell’alto prelato, questi sarebbero indicazioni di riti magici effettuati da misteriose sette. E’ noto, afferma il loro portavoce, che quelli che si dedicano a culti esoterici soni usi a tracciare simboli a terra intorno ai quali lanciarsi in danze lascive tipiche dei riti orgiastici.
Per l’esperto inviato dalla nota trasmissione televisiva, tali segni sarebbero da ricondurre, invece, ad una sorta di sistema di comunicazione aliena tutta da decifrare, tanto più che tale riproduzione stilizzata sarebbe presente anche su dei dischi metallici appesi a dei pali posti lungo il percorso in cui il disegno stilizzato è riproposto di nuovo in bianco su fondo azzurro. Questi sono di due tipi, uno semplice come già descritto e un secondo tipo che al disegno aggiungerebbe una fascia diagonale rossa. Una chiara indicazione di un codice che segnala situazioni differenti e quindi la comunicazione diretta a coloro che sono in grado di decifrarlo. L’esperto anche in questo caso spiega che il modello di riferimento va trovato nei geoglifi di Nazca - linee tracciate sul terreno, del deserto del Perù, con i profili stilizzati di animali, alcuni lunghi più di 180 metri, e che possono essere visti solo dall’alto - e quindi l’ipotesi più probabile, per analogia, è quella che il percorso altro non sarebbe che la pista di atterraggio di questi misteriosi mezzi di locomozione.
La forza d’animo, comunque, non difetta nei cuori dei nostri concittadini che, nonostante queste inquietanti apparizioni, continuano a svolgere le normali attività lungo il percorso, passeggiando, leggendo il giornale, depositando i coloratissimi sacchi della differenziata, sfregando gratta e vinci, parlando al cellulare e, soprattutto, parcheggiando ogni tipo di veicolo alla faccia del misteriosissimo UFO.

sabato 7 agosto 2010

SOGNI RIPOSTI

Il sole che filtrava attraverso le stecche della persiana affettava le ombre della scrivania su cui mio zio Alfredo passava tanto tempo. Troppo secondo zia Maria Rosaria, la moglie, che gli rimprovera tutte quelle ore spese nello studio in mezzo ai suoi libri, anche adesso che stava in pensione. E troppo anche secondo me, suo nipote, che amavo andare in quella stanza sopratutto nelle prime ore del pomeriggio, quando la famiglia si concedeva la pennichella ristoratrice dalla calura estiva, e dovevo attendere che finalmente i reclami della moglie costringessero lo zio a concedersi un po’ di riposo almeno durante le ore più calde.
Erano quelli i momenti in cui approfittavo per starmene solo là dentro, sdraiato sul divanetto fiorato a seguire i giochi del pulviscolo nei raggi luminosi, perdendomi nei miei pensieri. Fin da piccolo mi ero convinto che quel luogo fosse magico. Mi sembrava di cogliere un’atmosfera particolare, densa come quella dell’attesa febbrile prima di uno spettacolo. Le prime volte avevo provato a sfogliare i libri, ma mi ero annoiato subito e preferivo stendermi, con la testa su un bracciolo e i piedi sull’altro, a fantasticare fino a che lo stato di dolce abbandono, che quel luogo mi creava, mi faceva scivolare in un sonno appagante. Ed era proprio in quel momento indefinito che i sogni ad occhi aperti di quattordicenne in preda ai primi turbamenti sessuali si confondevano con i sogni veri e propri.
Così quel giorno, quando la porta del ripostiglio, che dava in quella stanza e in cui lo zio accumulava scatole e oggetti misteriosi, si aprì lasciando entrare una donna vestita con una gonna ampia e stretta in vita, come quelle che avevo visto solo nei libri di storia dell’ottocento, mi stupii ma fino ad un certo punto.
“E’ arrivata?” mi chiese con un tono deciso e nervoso che tradiva un accento straniero.
I capelli neri e lisci, divisi a metà sul capo, le incorniciavano il viso pallido con labbra carnose che mordicchiava in attesa della mia risposta.
“Chi, scusi?”
“La santarellina, mon Dieu. E’ arrivata o no?”
Lunghe ciglia donavano una profondità intensa al suo sguardo.
“Veramente… non saprei, cioè… non è entrato nessuno tranne lei” balbettai tra il sorpreso e l’imbarazzato.
“Sempre in ritardo. Ama farsi desiderare, la santarellina”.
I gesti, sempre più a scatti, tradivano tutta la tensione. La donna camminava avanti e indietro nel tentativo di scaricare il suo nervosismo. Si fermò e fissò il suo sguardo profondo nei miei occhi. Duro all’inizio. Poi quelle palpebre munite di lunghe ciglia voluttuose si distesero, addolcendosi. Mi sentii svuotato e riempito di nuovo. Fino a che, come riprendendosi da un incanto, lei gettò la testa all’indietro e ricominciò a camminare nervosamente.
“Bene. Quando arriva, le dica di attendermi”.
“Chi? Mi scusi, chi deve attendere chi?”
“Me, sciocco. Deve attendere me. Le dica di attendere. Emma vuole parlare con lei”.
Di nuovo aprì la porta del ripostiglio e la richiuse dietro di se, sbattendola.
Dunque, cercavo di ricapitolare. Qualcuno doveva attendere qui, nello studio-biblioteca di zio Alfredo, una francese di nome Emma che era appena rientrata nel ripostiglio. Quel posto era magico, non c’erano dubbi.
Mi ero steso alla ricerca del filo interrotto dei miei pensieri quando sentii di nuovo la porta del ripostiglio che si apriva. Entrò una ragazza vestita con una gonna ampia, una camicetta e uno scialle sulle spalle, che mi ricordava tanto quello che usava la zia di inverno. Con estrema delicatezza e molta attenzione chiuse la porta dietro di sé e, mentre con una mano metteva a posto un elemento della sua complicata acconciatura a raggiera, mi sorrise affabile.
“Buongiorno. E’ arrivata?”.
“Buongiorno. Chi, la francese?”.
“Già. E’ sempre in ritardo”.
“Veramente è rientrata poco fa nel ripostiglio. Anzi, strano che non vi siate incontrate. Comunque ha lasciato detto di attenderla”.
“Se crede che io abbia tempo da perdere. Le dica che ripasserò dopo”.
“Ma chi devo dire?”.
“Le dica che la signora Tramaglino è arrivata puntuale ma lei non c’era”.
Detto così anche lei uscì dalla stanza o meglio rientrò nel ripostiglio.
Tramaglino, nome curioso. Mi ricordava qualcosa. Sembrava una del nord con quell’accento. Una del nord e una francese. Ma perché si davano un appuntamento a casa dei miei zii, qui a Formia?
Mi ero steso sul divanetto, e questa volta stavo per addormentarmi mentre tentavo di capirci qualcosa, quando sentii bussare. In dormiveglia risposi “avanti” senza rendermi conto che era ancora la porta del ripostiglio. Fece capolino una testa di un uomo di mezza età, paffuta e timorosa. Accennò ad entrare. Era vestito di nero con un colletto bianco e un libricino in mano. Si guardò intorno con estrema circospezione poi mormorò
“Mi scusi” nella mia direzione e sparì richiudendo la porta.
Neanche il tempo di chiedermi chi fosse costui e quindi riabbassare la testa per perdermi di nuovo nei miei sogni erotici di adolescente che due voci riempirono la stanza discutendo in modo animato.
“Insomma signor Darcy. Lei non può avere un appuntamento con Lucia”.
Il tono era decisamente imperioso e contrastava con la sua figura piuttosto minuta. Era vestito con larghi stivali, mantello e cappello piumato.
“Lucia, dunque è questo il suo vero nome. Sapevo che non poteva essere chi aveva millantato. E, comunque, perché non potrei avere un appuntamento con lei? Cosa lo impedirebbe?” rispose l’altro. La figura slanciata dell’uomo era enfatizzata dalla giacca nera con una coda, il panciotto grigio e i pantaloni bianchi a vita alta, ma soprattutto dal cappello a cilindro che lo faceva torreggiare rispetto al suo antagonista.
“Non mi costringa a chiamare i miei bravi”.
“Via, Rodrigo. Siamo tra gentiluomini. Le sembra il caso di scatenare una volgare rissa?”.
“Lo decido io se è il caso o no”.
“Sì, certo. Ma, a proposito, ha visto chi sta per arrivare? Meglio nascondersi non crede?”
“Ha ragione. Quando quella è in quello stato neanche i miei bravi possono qualcosa”.
Rientrarono precipitosamente nel ripostiglio lasciandomi sempre più perplesso. Pochi secondi e la porta si spalanca di nuovo. La francese di prima esordisce a voce alta:
“Chi c’era qui? Ho sentito delle voci. E’ arrivata, allora”
“No, cioè sì. C’erano due signori, ma prima è passata anche la signora Tramaglino!”.
“La signora Tramaglino! Altro che signora.”
“Emma ti prego. Pensa allo scandalo…”.
“Dio mio, Charles. Sempre a pensare agli scandali? E poi perché mi stai sempre dietro?”.
Non mi ero accorto dell’omino basso che era entrato dopo di lei. La donna, sempre più alterata, rientrò nel ripostiglio seguita dall’uomo.
Io restai seduto sul divano, sempre più perplesso, cercando almeno di mettere un po’ di ordine, e mentre stavo rifacendo l’elenco delle entrate in scena, la signora Tramaglino aprì nuovamente la porta del ripostiglio. Stavolta seguita anche lei.
“Via, Lucia, a volta mi fate capire che mi amate, a volte invece vi divertite a freddarmi con le vostre battute sferzanti”.
“Non dica sciocchezze, signor Montecchi. Sono una donna sposata e timorosa di Dio. Non potrei mai, intenzionalmente, lasciarvi intendere cose che non riesco neanche ad immaginare”.
“Eppure i vostri sguardi e le frasi allusive che colgo ogni volta che mi sporgo dalla copertina non mi lasciano dubbio alcuno. Voi mi amate”.
“Io amo mio marito”
“Quel beone? Da quando vi ha sposata frequenta tutte le bettole della biblioteca”.
“E’ una menzogna!”
“Voi dite? L’altra sera si stava ubriacando con i marinai del Pequod che festeggiavano la loro partenza. Ormai è così grasso che l’altro giorno quello spagnolo segaligno lo ha scambiato per il suo scudiero. Continuava a chiamarlo Sancho e a dirgli di portargli il suo cavallo”.
“Povero Renzo. Si sacrifica così tanto per me. Mi sembra giusto che la sera voglia distrarsi e andare a bere qualcosa in osteria”.
“E voi ne approfittate per veder i vostri amanti”.
“E questa cosa è? Una scena di gelosia? E con quale diritto?”.
“Il diritto che mi dà l’essere innamorato di voi”.
“Come correte, caro Romeo. E, dite, come sta la signorina Capuleti?”.
L’uomo serrò i denti e strinse i pugni. Poi, sbuffando e imprecando, rientrò nel ripostiglio sbattendo la porta.
La signora Tramaglino non si scompose più di tanto. Si mise passeggiare per la stanza, lentamente. Si voltò verso di me e mi guardò con un accenno di sorriso che mi lasciò stupito. Forse non era proprio bellissima, il suo viso leggermente paffuto e quella bocca troppo carnosa, ma aveva un modo di guardare e di sorridere che erano tutto una promessa. Giusto il tempo di crederci e, un attimo dopo, quel sorriso diventava più ampio e beffardo come a far capire che forse quella promessa me la ero inventata io fissando troppo intensamente. La seguii con lo sguardo mentre faceva passare la mano sui dorsi dei libri allineati sugli scaffali.
Abbassò gli occhi come a difendersi da un mondo ostile e crudele poi improvvisamente me li puntò in faccia, fulminandomi. Mi sentii svuotato e riempito di nuovo, all’istante. Un solo sguardo bastò alla fanciulla.
Rimasi seduto ad osservarla per non so per quanto fino a che la francese entrò impetuosamente nella stanza e rimase sulla soglia senza dire nulla. Sembrò che tutta l’aria, che fino allora era stata immobile e stantia nell’afa estiva che riempiva la stanza, intorno a lei cominciasse a turbinare. La sua figura, esile e nello stesso tempo energica, vibrava trasmettendo la tensione a tutto ciò che le era intorno. Avrei voluto parlare ma la tensione me lo impediva. Lucia, che volgeva la schiena al ripostiglio in quel momento voltò di mezzo giro le spalle e la testa poggiando una mano sul tavolo. Alla vista dell’altra rimase qualche istante irrigidita in una posizione ruotata come una di quelle colonne che si innalzano a spirale. Poi ruppe il silenzio.
“Anche voi qui! Che coincidenza!”.
“Coincidenza? È tutto il giorno che la sto cercando, signora Tramaglino”.
“Lo so, me lo hanno detto tutti che volevate parlarmi. E come mai, di grazia? A cosa devo tanto onore? ”
“Che sfacciata! Me lo chiede pure!”
“Siete adirata con me e non ne comprendo la ragione. Forse siete un po’ esaurita, madame. Dovrò pregare anche per voi.”
“Tenete per voi le vostre preghiere, gatta morta!”
“Ancora non comprendo il motivo della vostra ira”.
“Non comprendete, vero? Con chi eravate poco fa?”
“Non credo che sia affar vostro, madame”.
“Certo che è affar mio! Da quando vi siete messa a civettare con chiunque indossi un paio di pantaloni lo è diventato. Cosa ci trovino in voi gli uomini, questo ancora non me lo so spiegare”.
“Allora è questo il problema. Ma che ci posso fare io se gli uomini sono alquanto volubili?”.
“Tornatevene da quel panzone del vostro marito”.
“E voi da quel noioso del vostro, allora”.
“Badate che se è la guerra che volete, io …”.
“Mi minacciate? Non vi temo. La divina Provvidenza mi ha protetta da ben altri pericoli”.
“Sì, la divina Provvidenza, la raccontate così voi. Ma chissà che avete combinato con l’Innominato. Lo dicevano pure le sorelle Materassi. Qualcosa di innominabile, certamente. Lo conosco bene quello lì”.
“Da che pulpito. Per quanto mi riguarda, lezioni di decenza da voi non le accetto”.
“Infatti. Io passo per quella facile e poi le altre, le presunte santarelline, fanno i fatti”.
“Ma ancora non riesco a comprendere bene il motivo del vostro astio nei miei riguardi, madame”.
“Voi non comprendete, quindi. Allora, solo per narrarvi l’ultimo episodio, proprio questa mattina è venuta da me Lady Chatterly a pretendere spiegazioni”.
“Non vi seguo”.
“Sembra che ieri si sia recata al solito casotto ma il guardacaccia non le ha aperto subito. Lei ha sentito che c’era qualcuno con lui. Quando è entrata lo ha costretto a confessare che stava con una donna a fare di tutto. E’ questa donna gli si era presentata con il nome di Emma Bovary”.
“E dunque?”.
“E dunque non è possibile perché ieri io mi trovavo da tutt’altra parte. E non è il primo caso che qualcuna si sia spacciata per me”.
Lucia si strinse nello scialle e sorrise.
“Ma sì, lo ammetto! Ho usato il tuo nome. La prima volta è stato con Tristano. Mi piaceva così tanto. Tutti sanno che sono maritata e allora, quando ha chiesto il mio nome, ho pensato di darne un altro. Vedessi il sorriso che ha fatto quando ha sentito il tuo! E come si è scatenato dopo! Allora l’ho usato spesso e devo confessarti che il tuo nome funziona alla grande con gli uomini”.
“Allora lo ammetti? Sgualdrina! E io che ti ho pure confidato perché Gatsby lo chiamano grande e il motivo del soprannome di Liolà!”.
“Tutto verificato di persona. Grazie, madame”.
“Sei una stronza e una pedofila. Ti sei fatta pure Pinocchio!”
“Moderate le parole e non strillate, sopratutto Se vi sentissero potrebbero pensare che temete la concorrenza”.
“Vi temo? Piuttosto vi meno!”.
Emma scagliò contro la rivale un volume preso dallo scaffale a lei vicino. Lucia si abbassò venendo colpita solo all’acconciatura. Non di meno si adirò anche lei.
“Accidenti! Non sai quanto mi ci vuole per sistemarmi tutto questo armamentario in testa. Adesso ti faccio vedere io, madame dei miei stivali. Che volume è questo? I fratelli Karamazov, li ho già conosciuti bene. Adesso godeteveli voi!” e scagliò il libro.
Emma si riparò lesta dietro il tavolo.
“Visto che ci tenete tanto alla provvidenza beccatevi ‘sti Malavoglia.
Lucia, coprendosi la testa, si getta sulla collezione dei Meridiani e, attingendo a piene mani, scagliò in rapida successione Hemingway, Alda Merini e Pirandello.
Emma da dietro la scrivania si difese con la collezione Oscar Mondadori di cui fece partire lanciandoli di piatto una serie di piccoli volumi in ordine sparso.
Passando poi alla serie dei gialli di Agatha Christie.
Lucia rispose mitragliando con la collana dedicata alle monografie dei principali artisti rinascimentali.
Il caos in tutta la stanza e io mi rifugiai dietro il divano.
“Ma che succede qua?”
La voce dello zio Alfredo riportò il silenzio. Lentamente alzai la testa dalla mia trincea di fortuna. Le due donne erano scomparse. La stanza era piena di libri sparsi dovunque e lo zio aveva cominciato a raccoglierli. Io mi avvicinai cercando di spiegare:
“Vedi zio, c’erano due signore che sono uscite dal ripostiglio, anzi non solo loro anche altri. Ma poi sono rimaste sono loro due e hanno cominciato a litigare e a …”.
Mentre parlavo lo zio, che all’inizio mi aveva ascoltato in silenzio con un’espressione indecifrabile, si era alzato ed era andato verso la porta del ripostiglio e l’aveva aperta mostrandomi il contenuto: solo le solite scatole e vecchi vestiti.
“Ma io le ho viste…”
Voleva essere una protesta, mi uscii quasi uno squittio. Lo zio, chinato senza parlare, continuava a raccogliere i libri mentre io cercavo di ricostruire quello che era successo.
Fino a che non mi mise davanti la copertina di un libro. Con quei capelli neri lisci e quegli occhi profondi non poteva che essere lei, la francese con la sua irruenza passionale. Poi un’altra copertina e riconobbi la ragazza con la strana acconciatura insieme a un giovane che la guardava con sguardo da innamorato. Avevo sognato tutto?
“Eppure quando mi guardavano tutte e due sembravano così… così…reali … e io pure mi sentivo così…come spiegartelo?”
Lo zio smise di raccogliere i libri e mi fissò. La sua bocca rimase seria, ma le palpebre si distesero e gli occhi presero una luce diversa. Poi forse anche il labbro accennò ad allungarsi sotto i baffi ma da un lato soltanto. Riprese a raccogliere i libri ma con gesti più rilassati.
“Lo so!” disse alla fine.
Avevo ancora tra le mani il libro con l’immagine della francese in copertina. Appariva di spalle ma come accennasse a voltarsi e il viso di tre quarti rivolto verso l’osservatore veniva colpito da una luce calda che metteva in risalto lo sguardo profondo.
“Me li presti questi libri, zio?”
“No!”
Il tono fermò mi colpì. Lo sguardo dello zio per un attimo si era indurito. Poi di nuovo l’ombra del sorriso apparve sotto i baffi. Una mano prese il portafogli e l’altra contò delle banconote.
“Però, eccoti i soldi per acquistare la tua copia personale. Così cominci a farti la tua collezione che metterai in un futuro studio-biblioteca. E mi raccomando che in quella stanza ci sia sempre la porta di un ripostiglio”. (fine)