venerdì 7 marzo 2014

GRIGIO


GRIGIO     di Laura De Angelis e Bruno Di Marco

Grigio.
Come il cemento su cui poggia questa sedia.
 Traballante sotto le mie ossa stanche.
Che ne sanno loro?
Che ne sanno della mia vita?
Per loro sono Gina, anzi Gina la lagna, una vecchia rompiscatole.
Mica lo sanno che sono stata giovane come loro.
Piena di gioia di vivere come loro. Più di loro.
Che ne sanno dei miei amori?
Di quanti mi guardavano col vestito della festa davanti alla chiesa?
Non sanno nulla loro.
Vedono solo questo corpo lungo e ossuto come una poesia triste.
Credono sia nata così.
Grigio.
Come la veste larga sul corpo che scompare sotto le pieghe sciatte. Troppe, per ricordare l'armonia dei movimenti.
Che ne sanno degli anni della scuola, solo le elementari, sei una femmina, solo leggere e scrivere, che altro ti serve?
Che ne sanno di quanto avrei voluto studiare?
Ma ero solo una femmina.
Che ne sanno di quando sono scappata di casa per andare a lavorare in tabaccheria?
Ho pure mentito sulla mia età.
Grigio.
Come i miei capelli di Menade sconfitta. Negli spigoli scarnificati dal tempo della mia vita.  In un deserto di cose abbandonate.
Non sanno nulla della guerra, nulla di quando in bicicletta portavo cibo e munizioni a Mario e gli altri.
E le stupidaggini da raccontare ai fascisti quando mi fermavano.
Che ne sanno della fame dopo la guerra, Mario invalido, i figli piccoli e inventarsi il lavoro per sfamarli.
Non sanno niente.
E degli scioperi, dei picchetti, delle camionette della polizia che giravano intorno a noi e i celerini che menavano manganellate.
Niente della morte di Mario.
Del figlio coinvolto nella lotta armata e ora all’ergastolo.
Della figlia emigrata all’estero che mi incolpa del disastro familiare.
Grigio.
Come i ricordi sbiaditi dal tempo.
Persi nel disordine della mia mente. Lontana. E' lontano il luogo del dolore.
Che ne sanno della solitudine?
Nulla.
Non sanno nulla .
Conoscono solo Gina la lagna.
Questa vecchia che sa solo lamentarsi di tutto e di tutti.
Una che risparmia su tutto, chissà che ci deve fare con i soldi, ‘sta tirchiaccia.
E che ci devo fare?
Nulla.
Se non l’ultima cosa possibile sulla terra: un funerale.
Tutti i soldi messi da parte per avere un funerale bello.
La bara, i fiori e pure la banda.
Così tutti si sarebbero ricordati di Gina, quella vecchiaccia che quando è morta ha avuto un funerale degno di un presidente della repubblica.
Sì, sarebbe stato uno spettacolo.
E invece.
La figlia del vicino che si ammala.
Proprio lei, una della più accanite nel deridermi. Lei e tutte le sue amiche.
Servono soldi.
Tanti.
Quanto ho risparmiato per il mio funerale. 
Sancta mater, istud agas crucifixi fige plagas cordi meo valide. 
Un funerale.
In fondo a che mi serve.
Sarò morta quel giorno.

Allora busso alla porta, mi fanno entrare con una faccia…
Io non dico nulla, mi avvicino al tavolo e vi rovescio il contenuto del mio zinale.
Mi guardano con gli occhi sbarrati.
Mi giro e me ne vado.
L’intervento è andata bene.
Ora mi salutano.
Buongiorno, buonasera.
E mi chiamano signora.
Ma continuano a non sapere nulla di me.
No, non sanno proprio nulla di Gina.
Gina la lagna.
Grigio.
Come la solitudine umana.
Specchio di me.
Seduta, ora, su questa sedia traballante sotto le mie ossa stanche.


Grigio. Come il cemento su cui poggia questa sedia. Traballante sotto le mie ossa stanche.
Grigio. Come i ricordi sbiaditi dal tempo. Persi nel disordine della mia mente. Lontana. E' lontano il luogo del dolore.
Grigio. Come la veste larga sul corpo che scompare sotto le pieghe sciatte. Troppe, per ricordare l'armonia dei movimenti.
Grigio. Come i miei capelli di Menade sconfitta. Negli spigoli scarnificati dal tempo della mia vita.  In un deserto di cose abbandonate.
Grigio. Come la solitudine umana. Specchio di me. Seduta, ora, su questa sedia traballante sotto le mie ossa stanche.
Sancta mater, istud agas crucifixi fige plagas cordi meo valide.
(Santa Madre, fai questo: imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso fortemente nel mio cuore – da Stabat Mater)