domenica 6 ottobre 2013

ARCHITETTURA E GEOMETRIE NON EUCLIDEE


1 - DALLO SPAZIO “ORGANICO” DELLE ORIGINI ALLO SPAZIO GEOMETRIZZATO DELLE CIVILTÀ URBANE

Le recenti esperienze dell’architettura contemporanea, sottraendosi al rigido controllo delle matrici della geometria classica, aspirano ad avvicinarsi al fascino della casualità riscontrabile in natura.
La naturalità dello spazio non euclideo rimanda alle prime esperienze dell'uomo sia come individuo (il grembo materno) che come specie (gli anfratti naturali).
Bruno Zevi, nel suo testo Controstoria dell’architettura in Italia. Preistoria - Alto Medioevo , scrive:

…prima di individuare quanto c’è nelle caverne, notiamo quello che manca. E’ assente tutto ciò che di negativo è stato accumulato nell’architettura nei secoli posteriori. Paradossalmente si potrebbe affermare che, sotto il profilo linguistico, l’uomo moderno, in modo consapevole o inconscio, aspira a tornare all’esperienza cavernicola…

Zevi spiega che gli elementi tipici che lui stesso individua in alcune opere di architettura contemporanea (continuità spaziale dello spazio interno, rapporto interno-esterno e abolizione della facciata, luce sempre variata e non omologata, variazione degli spessori e continuità con il terreno su cui sorge) sono tutti presenti in queste prime abitazioni. Tali valori sostanzialmente rimangono rispettati nelle abitazioni artificiali preistoriche: dalle capanne alle stazioni palafitticole alle strutture abitative dei nomadi, alle case-grotte di Matera, ai villaggi nuragici.
Con la nascita delle grandi civiltà urbane, lo spazio artificiale è realizzato secondo le regole della geometria euclidea. Scrive ancora Zevi nel volume già citato:

…il morbo geometrizzante conculcherà tali valori disseccando il discorso in parallelepipedi, sicché i messaggi materici, i coinvolgimenti sensoriali, tattili, termici e olfattivi, ne risulteranno attutiti o anchilosati (...) Con l’inizio della storia impera la tipologia…

La scelta di organizzare lo spazio artificiale secondo le regole della geometria euclidea ha ragioni economiche (praticità) e ragioni simboliche (gerarchia). I grandi insediamenti del periodo storico hanno dimensioni superiori ai villaggi preistorici. L’organizzazione dello spazio urbano (dallo schema ippodameo al castrum romano) sfrutta l’ortogonalità, che consente un controllo quantitativo sulle superfici.  Lo spazio rettificato si ripercuote anche all’interno dell’edificio generando una concezione razionalizzata che organizza i “parallelepipedi” da abitare distinguendo le parti in base alla funzione: pavimento, soffitto, pareti-facciate. La parete-facciata oltre alla mediazione interno-esterno provvede a comunicare messaggi legati alla funzione dell’edificio. L’edificio di rappresentanza del governante ha una facciata diversa da edifici produttivi, edifici per spettacoli, edifici da abitazione: la facciata comunica quindi la gerarchia. E’ fondamentale che la gerarchia sia facilmente leggibile. Da qui la prevalenza di architetture che, all’esterno e all’interno, siano strutturate su geometrie inequivocabili e, a volte, l’edificio simbolo è una forma geometrica pura (Piramide). 
 (continua)

giovedì 29 agosto 2013

Esplorazione tecnico-poetica del territorio



Il gusto del lavoro, minuzioso, lento, attento, intenso riempie le opere di Marcello Trabucco. Il tocco dell’artista è sedimentato nelle tracce dei gesti che riempiono queste incisioni, donando all’osservatore la percezione dell’attività stratificata in lunghe sedute di concentrata ispirazione.
Le composizioni fondono i due aspetti, tecnico e poetico, come appunti mentali di un ipotetico viaggiatore, dotato del bagaglio di conoscenze dell’architetto e del senso artistico del pittore innamorato delle vibrazioni cromatiche delle sue composizioni.
La sensibilità del viaggiatore romantico e colto, infatti, si esprime in questi miraggi mentali che coniugano la freddezza tecnica delle planimetrie misurabili con la suggestione delle mura diroccate, cariche di antiche glorie e di irriverente vegetazione, che rimandano alle visioni ottocentesche care a Ruskin.
Il dettaglio naturale e il dettaglio architettonico godono della stessa attenzione, intensa e appassionata: il paesaggio è evento umano compreso nell’evento universale della natura.
La delicatezza del tratteggio che rende il passaggio luminoso del chiaroscuro di una colonna e del sovrastante capitello, finemente descritti, è la stessa con cui vengono resi gli intrecci ombrosi delle forme vegetali.
A volte, come nel caso dell’incisione dedicata ai “Ruderi della chiesa di s. Prudenziana a Sermoneta”, l’elemento vegetale diventa il vero protagonista. L’immagine dell’ulivo prende il sopravvento sulle antiche vestigia non solo per la posizione centrale, ma soprattutto per la cura e l’attenzione nel definirne i dettagli.
Il rudere, residuo di un manufatto artificiale che esprimeva il dominio umano sull’ambiente naturale circostante, diventa uno degli elementi del paesaggio. Il rudere è il fantasma del passato glorioso, ma è soprattutto parte del contesto, non più dominante ma dominato. Sic transit gloria mundi. La memoria, però, rimane grazie all’evocazione contenuta nelle incisioni dell’artista.



martedì 9 luglio 2013

arconero a Caffeina

2 luglio 2013
"Caffeina"  a Viterbo
2 luglio 2013.
Presentazione di "Arcobaleno Nero" per il premio "M. Romiti" nell'ambito della rassegna "Caffeina" a Viterbo



martedì 21 maggio 2013

arconero a "frammenti"

 

... NERI  FRAMMENTI  DI  ARCOBALENO ...    

domenica 26 ore 17, 

nell'ambito della rassegna "FRAMMENTI"

presso l'ex garage ruspi a latina, 

    letture da "Arcobaleno nero"
di D. Rindi e B. Di Marco.

Maurizio TARTAGLIONE,
Giorgia PIRACCI
e Luana STROZZI
leggeranno brani estratti dal romanzo.
Accompagnamento musicale di Stefano MANDATORI


antologia "sapori"

presentata venerdì 17 maggio.
contiene anche un racconto
di un certo Bruno DE  Marco... :)

venerdì 19 aprile 2013

arcobaleno a "lievito"

lunedì 29, alle ore 17 a palazzo emme


martedì 5 marzo 2013

otto marzo

http://www.regione.lazio.it/musei/anzio/argomento1.php?id=167&vms=53&page=1


foto di Giò Marino


"...
In fondo al rettilineo appare la ciambella vetrosa del palazzetto dello sport dell’Eur. Fine del viaggio o quasi. Nenè sente il bisogno di chiedere emergere impellente dentro di lei:
“Zia, ho bisogno di sapere di Diego”.
Angela contrae le labbra, guardando fisso davanti a sé.
Infila la testa nella borsa, rovistando rumorosamente. Finalmente riemerge.
“Voglio sapere di lui”.
“E di tua madre invece?”.
Adesso è Nenè che cambia espressione, crucciandosi.
“Non vuoi mai parlare di lei”.
“No, lo sai bene”.
“Lo so bene, hai ragione”.
“Mi devi spiegare di lui, invece”.
“Non saprei cosa dirti, cara Nenè”.
Rimane solo il rumore ottuso del motore, mentre l’auto si approssima al grande incrocio segnalato da una fila di semafori tutti rossi.
“Lei lo odia” si ritrova a pensare Nenè, mentre le sue mani stringono il volante e la tensione nelle dita le fa tremare i polsi. Fino a poco tempo prima, mai aveva osato esplicitare tale pensiero nella sua mente, sebbene da sempre avesse covato dentro di sé l’idea che la zia Angela provasse avversione nei confronti di suo padre. Ogni volta che lo aveva nominato davanti a lei, Angela, dopo aver contratto il viso in una smorfia indecifrabile, aveva sempre cercato di sviare il discorso, mai una risposta precisa, mai un’informazione certa. Non sapeva mai nulla di lui, dove fosse, cosa facesse, e neanche cercava di saperlo. Sembrava, viceversa, che cercasse di ignorarne l’esistenza. Invece, per Nenè suo padre era tutto. Un giorno sarebbe tornato da lei e per lei. E sarebbero andati via insieme.
“Tu lo odi?” più volte avrebbe voluto chiedere alla zia da un po’ di tempo a questa parte, ma non c’era mai stata l’occasione o la volontà, meglio il coraggio di affrontare il discorso. Per paura che tutto potesse spezzarsi, che tutto il castello di carte che era la sua vita, che con tanta cura aveva costruito intorno a sé per attendere al sicuro, potesse essere improvvisamente spazzato via.
Ma oggi è diverso. Diego, suo padre, sta tornando, anche se, per ora, nessuno deve saperlo.
Allora ora è il momento, che tutto si spezzi se è questo che deve accadere, Nenè vuole sapere:
“Tu lo odi! Odi mio padre!”.
Il tono non chiede conferme o repliche, dal sedile posteriore non viene alcuna risposta. Nenè rimane in attesa. E’ sorpresa lei per prima del tono perentorio che ha usato. Il suo corpo è teso, contratto, aggrappato al volante. E’ pronta a qualsiasi reazione, urla scandalizzate, pianti a dirotto, offese veementi. Invece…
Ancora nulla arriva dal sedile posteriore. Il cane, intanto, continua a dormire acciambellato sul sedile a fianco al posto di guida. Il silenzio è innaturale, riempito solo dal rumore monotono del motore imballato dell’auto ferma al semaforo.
Nenè alza lentamente lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, si erge leggermente spostandosi verso destra in modo da inquadrare il viso della zia.
Finché la vede, come non l’aveva mai vista prima. Un raggio di sole, penetrando dal finestrino alla sinistra, le illumina il viso con una luce calda, donandole una bellezza diversa. Immobile, ruotato verso sinistra, con la sigaretta, spenta e dolente, tenuta tra le labbra chiuse come a dare un casto bacio di saluto. Gli occhi, impreziositi dalla luce, che vi penetra dentro con irruenza impudica, brillano di una malinconia profonda. Guardano lontano evocando ricordi, pensieri, sensazioni, forse.
Poi lo sguardo di Angela si indurisce, così come le labbra. Diventano pietra, e la pietra non parla. Nenè capisce che non saprà nulla.
E’ la visione di una dea esotica, impenetrabile nel suo mistero, che i colori accesi delle vesti non alleggeriscono, ma avvolgono e celebrano una maestosità che nasconde, non rivela. Sfidarla è stata un’empietà, si ritrova a pensare Nenè, subito scuote la testa, rimproverandosi questo riflesso da superstizioso ottuso, indegno per una mente razionale come la sua. Ma anche lei si richiude nel silenzio.
E rimangono in silenzio fino a che la voce della zia, perentoria, ordina:
“Fermati qui, prendo la metro”
... "
(estratto dal nuovo romanzo)