martedì 15 novembre 2011

IL SALTO DELLA BRIGLIA di Pasquale Bruno Di Marco

Estate 1972. Mattina piena

“Fermo!”

Antonio si volta portando una mano sulla fronte, come un saluto militare, per proteggere gli occhi dal forte sole di luglio e viene investito sul petto da una serie di strane foglioline verdi arrotolate come piccoli siluri.

“Perché?”.

“Serve a capire quante mogli avrai da grande”.

“Ma io sapevo che erano il numero dei figli. E, comunque, non ci credo. Io lo so già che avrò una moglie e basta”.

“Come non ci credi? Ma se l’altro giorno mi hai detto che chi gioca con i fiori gialli poi si piscia a letto?”.

“Quello è vero!”.

“Allora vuol dire che ti è capitato”.

“No! Cioè, non a me, a mio fratello”.

Lungo la riva, all’ombra del filare di eucalipti, camminano seguendo il sentiero di terra rossa tra erba alla fino alla vita, quella con steli lunghi alla cui cima si dispongono simmetricamente quegli strani “siluri” con cui era stato fatto bersaglio. Lei avanti con un vestito a fiori come quelle delle bambine, che le lascia scoperte le gambe fino sopra al ginocchio. Lui dietro, con i pantaloni lunghi, ormai è grande e proprio non gli va di vestirsi come quando era un ragazzino, anche se fa davvero caldo. Dodici anni non sono mica pochi.

Lei gli ha chiesto di accompagnarla. Vuole seguire il canale fino al ponte di via Torre La Felce, proprio vicino al casale dove vive il Marsigliese, dove il letto del canale è rivestito in pietra e fa un salto di poco più di un metro.

Antonio già immagina loro due lì. Lui che, tendendo la mano, le dice “Vieni”, la conduce lungo la parete inclinata, fino all’acqua nitida in cui immerge le mani unite a conca per poi mostrarle il contenuto. La faccia interrogativa di lei, lui che sorride dicendole:

“Girini”

“I figli delle rane!”

E scoppiano a ridere insieme.

Autunno 2011. Sera inoltrata.

“Fermo”

La luce degli abbaglianti gli ferisce gli occhi.

“Sono l’appuntato Renzi, Antonio Renzi! Mi hanno chiamato dal Comando. Il maresciallo mi ha richiesto qua”.

“Appuntato! In borghese non l’avevo riconosciuta”.

Le mani scattano alla fronte nel saluto militare.

“Non sono in servizio, ma il maresciallo mi ha fatto contattare con urgenza”.

“Il maresciallo Fusco la sta aspettando. E sul ponte. C’è anche la dottoressa Palmas”.

Lungo la strada diverse auto con fari e lampeggianti accesi. Una forte luce viene da sotto il ponte. L’uomo che gli ha fatto strada gli indica dove una donna di spalle sta parlando con due persone.

“… e quando avranno finito, fate portare via il cadavere”.

“Ciao, Laura”.

La donna si gira, lo sguardo duro.

“Appuntato Renzi! Innanzitutto stia al suo posto. E aspetti che io termini di dare disposizioni”.

La dottoressa Laura Palmas si gira nuovamente e si incammina verso l’auto di servizio. La gonna del tailleur le lascia scoperte le gambe dal ginocchio in giù e sono ancora più belle di quando aveva dodici anni. La polvere rossa del sentiero che costeggia il canale le sta impolverando le scarpe con il tacco basso, quelle che indossa sempre quando va nel suo ufficio di magistrato. Antonio ricorda di averla vista anche con le scarpe con il tacco alto, indossate in occasioni non professionali.

“Antonio, ma che fai? Dai del tu al magistrato?”.

Il maresciallo Fusco è più un amico che un superiore o, almeno, si concede, con generosità, toni e atteggiamenti confidenziali. E’ arrivato da poco ed evidentemente ritiene che quello sia il modo migliore per ambientarsi al più presto.

“Veramente ci conosciamo da quando avevamo dieci anni”.

“Ma quella sempre un magistrato è, e pure nell’esercizio delle sue funzioni”.

“Va bene, maresciallo, ormai è fatta. Ma perché mi ha fatto chiamare?”.

Fusco si accende una sigaretta prima di rispondere.

“Hanno trovato un cadavere proprio qui, a questa “briglia” del canale”.

“Briglia?”.

“E’ questa parte del canale, con il letto rivestito in pietra proprio subito dopo il ponte. Secondo quanto mi ha spiegato un geometra del Consorzio di Bonifica, serve per realizzare un piccolo salto lungo il percorso, se ho capito bene, per spezzare la forza della corrente o qualcosa del genere. Credevo che tu conoscessi bene quest’area”.

“Ci sono cresciuto praticamente, ma questo per noi era solo il posto vicino al ponte in cui venivamo a pescare le rane”.

“Mai mangiato rane, anzi a pensarci bene, mi fanno un po’ schifo”.

“Fritte non sono male, praticamente mangi solo le cosce”.

“Mah!”

“E si sa chi è il morto?”.

“Maurizio Montanelli”.

“Quel Maurizio Montanelli?”.

“Proprio quello. Lo conosci bene?”.

“Maresciallo, lei non ci crederà, ma pure lui lo conosco da quando eravamo ragazzini”.

Estate 1972.

“Eccolo!”

La voce di Laura davanti a sé ma Antonio non riesce a vedere subito impedito dal riverbero del sole sulla superficie dell’acqua.

In quel punto, subito dopo il ponte, proprio dove Antonio pesca le rane qualcuno sta facendo il bagno. Gli spruzzi dell’acqua sottolineano i giochi maneschi di tre ragazzi: uno di quelli è Maurizio. Antonio assapora il gusto amaro della delusione,

“Allora è per questo che volevi venire qui! Sapevi che c’era lui!”.

La risata di lei è l’unica risposta che riceve mentre Laura si mette a correre verso i tre.

Ma quelli mica sono troppo contenti.

“Niente femmine! Niente femmine!” strillano dal canale.

“E perché?” stavolta è il tono di voce di Laura ha tradire la sua delusione.

“Per questo!” È proprio Maurizio che emerge dall’acqua roteando il suo pene con una risata beffarda.

Laura strilla e scappa. Antonio rimane fisso a guardare i tre fino a che Maurizio si rivolge pure a lui.

“Hai capito? Niente femminucce! Quindi, neanche tu!”.

Antonio raccoglie un sasso.

Maurizio lo sfida “Che ti credi di fare?”.

Non fa in tempo a finire la frase che è costretto ad abbassarsi per evitare di essere colpito alla testa, ricevendo il colpo sulla spalla.

Altri sassi verso il canale, i tre urlano cercando di ripararsi finché Antonio finisce i “proiettili”.

A quel punto i tre escono minacciosi dall’acqua urlando.

“Bastardo, adesso ce la paghi!”.

Autunno 2011.

“Eccolo!”

La luce della torcia, che il maresciallo tiene in mano per controllare dove poggiare i piedi sul terreno accidentato, per un momento abbaglia Antonio. Un gesto involontario per invitarlo a guardare verso il basso dove il corpo nudo della vittima giace in mezzo alle erbe alte che nascondono quasi completamente il rivestimento in pietra. Ormai la manutenzione è ridotta ai minimi termini. Antonio ricorda che quando era piccolo non era affatto così. Le pareti rivestite in pietra erano ben visibili e non c’era quel fetore nauseante che sente adesso.

Fusco gli fa il gesto di seguirlo. Si spostano lungo il bordo del canale, dove il passaggio di molte persone ha reso accessibile una zona fitta di arbusti e piante selvagge. Dal nuovo punto è più facile vedere il cadavere abbandonato illuminato da un faro portatile. Ancora debbono essere effettuati i rilievi di rito.

Laura, anzi la dottoressa Palmas, intanto, sta continuando a parlare con il suo collaboratore, Antonio mentre ascolta le considerazioni del maresciallo continua a guardare la donna.

“Insomma conoscevi anche lui da quando eri ragazzino. Comunque avete fatto due carriere diverse”.

“Lui ha fatto carriera. Io sono ancora un appuntato”.

Il maresciallo sembra non badare a quanto ha detto Antonio.

“Che sai di lui?”.

“Più o meno quello che sanno tutti. Una carriera politica folgorante e disinvolta, per dirla con eleganza, un uomo per tutte le stagioni. Ha cambiato “casacca”politica come la mia ex-moglie cambiava la tinta dei capelli. Ultimamente si diceva che sarebbe stato proposto come candidato sindaco nelle prossime elezioni per uno dei partiti di maggioranza ”.

“Se non sbaglio faceva pure l’imprenditore, no?”.

“Se così si può definire la sua attività. Negli affari era piuttosto disinvolto, praticamente senza scrupoli. Pare abbia causato la rovina di più di qualche ex-socio mentre lui, non solo non ci ha rimesso, ma sembra abbia anche incrementato il suo patrimonio”.

“Sposato?”

“Divorziato. Due volte e sempre per lo stesso motivo: le sue numerose amanti. Pare non si facesse pregare. Bionde, more, rosse, libere, fidanzate o sposate non faceva differenza per lui”.

“Quindi, secondo quello che dici, per il possibile colpevole abbiamo un bel ventaglio di possibilità. Un avversario politico, un ex socio, un marito cornuto o qualcun altro ancora”.

Antonio si stringe nelle spalle senza rispondere.

“Senti, Antonio – il maresciallo, abbassando il tono, gli si avvicina con un sorriso cattivo – ma è vero che, anni addietro, il nostro morto ha avuto una storia pure con la dottoressa Palmas?”

Per la seconda volta Antonio non risponde.

Estate 1972

“Sono qua!”

Antonio corre verso l’eucalipto dietro il casale dove si trova Laura. Si acquattano insieme. Ascoltano i tre arrivare di corsa, discutere tra loro e poi desistere. Sospiro di sollievo. Si lasciano andare contro il tronco. Lei ha gli occhi chiusi. E’ bella.

Le vorrebbe dire che l’ha vendicata… Ma lei ride.

“Ma lo sai che lui è proprio uno stronzo?”.

“Perché?”.

Antonio è fuori di sé. Ansima e non solo per la corsa.

“Ma lo sai per quale squadra tifa?”.

La Juve”.

“Sì, quest’anno! E solo perché adesso è prima in classifica. L’anno scorso faceva il tifo per l’Inter e l’anno prima per il Cagliari di Gigi Riva”.

“E perché cambia squadra?”.

“Perché fa il tifo solo per quelle che stanno in testa alla classifica”.

“Evidentemente è uno che vuole vincere”.

Antonio guarda per terra. Non vuole mostrare il labbro che gli trema.

“Io faccio il tifo per il Milan, da sempre, e non cambio”.

“A te non interessa vincere, allora”.

“Non si può cambiare solo per vincere. Io sono e sarò sempre fedele”.

“Non ci credo”.

Ride e si rovescia all’indietro sul’erba.

E la scamiciata che indossa le si alza mostrando delle mutandine bianche con una piccola macchia rosso-bruna proprio là. Antonio rimane senza parole. Lei, senza smettere di ridere, si sistema il vestito. Antonio contrae le labbra, un respiro profondo.

“Te lo dimostro. Io faccio il tifo per il Milan, conosco tutta la formazione a memoria, pure le riserve: Vecchi, Anquilletti, Sabadini, …”.

Mentre comincia ad elencare i nomi, contandoli con le dita, Laura si alza in piedi e gli si avvicina. Il viso di lei accanto al suo.

“… Biasolo, …Rosato, … Schnellinger … “

Le labbra di lei sulle sue. Premono, umide. Quando sente la punta della sua lingua sulle labbra, Antonio si ritrae sbalordito. Laura lo guarda stupita a sua volta

Poi scoppia a ridere di nuovo e fugge via.

Antonio rimane lì la testa che gira e non si ricorda neanche più il resto della formazione del Milan.

Autunno 2011

“Sono qua!”.

La voce di Laura lo guida dietro il casale, anzi il rudere che è diventato privo di tetto e di infissi, con intonaco scrostato e infestato dalla vegetazione. Dell’eucalipto è rimasta solo la prima parte del tronco tagliata a meno di un metro dal suolo. La donna l’ha usata per appoggiarci la borsa.

“Dottoressa Palmas, mi hanno detto che voleva parlarmi da solo”.

“Antonio, volevo scusarmi per prima, ma…”.

“Non fa nulla”.

“Lasciami dire. Tu non sai quanto sia difficile questo lavoro per una donna. Sono continuamente sotto osservazione, la mia autorevolezza è continuamente messa in discussione. È un mondo di maschilisti incalliti. Devo sempre difendermi, non posso permettermi di cedere su nulla, anche semplicemente sul piano formale”.

“Capisco, Laura”.

Silenzio, Laura lo scruta come cercasse di indovinare i suoi pensieri.

“Sia tu che io conoscevamo Maurizio Montanelli”.

“Lo conoscevamo da quando eravamo bambini. Poi abbiamo seguiti percorsi diversi”.

“Maurizio ha fatto molti errori. Anche molto gravi. Ma ultimamente era cambiato. Aveva chiesto di collaborare con la magistratura. Diceva che si sentiva in trappola a causa dei suoi rapporti con la malavita locale”.

Antonio si limita a guardarla in silenzio.

“Insomma stava prendendo contatto con il mio ufficio per diventare un collaboratore. Qualcuno però deve avere avvisato i suoi ex-amici”.

Antonio continua a tacere.

“Sono ormai convinta che esista una “talpa”, uno che fa il doppio gioco e tiene aggiornato il clan sulle nostre indagini”.

Tace anche Laura. Dal ponte arrivano le voci dei tecnici ella scientifica impegnate nei rilievi.

“Noi ci conosciamo da tanto tempo e…”

“Fin da bambini, lo abbiamo già detto, e io ero già innamorato di te”.

“Lo so”.

“Ma già allora c’era Maurizio”.

“Eravamo bambini…”.

“E anche quando ti ho incontrata di nuovo dieci anni fa ho avuto la possibilità di riavvicinarmi a te”.

Laura abbassa la testa, rovista nervosamente nella sua borsa, tira fuori un fazzoletto e si mette a pulire i suoi occhiali.

“Eri sposata. Ma poi ho scoperto che avevi una relazione con Maurizio nonostante che anche lui fosse sposato”.

Laura non risponde, appoggia la borsa sul tronco dell’albero.

“Certo, per lui i suoi matrimoni non sono mai stati un ostacolo a nuove relazioni, ma tu…”.

“Attraversavo un periodo difficile: mi stavo separando da mio marito.”.

“Ma ancora non lo eri. Io non ho osato avvicinarmi per questo”.

“Non capisci che non lo amavo più. Da troppo tempo ormai. E Maurizio era là”.

“Anche tu sei stata infedele”.

Sguardo duro di Laura.

“Perché mi giudichi? Non sei in condizioni di farlo! Anche tu sei stato infedele, o no?”

Antonio risponde con un profondo respiro, alza il mento, serra gli occhi.

“Ormai sono convinta che sei tu quello che informava il clan”.

Antonio tace.

La sua testa crolla sul petto con un sospiro profondo.

“E adesso che ho visto dove hanno ritrovato il corpo di Maurizio e, soprattutto, come è stato ritrovato sono convinta che… “.

Laura si interrompe e lo fissa decisa negli occhi fino a che Antonio distoglie lo sguardo e si siede sul tronco spostando leggermente la borsa di lei.

“Sono andato a casa sua. Mi è venuto ad aprire in accappatoio, con il suo solito sorriso sulle labbra. Si è messo a raccontare che aveva appena mandato via una e si stava facendo la doccia. Poi mi ha squadrato e si è messo a farmi domande, che facevo, dove vivevo. Io non rispondevo e lui ha attribuito la mia poca loquacità al fatto che era ancora innamorato di te. Mi prendeva per i fondelli. Con una risata sguaiata si è diretto verso di me puntandomi il dito. Ricordo l’accappatoio che gli si apriva e lui, senza preoccuparsi di coprire il suo corpo, che mi derideva. Quando ha detto “Sei sempre stato il suo zerbino”, ho preso la pistola di ordinanza e gli ho sparato in bocca. E’ caduto supino, lo sguardo tra l’incredulo e il beffardo. Ancora non ci credeva che lo avevo ammazzato. Ho caricato il corpo in macchina. Volevo farlo sparire”.

Antonio si alza, guarda verso il ponte.

“Poi ho pensato che non avesse più molta importanza. Niente aveva più importanza. Mi sentivo svuotato, tutto era finito. Istintivamente sono venuto qua. Ho scaricato il cadavere dove lo hanno trovato”.

Tacciono.

Si fissano negli occhi, finché Antonio abbassa i suoi.

“Quando hai sospettato di me per la prima volta?”

“Quando ho visto il tuo portachiavi con lo stemma di una squadra di calcio. Non era quella di cui conoscevi la formazione a memoria quando eravamo bambini!”.

Antonio sorride, sollevato.

giovedì 1 settembre 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ' A QUESTA VITA - cronaca 11 (reloaded)

Jimi Hendrix mi dà lezioni di chitarra. Per ringraziamento. Era tormentato da un tipo strano, un simulacro, basso con delle orecchie enormi e degli strani capelli sulla testa, che continuava a seguirlo e a ripetergli che “anche lui era bello, giovane e abbronzato come quell’altro, magari è suo parente”. Ho chiesto a Gabriele di chiamare questo piccoletto e affidargli qualche incarico che lo tenesse occupato. E’ stato nominato presidente di qualcosa e adesso sta dietro una scrivania telefono. Pensavo che per lui fosse una specie di punizione invece e li, tutto contento, sempre al telefono che bercia comandi conditi da “mi consenta” alternato a “si contenga”. A me ricorda qualcuno ma proprio non riesco a ricordare nulla degli ultimi tempi sulla terra, prima del mio “passaggio a miglior vita”.

Jimi ha un sistema tutto suo, vuole che cominci dalla fine, che apprezzi subito il vertice massimo dell’arte di suonare la chitarra, così il mio sarà un percorso a ritroso. Sarà. Le prime lezioni sono state tutte incentrate su come si dà fuoco alla chitarra e lui è un perfezionista. Sto pensando se è il caso di chiedere un altro favore a Gabriele e togliere l’incarico al tipo basso - ma chi è, proprio non riesco a ricordare, forse un venditore porta a porta – perché mi imbarazza ammettere che mi sono stancato di tornare a casa che puzzo di benzina e fumo.

E poi sto seguendo altri corsi. Moana ne tiene uno sul decameron. Seguo concentratissimo ma non capisco una parola. Fortuna che con me c’e Sebastiano che prende appunti, così quando Moana chiude la lezione assegnandoci compiti per approfondire le novelle “dell’amore a lieto fine” non mi preoccupo. Seba mi conferma che è disposto a passarmi gli appunti, meno male.

“Solo mi è sfuggita qualche parola – e poi aggiunge giurerei arrossendo – hai visto il colore degli occhi della prof?”.

Occhi? Ripasso velocemente tutte le visioni che hanno occupato la mia mente mentre avrei dovuto seguire la dotta parafrasi del testo. Moana che passeggia tra i banchi dondolando, Moana che si appoggia di tre quarti sul leggio, Moana che siede alla cattedra adagiando l’apparato mammario sul piano con effetto di rigonfiamento, colore degli occhi? Sorrido con un minimo di imbarazzo.

Seba sta mettendo a posto tutto nella sua colonna portaoggetti quando un brivido di freddo lo fa tremare da capo a piedi. Mi avvicino preoccupato ma, le mie domande vengono prevenute da una voce dietro di me.

“Non c’è da preoccuparsi, gli passa subito. E’ solo l’effetto Dafne”

È vestito da afgano, ma il viso e soprattutto l’accento anglo-siculo sono inconfondibili. Sto per salutarlo ma lui mi anticipa e si presenta come Omar.

Resto perplesso per qualche istante mentre lui finge di non conoscermi. Non ho dubbi sulla sua vera identità, ma decido di assecondare il suo gioco e mi presento anche io.

Il millantatore mi stringe la mano e mi rassicura di nuovo sulla salute di Seba che, infatti, si riprende immediatamente. Seba vorrebbe spiegarmi ma Omar lo anticipa, invitandomi a seguirli per assistere ad un incontro di “Umorismo Estremo” così capirò direttamente. E perché no? Sono davvero incuriosito.

E’ vicino, forse. Non ho ancora capito come percepire le distanze e il tempo quassù. C’è folla davanti l’ingresso, qualcuno grida. Da qui non riesco a capire se è un simulacro o no. Omar mi fa capire che conviene avvicinarsi che ne vale la pena. Tra i volti colgo per un momento una donna di spalle coperta con un manto verde. Sono sicuro che sia quella che ho già intravisto tempo fa la cui figura mi sembrava così familiare. Cerco di scorgerne il viso, ma la folla ci spinge lontano l’uno dall’altra.

Adesso riesco a vedere chi è che sta tenendo la concione davanti all’ingresso. E’ vestito con una specie di tonaca e strepita con le braccia al cielo, come da copione.

“Risus abundat in ore stoltorum, o insensati, quo usque tandem abutere, catilina, pazienta nostra, ora che Latina, olim palus , e quindi basta a tutto ciò, ubi major minor cessat, ormai che rari nantes in gurgite vasto è l’ora del redde rationem, dell’ anticlimax e del non sequitur, e di nuovo vi diro, che reperita juvant, che Roma caput mundi , eppure cogito, ergo sum., anche se Publius captat muscas. Quindi …”

Guardo fisso Omar e Sebastiano cercando spiegazioni, i due si sorridono complici poi finalmente spiegano:

“Ogni volta che c’è un incontro di Umorismo Estremo succede questo. Savonarola si mette di fronte all’ingresso, e cerca di impedire alla gente di entrare, arringando la folla”

“Ma non si capisce nulla, tutte quelle citazioni…?”

“Si dice che vada a ripetizioni dal simulacro di un presidente di una squadra di calcio serie A”.

“Ma sta impedendo agli altri di entrare, lo può fare?”

“Teoricamente no, qui nessuno può impedire ad altri di fare quello che vogliono, però applicano il buon senso e lo lasciano sfogare un po’. Ecco che intervengono”.

Infatti, arriva S. Paolo con tanto di cavallo, si ferma davanti a Savonarola che, stupito, si interrompe.

Nel tentativo di fermarsi San Paolo cade da cavallo, si rialza allontanando quelli che volevano aiutarlo.

“Tranquilli, sono abituato”.

Poi si rivolge al predicatore.

“Savonarola, giusto te, avrei bisogno di un aiuto da parte tua, sai devo scrivere un’altra lettera ai romani sul tema sic transeat gloria mundi e, già che ci siamo, volevo chiederti che ne pensi di Gilardino largo sulla fascia, perché io credo…”.

E mentre parla prende sottobraccio Savonarola, che è interessatissimo all’argomento, e lo porta via lasciando libero il passaggio. Finalmente possiamo entrare. Mi colpisce il manifesto all’entrata “la madre di tutta le battaglie di Umorismo Estremo: Dafne, detta “la Fata Turchina”, contro Euridice Misandra – solo per stasera” e mentre leggo a voce alta sento Sebastiano rabbrividire accanto a me.

giovedì 25 agosto 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ A QUESTA VITA - cronaca 10 (reloaded)

Lo spogliatoio è interamente rivestito di maioliche bianche, anche sul soffitto, ed illuminato da una luce diffusa che non riesco a capire da dove arrivi. Ognuno sulla propria panca, ci prepariamo. Marinetti in silenzio, dardeggiando occhiate severe e concentrate tutto intorno, indossa calzettoni con la giarrettiera, mentre il marchese La Fayette estrae una testa di legno su cui ripone con cura la parrucca incipriata. In un angolo una montagna di muscoli ripiegata su se stessa cerca la concentrazione mugugnando preghiere. Questa visione di Sparacus dovrebbe suggerirmi un vulcano in eruzione, mi sembra piuttosto una pignatta di fagioli sul fuoco. Inutile negare, sono perplesso.

Faust indossa il perizoma leopardato – incredibile! Ce l’ha davvero. Devo chiedergli se suona la batteria – esponendo a voce alta le sue elucubrazioni tecnico-tattiche. Per me poche indicazioni, una su tutte, se ho la palla lanciarla a sinistra sulla fascia di Marinetti. Come si sente nominare Filippo Tommaso si gira verso di me lanciando il suo grido di guerra: SDENG ZAFF BANG! Ma contro chi giochiamo? Faust fa un gesto di sufficienza, l’A.S. Margaritas ante porcos, buone individualità ma scarso gioco di squadra. Sembra davvero fiducioso. Indossiamo le nostre divise bianche con bordi blu oltremare, ma mi colpisce che sono molto larghe, almeno tre taglie in più.

Scendiamo in campo, coperto da un manto erboso perfetto e circondato da tribune che a prima vista mi paiono infinite. Non scherzava Faust, davvero ci vengono tutti a vedere queste partite. L’altra squadra è già in campo, completo verde con scritte e numeri dorati, anche loro almeno tre taglie in più. Il capitano ha sulle spalle scritta il nome: Remirro de Orco – Chi è costui? – mentre riconosco i fratelli Santoanastasi, coppia difensiva, Ugo Foscolo credo sia la punta avanzata e in porta William Shakespeare. Arbitra Pedro Almodovar in giarrettiera di pizzo.

Comincia la partita e io mi ritrovo con gli occhi sbarrati: i giocatori si muovono lentamente danzando con leggiadria. Piroettando sulle punte Remirro De Orco, gestisce la palla e la appoggia ad uno dei Santoanastasi, Marzio credo, che con gesto teatrale la passa al portiere. Il pubblico applaude ad ogni coreografia e la partita prosegue con giocatori più intenti alle evoluzioni aggraziate che a finalizzare il gioco cercando il tiro in porta. Ad ogni occasionale contatto è tutto uno “Scusi, non volevo” oppure ”Prego, è colpa mia”.

Cerco di adattarmi muovendomi a passo di danza ma quando mi capita la palla tra i piedi al centro del campo e, alla mia banale finta Remirro de Orco trova esteticamente piacevole cascarci in pieno lasciandomi libera la strada verso la porta avversaria, l’istinto prende il sopravvento. Non si giocano centinaia di partite in mezzo alla strada, quasi tutte ad una porta sola e “ogni tre calci d’angolo è rigore” senza che questo non ti segni indelebilmente per tutta la vita e pure oltre.

I Santoanastasi si muovono all’unisono per contrastarmi, ma arrivandomi davanti contemporaneamente, decidono di abbracciarsi per improvvisare due passi di tango insieme. L’applauso è assicurato ma io, che ho continuato la corsa dietro la palla, mi ritrovo da solo davanti la porta e tiro. Il portiere, Shakespeare è intento a monologare verso il pubblico e il pallone finisce in rete. Goal!

Vado con tutto il repertorio delle esultanze, salto piroettando con il pugno in alto, poi la maglia sulla testa, linguaccia, aeroplanino, cullo il bambino, breakdance, ecc. Sto per cominciare le esultanze collettive, ma mi accorgo che compagni e avversari mi guardano stupiti e imbarazzati.

Torno nella mia metacampo guardando interrogativo Faust che mi risponde con una serie di gesti ininterpretabili. Remirro de Orco intanto pone la palla al centro, alza le mani e annuncia solenne:

“No Fair Play Time”.

Una schiera di angeli volanti atterra e divisi in squadre di tre ci spogliano ci dotano di elementi di protezione e caschi e ci rivestono. Quando termina la vestizione sembriamo pronti per una partita di football americano, ora la divisa calza giusta.

Più stupito di prima guardo Faust che, ancora gesticolando, mi fa capire che è tutto a posto. Sarà, ma ho i miei dubbi e il ruggito con cui l’intera squadra dell’A.S. Margaritas si scaglia contro di noi me li conferma tutti. Adesso si muovono con veemenza frenetica. Entrata feroce di Gippo Santoanastasi su Marinetti scatenato sulla fascia che, cascando, scava un solco. Scambio col fratello per evitare Spartacus che, in effetti, manca la palla ma centra in pieno l’avversario scaraventandolo in alto. Gippo si alza in volo per quattro, cinque metri agitando freneticamente gambe e braccia, dopodiché ricade pesantemente sopra Martinetti che si stava rialzando.

Contrasto violento tra Ugo Foscolo e LaFayette, le scintille provocate dallo sfregare delle armature protettive bruciacchiano le loro divise mentre rotolano a terra, io controllo la palla, pronto a calciare, ma Remirro mi sbatte spalle a terra e, finendomi sopra, faccia a faccia, ne approfitta per ringhiarmi sul viso lasciando colare una bava di saliva che potrebbe annegare un animale di taglia media. Una pallonata tremenda lo prende in faccia salvandomi.

Il pubblico in delirio sostiene Martinetti che scatta di nuovo sulla fascia, evita questa volta l’entrata assassina di Gippo e crossa al centro. Groviglio di corpi, risolve Spartacus che trascina tutto il gruppo di peso in fondo alla rete: 2 a 0.

Corro ad abbracciare il goleador, faccio appena in tempo a toccarlo che tutto il resto della squadra, compreso Faust, ci piomba addosso. Poi non ricordo nulla.

Mi sveglio negli spogliatoi dopo chissà quanto tempo. Moana Pozzi vestita da infermiera mi sta rimboccando le coperte. La guardo e mi sorride.

“Sono in paradiso?”

“Si”

domenica 14 agosto 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ A QUESTA VITA - cronaca 9 (reloaded)

Siamo in fila per un Book Contest, almeno mi pare che così chiami. San Sebastiano mi ha invitato a questo evento. Non era tanto dell’umore giusto ma poi mi sono lasciato convincere. Adesso, in questa calca, me ne pento.
Il confronto pare che sia tra Michel Proust e Amerigo Boccia. E’ pieno di gente qui fuori, soprattutto simulacri di “boccine” con tanto di copie delle opere sottobraccio da farsi autografare. Il luogo che deve ospitare l’evento è piccolo, troppo piccolo per contenere tutta questa gente. Faccio segno a Sebastiano che preferisco andarmene e lui decide di seguirmi fino al “Cherubino brillo” per bere qualcosa seduti ai tavoli fuori. Osservo con attenzione il mio compagno di bevuta e poi istintivamente chiedo:
“Scusa, Seba, ma non credi di esagerare con questa stretta osservanza dell’iconografia ufficiale?”
Si gira a guardarmi ruotando la testa molto lentamente. Parla anche molto lentamente, con calma. Su di me ha un effetto rilassante.
“Avrai notato che, con tutte queste frecce, ero l’unico a non essere pressato dalla folla. E poi, iconografia a parte, ritengo sia importante avere una propria immagine. La mia è questa, seminudo con frecce e colonna” concluse con una punta di orgoglio.
“Sì, ma non è scomodo girare con tutta questa roba?”.
Con la stessa pacatezza di prima, Sebastiano si passa la colonna da un braccio all’altra senza sforzo, poi inizia a spiegare pazientemente:
”Intanto la colonna è ingombrante, ma è leggerissima. Ho provveduto a svuotarla e dotarla di uno sportellino per cui posso metterci dentro portafoglio, cellulare, quadernetto di appunti – scrivo poesie – e tutte quelle cose che prima non sapevo dove mettere. Per quanto riguarda le frecce ti faccio presente che l’altro giorno mi ferma Sid Vicious, mi fa un paio di giri intorno e poi mi sorride con la bocca un po’ storta. Dopo un paio d’ore lo vedo passeggiare sottobraccio a madame Pompadour, con una criniera di frecce infilate nella testa”.
Vorrei anche chiedergli se è al corrente di essere diventato un’icona gay, ma fortunatamente veniamo interrotti.
“Buonassseeera!”.
L’allungamento affettato del saluto mi incuriosisce. L’uomo in frac ci sorride cordiale mentre appoggia sul tavolo nell’ordine bastone, guanti cilindro. Rispondiamo al saluto e lui comincia a conversare con un curioso accento, mezzo inglese e mezzo siciliano. Lo interrompo
“Mi scusi, ma ci conosciamo già? Mi pare di averla già vista ma ora non ricordo dove?”.
“Il mio nome è Potter, Calogero J. Potter”.
Mentre Seba scambia un sorriso e un saluto con il nuovo arrivato io riascolto nella mia mente tutto quello che mi aveva detto Gabriele. E quindi questo qui è il famoso Mr Potter, il promotore dell’iniziativa. Vorrei tempestarlo di domande ma non posso chiedergli nulla per la promessa fatta. Ma almeno una curiosità me le devo togliere.
“E’ curioso l’abbinamento tra nome anglosassone e accento siciliano”.
“Ma che stai a ddì ? vedi de studia”.
La voce alle mie spalle mi fa sobbalzare. La figura alta e magra mi inonda di parole.
”Ah, secondo te non c’è stanno rapporti tra Inghilterra e Sicilia? Vai a studia’ e magari scopri perché gli inglesi aiutano Garibaldi a sbarcare a Marsala o perché le sorelle Bronte si chiamavano così. In biblioteca vacce pe’ studia, no pe’ guarda le femmine. Fammene anna’ che sennò faccio tardi pure stasera e mi’ moglie chi la sente. Arrivederci”.
Lo seguiamo fino a quando sparisce dietro un banco nebbioso. La faccia incuriosita di Seba mi fa sentire in dovere di giustificarmi.
“L’ho incontrato qualche giorno fa che arringava Mussolini su urbanistica, leggi razziali, guerra. A momenti al duce gli viene una crisi isterica”.
“Personaggio interessante” chiosa il signor Potter prima di raccontarci che anche lui ha seguito il book contest – devo averlo visto nella fila per entrare, ecco – che si è protratto più del previsto perché all’inizio c’erano problemi causa l’affluenza di pubblico che il teatro non sarebbe riuscito a contenere. Problema risolto quando è arrivato uno con barba e capelli lunghi che, con un piccolo miracolo di organizzazione, ha provveduto alla moltiplicazione di posti a sedere e posti in piedi.
Poi Proust e Boccia sono arrivati sul palco. La gara consisteva in un confronto tra piccoli brani estratti dalle loro opere con dichiarazione di vittoria per acclamazione. Sembra che Boccia abbia vinto a mani basse e sia stato portato in trionfo. Poi mentre i fans lo tenevano sulle spalle ha improvvisato una lezione su come si scrive un best seller. C’erano Kafka e Dostojesvkii, affannatissimi a prendere appunti.
Sono stanco di tutti questi discorsi da intellettuali. Ho bisogno di evadere. Credo proprio che accetterò la proposta di Faust e scenderò in campo con la Cornelius F.C.

giovedì 17 marzo 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ' A QUESTA VITA - cronaca 8 (reloaded)

Sono almeno due giorni che vengo qui in Biblioteca sempre con i soliti fascicoli. Questo che ho davanti parla dei rapporti che un senatore, ancora vivo, – mi pare di aver intravisto il suo simulacro aggirarsi da queste parti - ha tenuto con certe associazioni siciliane fino agli anni ottanta E’ il tomo uno, ho chiesto anche il due ma mi hanno detto che devo attendere un po’, devono cercalo, stranamente non è al suo posto e chissà dove è finito. Mah! Sono distratto in questi giorni, non riesco ad appassionarmi. Ogni tanto rivolgo lo sguardo verso il bancone dove dovrebbe essere Mandolina, saranno due giorni almeno che non la vedo, chissà dove è finita pure lei, sarà scappata col tomo due? Poi questa storia della realizzazione in appalto del Purgatorio mi lascia perplesso, anzi a dire la verità, mi inquieta abbastanza, ma ho promesso a Gabriele di mantenere la notizia riservata per ora.

Spunta Faust da dietro due angeli che chiacchierano seraficamente sottovoce. Si sbraccia per farmi capire che devo uscire. Esco. Tanto non riesco a concentrarmi.

Faust è sovraeccitato. Come al solito, in fondo. E’ uno che vive tutto con perenne entusiasmo. Ce ne vorrebbero di più come lui. Da prendere a piccole dosi, però.

“E’ fatta, tranquillo”

Si concede qualche attimo per godersi la mia espressione interrogativa. Deve riuscirmi particolarmente bene perché sembra in estasi.

“Il torneo di calcio a cinque! Si fa il torneo”.

La mia espressione non muta e lui se ne “spara” un’altra dose abbondante, forse vuole farsene una scorta per l’inverno.

“Non te ne avevo parlato già?Allora rimedio subito. Comincia domani il torneo di calcio a cinque con la prima partita a cui partecipa la nostra squadra, la Cornelius F.C. . Senti che formazione: io, chiaramente, in porta, che oltre la mole e il pelame ho anche un’agilità gorillesca, davanti formazione a rombo. Vertice basso, difesa, tu. Due sulle fasce, a destra Filippo Tommaso Marinetti a sinistra il marchese LaFayette. Vertice alto del rombo, attacco indovina chi? Dai indovina! No anzi lascia perdere che non indovineresti mai. Attacco: Spartacus, il gladiatore.”

La mia espressione deve essere ancora comicamente indefinibile perchè Faust decide di concedersene ancora un po’ beandosi di tanta faccia.

“Ho pensato a tutto, disposizione in campo, tattica, divise sociali. Tranquillo, il perizoma leopardato è opzionale. Seguimi: Spartacus è lo specchietto per le allodole, deve attirare su di se gli avversari, l’arma segreta sarà Marinetti sulla fascia. Corre come una locomotiva, non si ferma mai, anzi mentre corre fa pure i versi come una locomotiva : SPAFF, ZUM, SDENG SDENG. Ma non devi sottovalutare LaFayette, sotto quella parrucca da cicisbeo c’è un mastino che sembra Benetti dei giorni migliori. Capito? è un rombo dinamico il nostro!”

“Faust, ma io che c’entro? Non gioco a calcio dai tempi dell’oratorio. E figurati che neanche ci sono mai andato all’oratorio”.

“E allora? Sei un giornalista, no? Oltre a giocare, racconterai le epiche gesta della Cornelius F.C. dall’interno, la cronaca diretta dallo spogliatoio. Altro che interviste precotte. Racconterai l’epica scalata verso la vittoria, la fatica, l’eroismo, il sacrificio, l’agonismo esasperato, il sudore misto a sangue. Tutte quelle stronzate che voi giornalisti vi inventate per non far capire che non avete niente da raccontare. Che te lo devo insegnare io il mestiere?”.

“Qui l’unica stronzata che vedo è la mia partecipazione. Scusa ma io non capisco niente di calcio, non so cosa sia la diagonale, non conosco la differenza tra la ripartenza e il contropiede, mi è ancora misteriosa l’applicazione del fuorigioco. Come posso esserti utile?”

Qui Faust fa un lungo sospiro e si trattiene a lungo a fissarmi senza rispondere. Ma la sua espressione ora è seria, sembra quasi compatirmi.

“Ascolta. Questo posto è grandissimo, tra trapassati e simulacri di vivi c’è tantissima gente. Se vuoi ritrovare qualcuno l’occasione migliore è proprio questo torneo. E’ organizzato direttamente dall’ufficio del gran capo e tutti, ma proprio tutti vengono a vedere il torneo. Anche Mandolina verrà, ne sono sicuro”

“Mandolina? Chi? Quella che lavora qui? Perché se ne è andata? Che coincidenza! Quando mi hai chiamato stavo proprio realizzando che saranno un paio di giorni che vengo qui e non mi pare di averla incontrata”

Lo sguardo serio di Faust si fa più intenso.

“Amico mio – nuovo profondo sospiro – sei più grave di quello che pensavo. Sono ormai quindici giorni, quindici, che vieni qui, dalla mattina alla sera e, sebbene tu creda che nessuno se ne sia accorto, lo sanno tutti che stai sempre a fissare il bancone dove stava lei”.


domenica 6 marzo 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ' A QUESTA VITA - cronaca 7 (reloaded)

“Gabriele aspettami”

Mi ha salutato di fretta, quasi senza guardarmi. Avevo un’infinità di domande da porgergli, ho capito che qui non esiste il matrimonio e neanche la coppia fissa, ma almeno il numero di cellulare alla Sharapova lo dovevo chiedere? “When in rome do as the romans do” diceva la prof di inglese ma, appunto, come usano questi “romani”? Non volevo far figuracce, anche perché avevo intenzione di tornare qualche altra volta all’Apocalipse Bau e aiutarla di nuovo a mettere a posto, per poi accompagnarla a casa, facendo il giro largo come ieri sera.

“Non mi posso fermare, scusami”.

Tutta questa frenesia era sospetta, seppur passato a miglior vita sono sempre un giornalista, anzi, in vita dicevano che ero uno dei migliori, e l’istinto rimane.

“Ti accompagno” gli ho fatto sorridendo, in modo da poter continuare ad incalzarlo con le domande.

Gabriele era così eccitato che non si concentrava a leggermi i pensieri e quindi, con mestiere, sono riuscito a farlo sbottonare. Anzi sembrava felice di raccontarmi che era stato convocato in alto loco per un incarico delicato e della massima importanza, ossia?

Eh, mica mi poteva dire tutto e subito, mi dovevo accontentare di sapere che erano in atto grandi cambiamenti. La dirigenza aveva deciso che bisognava cambiare i piani di sviluppo dell’intera organizzazione. Sento puzza di bruciato, tanto per far vedere che conosco tutti i clichè del giornalismo, e insisto a chiedere e alla fine Gabriele si ferma e mi spiega la vicenda.

“Insomma questo qui, questo Mister Potter, così dice di chiamarsi, che poi è il simulacro di uno che sulla terra fa il consulente finanziario, ha spiegato alle alte sfere che è proprio in questi momenti di stagnazione, così l’ha definito, stagnazione, quando tutti si ritirano, che bisogna scommettere, bisogna investire. L’investimento più sicuro, ce lo ha garantito sulla base dell’esperienza di quello sulla terra, è, senza ombra di dubbio, il mattone. Il mattone non tradisce mai, così ha detto e quindi ha preparato un piano finanziario per il reperimento dei fondi necessari per l’operazione che ha proposto. Tutto scritto, tutto graficizzato. Tempi, soldi necessari, finanziatori. Niente lasciato al caso. Questo Mr Potter ha una mente sopraffina. Ha preparato il project financing di tutto l’intervento da realizzare appaltando tutto ad imprese sulla base di una regolare gara. Tutto regolare, tutto scientifico.

“Sì, vabbè, ma che cosa vi ha proposto di costruire questo Mr Potter? Volete costruire un grande albergo sul lago di Tiberiade, una serie di villette a schiera, un grattacielo? Che proposta ha fatto?”.

“Di più! Te l’ho detto che ha una mente sopraffina”.

“Si, ma cosa? Il Paradiso 2?”:

“In un certo senso, sì. Ha proposto alle alte sfere di realizzare il Purgatorio!”.

“Come?” faccio bloccandomi sul posto.

Gabriele è un po’ infastidito, alza gli occhi e un fremito gli percorre le ali. Evidentemente si è reso conto di aver parlato troppo.

“Veramente, questa era una notizia riservata, non avrei dovuto lasciarmela scappare”.

“Notizia riservata? Capisco che sia una notizia riservata. Quello che non capisco è il motivo. L’altro giorno mi avevi fatto un discorso diverso”.

“Che vuoi che ti dica? Ci sono state lamentele e pure tu mi pare hai partecipato a qualche episodio un po’ vivace o sbaglio?”.

Le scene viste all’Apocalipse Bau, in effetti, sono state abbastanza forti.

“E quindi?”

“E quindi le alte sfere hanno pensato che la realizzazione di un Purgatorio, anche se poco più che simbolico, sarebbe stata un buon sistema per aggiustare le cose”.

“Un luogo di punizione, insomma”.

Le ali di Gabriele tradiscono un fremito ancora più forte di quello precedente, tanto che l’arcangelo si libra in aria per qualche istante.

“No, insomma, in un certo senso, ma non solo. E’ ormai necessario instituire anche un luogo-filtro che regoli le entrate e che prepari le anime alle regole minime della convivenza in paradiso”.

“E questo lo hanno pensato sempre le alte sfere?”

“Già”

“Ma chi sono queste alte sfere? Io credevo che fosse sotto il SUO controllo…”

Gabriele mi guarda perplesso. E’ consapevole di essersi lasciato andare troppo e vorrebbe interrompere qui, ma ormai si rende conto che non può lasciare il discorso così in sospeso.

“ La realtà è molto complessa e difficile da spiegare”.

“Provaci”.

“Cominciamo dall’inizio. Ti sei mai chiesto, quando eri ancora sulla terra, se altri pianeti o luoghi dell’universo ospitassero altre forme di vita?”.

“Sì, anzi ero fermamente convinto che non potevamo essere soli. Sarebbe stato da egoisti e presuntuosi pensare che tutto il cosmo fosse stato creato solo per noi”.

“Giusta osservazione”.

Sorriso compiaciuto da parte mia. Mi piace fare la figura della persona intelligente.

“ E non ti sei mai chiesto come mai in Paradiso ci siano solo esseri provenienti dal pianeta Terra?”

No, da bravo terrestre, egoista e presuntuoso, non mi ero mai posto questa domanda. La faccia che sto facendo deve essere davvero comica perché Gabriele esplode in una risata clamorosa.

“Voi umani. Fate sempre la stessa espressione quando vi si spiega questa banalità”.

“Ma vuoi dire che esiste un altro paradiso?”

“No, proprio non ce la fate a non essere Terra-centrici” e scuote il capo aureolato.

“Vuoi dire che esiste un Paradiso per ogni pianeta?”

“Sì, e non solo, ma per ora ti basti sapere che questo che ti ha già sconvolto abbastanza. Mi raccomando: discrezione assoluta”. Gabriele continua a ridere fragorosamente mentre mi saluta con la mano lasciandomi inchiodato alla mia espressione stupita.

domenica 27 febbraio 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ' A QUESTA VITA - cronaca 6

Avevo passato il pomeriggio in Biblioteca, a sfogliare le prime pagine della documentazione che avevo richiesto su i misteri d’Itala ed era stato tutta una serie di ovvie conferme alternate a scoperte stupefacenti. E chi se lo sarebbe mai aspettato che la nota soubrette fosse implicate nel traffico mondiale di sostanze radioattive? Tutti pensavamo che quelle fossero semplici pajettes.

Mandolina aveva già un appuntamento per quella sera, e Caravaggio già mi squadrava torvo, così mi ha proposto di contattare una sua amica per una serata in un locale.

Il simulacro della Brunetta dei Ricchi e Poveri organizzava un’uscita a quattro e aveva bisogno di un accompagnatore per Mata Hari. Hammurabi, un tipo silenzioso ma simpatico e mooolto generoso a sentire lei, avrebbe completato il quartetto. Appuntamento davanti al locale “Apocalipse Bau”, il cui proprietario era ovviamente cinofilo e cinefilo.

La brunetta era un ciclone di parole, mentre Mata tutto un gioco di sguardi e ammiccamenti e Hammurabi, dopo un grugnito di saluto, si è chiuso nel suo personaggio di statua vivente o quasi.

Almeno mezz’ora per entrare, si era formata una coda. Coppi e Bartali si erano incontrati sull’ingresso e ognuno dei due voleva cedere il passo all’altro. “Prima tu, prego” “Ma no, prima tu” “Io non oserei mai passarti davanti” “Figurati se io ti costringerei a guardare il mio di dietro”. Alla fine sono riusciti a coordinarsi per entrare contemporaneamente anche se con una certa fatica.

Il locale era pieno di gente e di una luce forte e calda, molto accogliente, ma che almeno all’inizio non mi permetteva di capirne le dimensioni. Ci siamo seduti al bancone, piuttosto largo che sembrava svilupparsi in lunghezza senza fine con una schiera di barman a servire da bere. Con una certa sorpresa mi accorsi che sarebbe stato il simulacro della Sharapova ad occuparsi del nostro servizio.

Stavano allestendo il palco per la band che avrebbe suonato e la Sharapova ha cominciato a servirci. Causa lo spessore del balcone era costretta ad allungarsi per porgerci le bevande e ad ogni allungo emetteva il suo famoso gemito – “Ah!” – che ha reso così popolare il tennis tra schiere di maschi che prima avevano sempre snobbato la racchetta e il suo mondo.

La brunetta parlava, parlava e ogni tanto prendeva la mano di Hammurabi, che al contatto cominciava a sorridere addolcito e un po’ beota, per poi, quando le mani si staccavano, tornare nel suo personaggio di statua. Mata, oltre a comunicare con lo sguardo, ogni tanto cercava di emettere delle frasi di cui però riuscivo solo a percepire il suono, tanto erano sospirate a mezza bocca, ma non ne afferravo il senso. Guardandola negli occhi però era facile capire l’intenzione. Piuttosto “burrosa” la Mata, forse perché anche quassù è vietato fumare nei locali, e non solo l’praticamente dappertutto, e il suo bocchino - dotato di una sigaretta finta, quelle fatte di chewingum - non le bastava come surrogato e, quindi, aveva finiti tutti i salatini e stuzzichini vari. Da bravo cavaliere provvedevo a chiederne ancora alla Sharapova così che questa, sempre impeccabile nel servizio, si allungava con l’effetto collaterale già descritto, rendendomi dolce la serata.

“Bello il locale, vero?” chiedeva conferma la brunetta ogni cinque minuti.

“…..” concordava Hammurabi

“Non male anche se ho visto di meglio” per una volta scandiva nette le parole la Mata.

“Ah!” si allungava la Sharapova

“Bello sì, venite spesso qui?” il mio sforzo per tener viva la conversazione.

E la Brunetta cominciava a fare l’elenco di tutti i locali che frequentava con annessa classifica suddivisa per generi, qualità del servizio, gente che li frequentava ecc. ecc. . L’annuncio dell’inizio del concerto ha interrotto quel fiume di parole.

La band era quanto di più eterogeneo potessi immaginare: alla voce Vittorio Alfieri, Ritchie Blackmore alla chitarra, W.A. Mozart alle tastiere, alla batteria uno vestito da Spiderman, al basso Madre Teresa di Calcutta. L’inizio fu mozzafiato: la voce di Alfieri veniva trascinata in alto dalla chitarra virtuosissima di Blackmore, e sostenuto dalla sezione ritmica intensa e pulita, il tutto nell’atmosfera armonica e magica costruita dall’Hammond di Amadeus. Sorpreso dall’attacco del concerto ho sorriso verso la Brunetta, proponitrice della serata. Questa mi ha ricambiato con uno sguardo che mi ha stupito a sua volta, tipo “speriamo bene”. Troppo incuriosito mi sono avvicinato a lei non badando allo sguardo in tralice di Hammurabi e le ho chiesto il motivo.

“Se quelle due teste matte non si mettono a sperimentare, va tutto bene”

Ha risposto lasciandomi con i miei dubbi, ma ho lasciato cadere la cosa anche perché la Sharapova continuava a servirci sempre gratificandomi col suo gemito che, ora coperto dalla musica, mi gustavo guardando il movimento delle labbra. Quando se n'è accorta mi ha sorriso. Da quel momento non ho più badato a quello che succedeva nel locale, guardano solo lei e continuando a scambiarci sorrisi. Almeno fino a quando la baraonda non mi ha svegliato al mio sogno ad occhi aperti.

Sul palco succedeva l’incredibile. Madre Teresa aveva strappato la chitarra di mano a Blackmore e aveva cominciato un assolo col distorsore da brividi, il batterista si era completamente denudato ad eccezione della maschera e di un tanga leopardato, Mozart, dopo aver legato Alfieri allo sgabello del pianoforte, si era impossessato del microfono e rappava. Il pubblico in delirio, soprattutto quando Teresa ha cominciato a fare salti tipo Pete Townshend e uno vestito con una toga, Caligola mi hanno detto dopo, è salito sul palco e si è tuffato sul pubblico. Adesso era Teresa a rappare e Amadeus con l’altro microfono le faceva un tappeto ritmico a rutti , il batterista abbandonato lo strumento si improvvisava cubista danzando sull’organo Hammond, mentre Blackmore tentava di accompagnare in sottofondo con l’ocarina. Tutto il locale ballava e un gruppo di martiri dei primi cristiani, con tanto di leone al seguito, è salito sui tavoli danzando freneticamente seguito da un altro gruppo composto da carmelitane scalze che quando sono state invitate a scendere dalla security hanno detto di no perché qualche scalmanato aveva rotto dei bicchieri e loro non volevano ferirsi.

Nella bolgia il nostro quartetto si è perso di vista. Io non mi sono disperato, anzi. Ho pensato che valesse la pena aiutare a metter a posto e, magari, aspettare la Sharapova. Lei ha apprezzato il mio gesto e quando le ho chiesto se potevo accompagnarla a casa, m’ha guardato negli occhi e m’ha risposto:

“Ah!”