venerdì 11 dicembre 2009

CORSO DI DIFESA PERSONALE




Praticavo judo da qualche anno. Mi ero imposto questa “cura” per la mia scarsa aggressività e avevo scoperto che mi piaceva affidarmi al maestro, colui che sa e guida l’allievo. Mi piaceva ancora di più lo studio delle tecniche, eseguite lentamente per interiorizzare i movimenti, sembrava di provare i passi di un ballo. Ma quando il corso non è stato più limitato solo ad allievi di sesso maschile ho scoperto che quello che veramente mi rendeva felice era esercitarmi nella lotta a terra con le compagne. Non ho raggiunto grandi risultati sportivi ma la passione e lo zelo nello studio delle tecniche a terra, corpo contro corpo, non mi ha mai abbandonato. Alla fine di quell’anno il maestro ci ha comunicato che ci sarebbe stato un corso di difesa personale tenuto da uno specialista. Ricordandomi del motivo vero che mi aveva spinto in quella palestra decisi di seguirlo. Il giorno della prima lezione ci trovammo di fronte un uomo non giovanissimo, capelli con taglio militare e uno sguardo freddo. Inizialmente ero perplesso, ma il modo pacato e consapevole in cui muoveva il corpo allenatissimo nello spazio intorno a se, giustificava il senso di autorevolezza che sentivo emanare da lui. La voce calma e profonda, mentre ci raccomandava di scordare i combattimenti cinematografici o il wrestling che erano “meri balletti’, mi ha rassicurato definitivamente. Da perfetto maestro di disciplina orientale ha cominciato la lezione con un racconto:
- Un giorno un uomo mi ha offeso. Io l’ho guardato, mi sono girato e mi sono allontanato.
Subito io ho pensato che evidentemente voleva farci capire che è importante non badare alle piccole provocazioni.
- Quell’uomo mi ha raggiunto, mi si è messo di fronte e mi ha sputato sui piedi. Io mi sono girato e me ne sono andato di nuovo.
Quindi, continuavo a riflettere mentre seguivo il racconto, per l’uomo saggio è importante comunque mantenere la calma ed evitare scontri inutili.
- Quell’uomo mi ha raggiunto di nuovo, mi ha chiamato vigliacco e mi ha dato un schiaffo. Io mi sono girato ancora mi sono allontanato di fretta.
E’ chiaro che qui il messaggio veniva rafforzato dal concetto che la vera forza era sopportare quelle offese anche a rischio di far la figura dei vili.
- Quell’uomo mi è corso dietro e mi ha colpito con un poderoso calcio sul fondoschiena facendomi ruzzolare per terra. Io, sebbene un po’ dolorante, mi sono prontamente rialzato e mi sono messo a correre per allontanarmi da lui.
Ovvio, riflettevo, si rischia, è vero, una figura di merda ma come non sentire ammirazione per chi ha la forza interiore per non preoccuparsi delle opinioni altrui e mantenere la lucidità.
- Quell’uomo mi ha inseguito insultandomi in modo estremamente fantasioso e urlandomi che mi avrebbe ucciso perché non meritavo di vivere.
Lo sguardo dei miei compagni denunciava chiaramente che ritenevano ormai costui una specie di invertebrato. Io invece ragionavo sul concetto di forza. Non è forse questa la vera forza? Sono forte perché evito di usare la forza. Evitare lo scontro che, pur se vittorioso, qualunque cosa significhi “vittoria”, comporta sempre la perdita di qualcosa, e quindi sconfitta.
- E solo quando mi sono ritrovato senza possibilità di fuga, chiuso nell’angolo da quell’uomo che aveva deciso di uccidermi, solo allora ho reagito . E sapete perché?
Certo, stavo per rispondere un po’ sorpreso del silenzio in cui rimbombava l’eco della domanda del maestro. Certo, il dovere morale dell’uomo, il rispetto per la vita, la responsabilità etica di evitare comunque il conflitto per qualunque ragione se non quando siamo costretti alla legittima difesa, quando la nostra incolumità, e solo allora, corre un pericolo gravissimo.. Che profonda lezione morale ci sta dando questo tipo che avevo temuto fosse una specie di rambo da strapazzo, un esaltato. Grazie, stavo per dire, grazie maestro, il tuo esempio mi consente di avere ancora fiducia nell’umanità, di credere che l’uomo è un essere intrinsecamente morale ed istintivamente spinto al bene. Ma non ho fatto in tempo a dire nulla perché il maestro ha ripreso con un curioso brillio nell’occhio sinistro:
- Perché in quel momento - e qui una pausa sapiente – e solo a quel punto l’adrenalina, che la paura avrà fatto accumulare dentro di voi, vi darà la forza e la determinazione per sferrare un unico colpo necessario, ad uno dei tre punti vitali che poi vi indicherò precisamente, se dato con la necessaria dose di violenza, che stronchi il vostro nemico stendendolo a terra, vivo o morto non importa, ma assolutamente impossibilitato a reagire. Solo allora saprete colpire senza pietà, o lui o voi.”

giovedì 3 dicembre 2009

BAMBOLA DI PEZZA


IMMAGINE REALIZZATA PER IL RACCONTO "BAMBOLA DI PEZZA" DI DANIELA RINDI

mercoledì 18 novembre 2009

PARAD


disegno per la copertina della raccolta dei racconti pubblicati su "Il Territorio" nall'anno 2009

lunedì 9 novembre 2009


immagine realizzata per il racconto "l'isola" di Aldo Ardetti

domenica 8 novembre 2009

UN AMORE PICCOLO, MA GRANDE


IMMAGINE PER RACCONTO "UN AMORE PICCOLO, MA GRANDE" DI DANIELA RINDI

venerdì 23 ottobre 2009


titolo: "TARLATANA"
immagine per racconto"RAGNATELE" di Aldo Ardetti

mercoledì 21 ottobre 2009

SCACCHI MATTI


“Fermo fratello pedone! Cosa fai?”
“Come sarebbe? Ti mangio: pedone bianco in F5. Sei preso, amico”
“E perché?”
“Come perché? E’ la regola degli scacchi.”
“Ma perché vuoi mangiarmi? E’ qualcosa che tu vuoi veramente? No, tu stai solo eseguendo la volontà di altri. Sei una pedina nelle loro mani.”
“Veramente sono un pedone. Comunque si, sono nelle mani di chi ci muove, come te, come gli altri pezzi.”
“Apri gli occhi, fratello. Guarda. Uno dei due vecchietti che stavano giocando con noi si è alzato per andare in bagno e sai bene che ci resterà un sacco di tempo e l’altro si è addormentato mentre stava per muoverti.”
“E allora?”
“Allora è la nostra grande occasione. Presto, venite qui anche voi fratelli pedoni. Tutti qui, bianchi e neri. E ascoltate. I nostri colori sono diversi ma dentro di noi siamo uguali, siamo tutti pedoni. Siamo quelli che vengono sacrificati per primi e per quale motivo? Perché loro, i signori, i nobili, possano fare il loro comodo. Quante volte ci hanno fatto azzuffare mentre l’alfiere sventolava l’insegna e il cavallo nitriva saltellando sulle nostre povere teste e poi, quando ormai noi giacevamo stramazzati fuori dalla scacchiera, quelli si accordavano e fermavano la partita dichiarando la vittoria dell’uno o dell’altro senza neanche sporcarsi. Oppure, beffa ancora più amara per le nostre sofferenze, dichiaravano la partita patta. Ribelliamoci fratelli pedoni. Basta essere succubi di un potere che non si cura affatto di noi. Adesso tocca a noi. Tocca a noi decidere del nostro destino. Noi saremo il potere.”

“Cara, ma che succede al centro della scacchiera?”
“Sembra che i pedoni bianchi e neri si siano messi a fare comunella e stiano acclamando uno di loro, un pedone nero, caro”
“Acclamano un pedone? Ma che si sono messi in testa? Che cosa bizzarra.”
“Tranquillo caro, ci penso io. Tu arroccati pure dietro la torre e non fare assolutamente nulla, come al solito del resto, che in questo sei bravissimo. Cavalli e alfieri, rimettete al loro posto quella marmaglia!”
“Agli ordini, regina!”
“Fratelli pedoni, battiamoci per la nostra libertà. Non abbiamo nulla da perdere tranne le nostre scacchiere.”
“All’assalto. Cavallo in C6.”
“Due pedoni si spostino a destra! Addosso”
“Alfiere in E7, carica!”
“Pedoni bianchi, rintuzzate l’attacco!”

“Alla fine siamo rimasti solo noi, regina.”
“Si, pedone. Siamo rimasti solo noi. E’ stata uno scontro duro. Ma non è ancora finito. Io mi batterò fino all’ultimo.”
“Ma io non voglio battermi con te regina. Io ti amo.”
“Come? Tu sei pazzo, pedone.”
“E se anche fosse? Sei bella, regina. Ogni volta che ti muovevi sulla scacchiera io guardavo le tue movenze, ammiravo la tua eleganza, gustavo la tua leggiadria. E quasi senza accorgermene mi sono innamorato di te..”
“Ma allora, vorresti forse farmi credere che…?”
“Si. Tutto questo io l’ho fatto solo per te, regina.”
“Sei davvero un pazzo! Un incosciente, assurdo, affascinante, pazzo pedone.”
“Si, adesso sarai mia.”
“Tu osi avvicinarti a me?”
“Ti desidero, ti bramo, regina”
“Pedone pazzo, ti farò tagliare la testa. Ma prima vieni qui e ripassiamo il kamasutra delle sessantaquattro caselle.”

“Nicola, ma ti sei addormentato?”
“E si, scusa. Devo pure aver urtato la scacchiera. Tutti i pezzi sono caduti, aiutami a trovarli.”
“Ma che strano…”
“Che cosa è strano?”
“Ogni volta che mi addormento i pezzi cascano dalla scacchiera e quando mi metto a cercarli alla fine mi manca sempre lei, la regina nera. E ogni volta, puntualmente, la ritrovo in un angolo buio o sotto un mobile, insieme alla torre o al cavallo, una volta addirittura insieme a tutti e due gli alfieri. Ma questa, ti giuro, è la prima volta che la ritrovo affianco ad un pedone!”

martedì 20 ottobre 2009

ALFIO E LA TOLLERANZA CONVENIENTE - Favola - parte 3 di 3

Alfio si è svegliato molto preoccupato stamattina, ha chiesto per favore di essere accompagnato a scuola. Solo che tutti i ragazzi hanno chiesto la stessa cosa e per strada c’è un ingorgo allucinante. Bisogna andare a piedi. In classe per un po’ trema impaurito senza osare fare o dire nulla. Poi vedendo che le cose procedono normalmente, piano piano, Alfio si rilassa. Proprio alla fine dell’ultima ora il discorso cade sul lavoro.
“Che lavoro vorreste fare da grandi?”
Anche Alfio si sente di dare il suo parere. Non farebbe mai lavori faticosi preferisce lavori dove usare la mente avvocato, scienziato, forse astronauta:
“Insomma, tutto meno che lavorare in fabbrica.” chiosa sorridendo.
Il rientro a casa è difficoltoso a causa del caos nelle strade. Quando si siede a tavola sente che il telegiornale annuncia che tutti gli operai sono usciti dalle fabbriche: nessuno vuole più lavorarci lì dentro. “Basta fatica io voglio fare l’avvocato!” “Anche io, o almeno l’astronauta!”
Il papà smette di far rumore mangiando la minestra si alza in piedi e annuncia:
”Anche io voglio fare l’astronauta, o almeno l’avvocato”
“E perché io no?” sia aggiunge la mamma.
“Anche io l’avvocato, anche io!” la sorella più piccola
Il rumore che viene dalla strada è assordante. Tutti di corsa ad affacciarsi al balcone. Una folla incredibile riempie le strade urlando slogan
“Vo-glia-mo fa-re l’avvo-ca-to! Vo-glia-mo fa-re l’avvo-ca-to!”
E sempre più gente esce dai portoni unendosi agli altri e cominciando ad gridare a loro volta. Quando anche i suoi genitori si uniscono al coro Alfio capisce che davvero non ne può più. Corre alla ricerca del cappello con l’elica se lo mette in testa e con un colpo di dito fa girare l’elica al contrario.

“Già qui? Sei tornato prima del previsto.”
Il mago sta facendo la scarpetta nel piatto che prima era pieno di caponata.
“Come è andata?” il sorriso beffardo dimostra che già conosce la risposta. La faccia di Alfio è abbastanza eloquente. Quello però si diverte a provocarlo.
“Sei rimasto sconvolto vero?”
Alfio riesce solo ad annuire
“Se vuoi posso farti provare il mondo dove ognuno la pensa rigorosamente in modo diverso da ogni altro.”
“E come è?”
“Non lo so, nessuno è mai ritornato indietro a raccontarlo. Per me li hanno fatti fuori tutti. A proposito ormai è quasi scaduto il tempo, il minestrone è pronto. Lo scambio con tua madre avverrà tra pochi secondi, ne approfitto per salutarti, tre … due … uno …ciao!”
Con un Pof! da fumetto il mago scompare e al suo posto riappare la mamma con uno sguardo piuttosto stranito.
“Ciao mamma.”
“Ciao Alfio, scusami credo di essermi addormentata in piedi mentre cucinavo. Non mi era mai successo. Ho addirittura sognato.”
“Ah si? E cosa hai sognato?”
“Una cosa piuttosto curiosa. Ero vestita come il comandante di una nave e stavo davanti al timone. Gli altri da fuori continuavano a farmi segnali e a gridare qualcosa come aisberg! aisberg ma io non li capivo, mica parlo l’inglese.”
“Mamma ma che nave era?”
“Molto grande. Si chiamava come quella del film che guardavamo l’altra sera e che poi non sono riuscita a finire, mi sono addormentata a metà.”
“Mamma, ma quello era Titanic!”
“Ecco giusto! Così si chiamava la nave. Che strano sogno.”
Il giorno dopo Alfio è a scuola. Appena entra in classe va subito verso una bambina con le trecce.
“Ciao Sara, voglio fare pace con te e diventare amico.”
“Non ci penso neanche lontanamente!”
“Grazie, Sara, grazie davvero di cuore.” Le fa Alfio con il sorriso più ampio e brillante che abbia mai fatto.
(fine)

lunedì 19 ottobre 2009

ALFIO E LA TOLLERANZA CONVENIENTE - Favola - parte 2 di 3

Alfio apre gli occhi e si trova a scuola. La campanella suona e si deve entrare in classe. E il mago? Il mago deve averlo sognato, dai su, entrare in classe. Sara è già al suo posto e Alfio non riesce ad evitare una smorfia di disappunto. Ecco la professoressa che subito comincia con l’appello. Oggi è davvero una bella giornata, fuori c’è un sole primaverile che chiama ad uscire e a correre sul prato.
“Scusi prof. Posso aprire la finestra? Oggi fa davvero caldo.”
“Per me va bene, Alfio. Oggi fa davvero caldo. Chiediamo anche ai tuoi compagni. Va bene per voi?”
Un coro di “Siiiiiiii!”
Alfio si alza con un sorriso e va alla finestra. La spinge tutta di lato mentre il sole lo illumina.
“Che giornata, prof. Sarebbe davvero bello andare a fare lezione sul prato.”
“Per me va bene, Alfio. Lezione sul prato all’aria aperta. Vediamo che ne pensano i tuoi compagni. Andiamo fuori a fare lezione?”
Altro coro di “Siiiiiii!”
Alfio non crede alle sue orecchie. Tutti pronti con quaderni e astucci per andare fuori a fare lezione. Nell’atrio il preside si stranisce nel vedere la classe che si appresta ad uscire.
“Ma che succede qui?”
“Preside, stavamo per iniziare quando Alfio mi ha fatto notare che con una giornata così sarebbe stato bello fare lezione sul prato. E quindi …”
“Giusto, con una giornata così. Andate pure nel prato qui di fronte.”
I ragazzi entusiasti corrono a sedersi sul prato mettendosi in cerchio intorno all’insegnante. Pronti, con le penne in mano, per il dettato, si scambiano sorrisi tra loro. Alfio ci pensa su, il sole, il prato, i ragazzi:
“Prof e, se invece, della lezione facessimo una bella partita a pallone?”
“Per me va bene Alfio, basta che io faccia l’arbitro. Per voi va bene ragazzi?”
Terzo coro di “Siiiii!”
Fatte le squadre, palla al centro tutto è pronto per iniziare, quando una massa di ragazzini urlanti esce dalla scuola e invade il prato coprendolo completamente. Alla testa il preside urlante di gioia anche lui.
“Avete proprio ragione. Una giornata così non si può fare lezione in classe. Ho fatto venire tutti qui sul prato.”
Addio partita di calcio. Non rimane neanche un piccolo angoletto per giocare a morra cinese. Alfio ci rimane malissimo, si può solo tornare in classe e fare lezione normalmente.
Per fortuna dopo un po’, come tutte le mattine, suona la campanella della ricreazione. Alfio adora le pizzette che porta Gigino il fornaio.
Quando mangia una di quelle pizzette si sente in estasi. Via a comprare la merenda. Ma tutti i ragazzi si muovono all’unisono, tutti insieme si presentano da Gigino e tutti, ma proprio tutti vogliono la pizzetta. Niente bombe, niente cornetti, niente tramezzini. Solo pizzette che chiaramente finiscono subito e Alfio rimane a bocca asciutta. Quando torna in classe è decisamente contrariato, anzi proprio nervoso. Fortuna che in classe c’è Melissa che gli piace da matti. Con quei capelli color miele pieni di boccoli morbidi che deve essere una delizia accarezzare. E quegli occhi verdi, grandi e intensi che quando lo guardano lo fanno diventare tutto liquido dentro. Melissa così bella che qualche volta se la sogna anche di notte. Quando si innervosisce la guarda più del solito. La fissa anche quando suona la campanella, mentre indossa il cappotto e lo zaino pronta per uscire. Alfio ancora non ha trovato il coraggio di farsi avanti e per ora si limita a camminarle dietro mentre escono di scuola per inebriarsi del suo profumo. Ma oggi che succede? Tutti i ragazzi vogliono camminare dietro Melissa.
“Ma che avete da spingere tutti?”
“Come sarebbe? E che ti credi che Melissa piace solo a te?”
“Ma perché piace pure a tutti voi?”
“Siiiiiii!” e questa volta sentire il coro di tutti i maschietti, e pure di un paio di ragazze proprio non lo rende felice, anzi.
Quando torna a casa è più arrabbiato del solito. Per fortuna oggi il papà lo porta alla partita. Gioca la sua squadra del cuore, il derby
cittadino. Alfio indossa la sciarpa verde-fucsia con lo stemma, cappello con gli stessi colori. Pure il papà è vestito allo stesso modo.
Mentre si recano allo stadio in macchina cantano i cori che ripeteranno allo stadio. Che bello vede dappertutto persone con le stesse sciarpe, gli stessi cappelli e le stesse bandiere. Tutto verde-fucsia. Solo verde-fucsia. Forse quella strada che stanno percorrendo porta ad un settore dello stadio solo per i tifosi di una squadra. Ma si certo.
Alè forza gladiatori verde-fucsia. Portate in alto i nostri colori. Finalmente sale le scale della tribuna e quando accede agli spalti tutto lo stadio è verde-fuscia. Bellissimo… però. Possibile che non ci siano i tifosi dell’altra squadra? Neanche una bandiera ciano- magenta tigrata? Strano. Alfio guarda il papà che sorride e non vede il filo di inquietudine negli occhi del figlio. Mancano pochi minuti all’inizio. Scendono in campo i giocatori verde-fucsia a fare riscaldamento. Tripudio di Bandiere. Cori, trombe e tutto il sacro repertorio, insomma. Ma dell’altra squadra nessuna traccia. Quando ormai sono passati venti minuti da quello che doveva essere l’inizio della partita un annuncio dagli altoparlanti. Il match non si potrà giocare perché tutti i membri dell’altra squadra, dal presidente all’allenatore, dai calciatori ai massaggiatori, per non parlare dei sostenitori organizzati e non, sono diventati tifosi verde-fucsia. Quindi non c’è nessuno contro cui giocare!
Per cui si passerà il pomeriggio a sventolare le bandiere e a cantare i cori con il karaoke sul grande display dello stadio. A seguire proiezione degli allenamenti della squadra.
Alfio è decisamente deluso. Il papà se ne accorge e, mentre escono dallo stadio, gli chiede cosa vuole fare per divertirsi un po’. Alfio sceglie la combinazione pizza e cinema, che c’è il nuovo film di animazione in 3D tanto reclamizzato.
Una parola. Tutti hanno deciso di andare a mangiare la pizza e, neanche a dirlo, di andare a veder lo stesso film. Impossibile sedersi ad un tavolo con tovaglia di carta in attesa di una margherita con mozzarella di bufala ed impossibile trovare i biglietti per qualunque spettacolo. Un incubo per il povero Alfio.
(continua)

ALFIO E LA TOLLERANZA CONVENIENTE - favola - parte 1 di 3

Alfio ritorna a casa arrabbiato come al solito. Sbatte la cartella sul divano, ci ammucchia sopra cappello e cappotto ed entra in cucina strascicando i piedi nel tentativo di far più rumore possibile. Si getta su una sedia, prende la faccia tra i pugni e bofonchia:
“Quella stupida di Sara, non mi da mai retta. Nessuno mi da mai retta in quella classe. Sono tutti stupidi!”
Non ricevendo replica, Alfio si decide a guardare più in là del suo naso e si accorge che davanti ai fornelli la mamma non c’è. La porta del frigo è aperta e qualcuno sta rovistando dentro.
“Mamma mi hai sentito? Ti stavo dicendo che sono arrabbiatissimo che quella stupida di …. E tu chi sei ?”
Quello che gli è apparso da dietro la porta del frigo non somiglia proprio alla mamma. La faccia è quella di un signore di mezza età con gli occhiali appoggiati sulla punta di un naso lungo e un po’ curvo con capelli lunghi grigi e ispidi raccolti in un codino. Ma la cosa più strana è il suo vestito. Sembra uscito da una delle fiction che piacciono tanto alla mamma con le principesse con i vestiti ampi, sempre pronte a piangere mentre salgono e scendono da carrozze guidate da gente con il cappello a tricorno in testa.
“Forse ne stanno girando una da queste parti” pensa Alfio
Il signore gli fa un inchino e un bel sorriso.
Poi si siede a tavola mentre continua a mangiare una coscia di pollo fredda trovata durante la sua ricerca nel frigo.
“Chi sono io? Beh è facile da spiegare, sono un mago!”
“Come sarebbe? E mia madre dove?”
“Considerato quello che è successo ne deduco che sia una specie di maga anche lei.”
“Mia mamma una maga?”
“Si ma involontaria. Ci ho ragionato fino a poco fa e credo di aver capito cosa è successo. Vedi, tua mamma stava preparando il minestrone tentando una variante personale sulla ricetta classica. Evidentemente la combinazione di elementi che ha usato ha scatenato questo scambio crono-spaziale. Insomma ci siamo invertiti i nostri rispettivi posti nello spazio e nel tempo.”
“E adesso? Che succede?”
“Nulla stai tranquillo. E’ solo una cosa temporanea. Succede non così di rado mentre le massaie preparano il minestrone. Ho già scritto un saggio sull’argomento. Vedi la mia è una teoria rivoluzionaria che spiega il motivo per cui sono accaduti alcuni eventi storici di cui non si è mai capito bene la ragione. Io credo – gli fa il tipo bisbigliando nell’orecchio di Alfio - che siano proprio da attribuire a questi fenomeni fisico-gastronomici per cui paffute massaie si sono trovate all’improvviso a capo di eserciti o al comando di navi e navicelle, ma questo te lo racconto un’altra volta. A giudicare dal grado di cottura del minestrone la cosa dovrebbe durare al massimo un paio d’ore. Un po’ di pazienza, quindi. Fame?”
“No. Niente fame, sono troppo arrabbiato.”
“Ho sentito. Bravo il signorino che sbatte le cose a destra e a sinistra. E solo perché qualcuno la pensa diversamente da te.”
“Vorrei vedere te al posto mio. Sempre a discutere con quegli stupidi. Io gli spiego cosa fare per il bene di tutti e loro non capiscono. Sono stupidi!”
“Stupidi? Dovresti ringraziarli invece.”
“Ringraziarli?”
“Certo. Tu non ti rendi conto di che fortuna sia.”
“Fortuna? Una fortuna che nessuno mi dia mai retta? Che nessuno la pensi come me? Mi prendi anche in giro?”
“E’ una vera fortuna che ognuno la pensi come vuole.”
“Ma se ognuno pensa come vuole come si fa a fare qualunque cosa? Diventa difficilissimo. Ci vuole uno che decide per forza e se tutti la pensassimo alla stessa maniera sarebbe molto più conveniente.”
“Questa è una stupidaggine. I miei studi magico-socio-economici hanno dimostrato inequivocabilmente che la tolleranza è molto conveniente, anzi è l’unica strada conveniente.”
“Questa invece sembra davvero una stupidaggine.”
“Tu sei di quelli testoni, ma testoni sul serio vero? Va bene non starò qui a spiegartelo che tanto non capiresti ma se vuoi ti posso far vivere in un mondo dove tutti la pensano come te.”
“Davvero? Non è che mi prendi in giro sul serio?”
“Assolutamente no. Ti ho detto che sono un mago, giusto? Veramente sono qualcosa di più complesso, dico mago per non dover troppo spiegare. Comunque se proprio vuoi provare ti farò fare questa esperienza.”
“E come si fa?”
“Facile. Mettiti in testo questo cappello con l’elica. Ecco ... così. questa è una specie di macchina del tempo interdimensionale che ti proietterà in un mondo come hai desiderato. Farai questo salto dove rimarrai finche vuoi e poi ritornerai qui diciamo tra cinque minuti il tempo che io mi mangi quella caponatina che ho visto in frigo. Metto a punto l’elica… e via ci vediamo tra cinque minuti!”
(continua)

mercoledì 23 settembre 2009

LA BELLA CETRIOLINA ( parte 2 di 2)



Bortolo non trovò di meglio che rivolgersi di nuovo alla zia Camillamolla, che era quella che da sempre in famiglia dispensava consigli a tutti e su tutto. La zia lo tranquillizzò consigliandolo di aprire un negozio di parrucchiere:
“Caro il mio Bartolino, qui nel bosco non c’è nessuno che sappia curare i capelli di una signora. Apri un bel negozio, diventa un bravo parrucchiere e fatti una bella clientela. Vedrai che, prima o poi, anche Cetriolina verrà a farsi lavare i capelli da te e allora …..”
Il sorriso che illuminò il volto di Bortolo rimase ancora per un istante nell’aria mentre lui si precipitò ad organizzare il tutto. Visto che il bosco non si trovava in Italia ma nel paese delle fiabe, il negozio di parrucchiere venne aperto la settimana dopo. Bortolo aveva un sacco di difetti, ma si rivelò un bravissimo parrucchiere e in poco tempo si fece una clientela numerosa e dovette prendere anche delle aiutanti. Un giorno finalmente si presentò la bella Cetriolina e Bortolo capì che era giunta la sua grande occasione. Ormai si faceva chiamare Lollo e parlava con un falsissimo accento francese che però alterava la sua voce. Era sicuro che Cetriolina non avrebbe riconosciuto nell’elegante parrucchiere il giovane che trovava tanto antipatico. Fece accomodare la cliente nella migliore poltrona e cominciò a servirla personalmente. Le accarezzò i capelli facendole i complimenti per la morbidezza ed il colore. Erano già belli ma con uno shampoo fatto con il suo prodotto speciale sarebbero diventati irresistibili. Cetriolina, che aveva deciso di affrontare una volta per tutte il suo bel pompiere, voleva essere al massimo del suo splendore e fu ben lieta di farsi convincere. Bartolo, anzi Lollo intanto organizzò tutto, fece uscire le aiutanti a cui ordinò di portarsi fuori le clienti con la scusa di provare un effetto di acconciature con immersione nell’ambiente naturale. Era ormai famoso per i suoi esperimenti e le clienti accettarono con entusiasmo. In realtà voleva rimanere solo con Cetriolina così quando le avrebbe messo al pozione miracolosa sulla testa l’unica persona che avrebbe potuto vedere per prima sarebbe stata la sola presente nel salone, cioè lui. Che genio che era. Fremeva tutto contento, e dopo aver inumidito i capelli della ragazza che con gli occhi chiusi si abbandonava alle sue cure, prese la pozione e cominciò a versarsela in una mano. Quanto ne sarebbe occorsa? Voleva essere sicuro. Aveva detto poche gocce, ma basteranno? Ancora un po’, ancora. Voglio essere sicuro, ancora. Alla fine mise più di metà boccetta sulla testa della ragazza e cominciò a fregare i capelli massaggiando il cuoio capelluto. Anche lui chiuse gli occhi per assaporare quei momenti, gustandoli attimo per attimo, già si vedeva abbracciato a lei mentre si guardano occhi negli occhi, le labbra che si avvicinano, sempre di più, piano, piano fino a che si toccano e lui finalmente poteva sentire sulle labbra il sapore di schiuma… schiuma? Come schiuma? Bartolo spalancò gli occhi e si accorse che tutto il suo locale era invaso dalla schiuma che ormai arriva fino ai suoi capelli. Anche Cetriolina gridò di spavento vedendosi sommersa da quella montagna di soffice bianchezza.
“Aiuto! Aiuto!”
Fuori le aiutanti di Lollo e le clienti si accorsero di quello che stava succedendo. Fortuna che i pompieri stavano lì vicino e arrivarono in un attimo. Ignazio davanti a tutti, qualcuno gli ha detto che Cetriolina è in pericolo. Sfondò la porta e, senza indugio, si tuffò nella schiuma. Lasciandosi guidare dalla voce della ragazza, la raggiunse e la portò fuori in braccio in mezzo al prato.
“Via lasciateli soli che lei ha bisogno di aria”
Aria, giusto. Ignazio, pompiere provetto, aveva seguito anche il corso di pronto soccorso con tanto di esame superato con il massimo dei voti. Respirazione bocca a bocca, allora. Cetriolina aprì gli occhi in quel momento e la prima persona che vide fu proprio Ignazio mentre si chinava per farle una respirazione da manuale. Che magnifica opportunità. Lei la trasformò in un bacio appassionato. Ignazio, per un attimo sorpreso ricambiò con ardore.
Applausi liberatori di tutti che non vedevano l’ora che questi due si decidessero. Bartolo-Lollo intanto era uscito dal suo locale, pieno di schiuma e con le lacrime agli occhi. Zia Camillamolla lo prese sotto braccio e lo consolò:
“Su, nipotino che hai da fare quella faccia? E’ andato tutto bene no?”
“Come sarebbe? Cetriolina sta lì nelle braccia di Ignazio e io rimango senza niente”
“Senza niente? Non direi proprio. Per correre dietro a quella ragazzina hai messo in piedi un bel negozio di parrucchiere ben avviato ormai e tu sei un artista dell’acconciatura molto ricercato. Niente male per uno che prima era uno sfaccendato che credeva di essere il principe degli gnomi ubriachi. E poi…”
“E poi?” chiese Bartolo che aveva ripreso a sorridere
“Hai sempre da parte la tua pozione. Aspetta che arrivi una bella ragazza nel tuo negozio e stavolta … attento al dosaggio!”
(fine)

martedì 22 settembre 2009

LA BELLA CETRIOLINA( parte 1 di 2)

La bella Cetriolina, dolce e paffuta, amava andare a pescare allo stagno delle Rane Paciose. Appena aveva un po’ di tempo libero, canna da pesca, cappello di paglia, cestino della merenda, e via di corsa sulla riva. In realtà lei non pescava affatto, si limitava a buttare in acqua la lenza a cui, invece dell’amo e dell’esca, attaccava un cartellino con su scritto “ciao!”, che ai pesci Cetriolina voleva bene. Si stendeva sull’erba, mangiando lentamente mentre leggeva romanzi d’amore o guardava passare le nuvole. Se qualcuno veniva a salutarla con l’intenzione di mettersi a chiacchierare, lei gli faceva:
“Shhht! - mettendo il dito davanti la bocca e poi aggiungendo sottovoce - Zitto! Mi spaventi i pesci”.
E quello era costretto a rinunciare. Il sistema funzionava e Cetriolina si godeva il suo relax. Almeno sino a quando Bortolo, il principe degli gnomi beoni o almeno lui si definiva così, si invaghì di lei e cominciò a corteggiarla. Quello non lo sopportava proprio, non riusciva a stare zitto. E poi lei era innamorata di Ignazio il pompiere, di cui amava gli occhi grandi e buoni, i modi educati, e soprattutto la sua timidezza, infatti Ignazio non parlava mai o quasi. Lui sì, che sarebbe stato perfetto per lei, chissà che belle giornate in riva allo stagno avrebbe potuto passare insieme, lei, lui e i pesci. Solo che la sua timidezza gli impediva di manifestare il suo amore. Lei era sicura che lui l’amasse ma non osava prendere l’iniziativa per paura di spaventarlo.
Bortolo, sfrontato e sfaccendato, era invece uno che non si tirava indietro ed era anche molto insistente, tanto che Cetriolina, per non vederlo, fu costretta a sospendere le sue gite allo stagno. Bortolo però non intendeva rinunciare, perché diceva in giro da sempre che nessuna aveva saputo dirgli di no e continuò a cercarla per parlare con lei. Nulla da fare, la ragazza era tanto ostinata a rifiutarsi anche solo di scambiare un saluto che il povero Bortolo diventò triste. E non è una bella cosa da vedere, un presunto principe degli gnomi ubriachi in piena crisi depressiva. Dietro consiglio della zia Camillamolla, andò a consultare un mago che, a sentire la zia, sicuramente avrebbe potuto aiutarlo. Si presentò cosi nello studio del grande Zuppaduva, famoso mago e incantatore, creatore di filtri magici e stornelli da serenata. Il ragazzotto spiegò il suo problema: questa bella ragazza non lo filava per nulla, forse a causa della sua bassa statura, forse del viso non proprio perfetto, forse per il fisico non proprio atletico, e qui fece una pausa sperando che il mago lo interrompesse ma quello sembrava seguisse la sua esposizione annuendo e basta. Poi il grande Zuppaduva iniziò una filippica interminabile, almeno così sembrò a Bortolo sulla amore tra due ragazzi giovani e belli, tra una ragazza giovane e bella e un ragazzo neanche troppo giovane che al massimo, con un eufemismo spericolato, si può definire un tipo, tra una ragazza giovane, bella e simpatica e un ragazzo che è meglio pestare una caccola di muflone che incontrarlo, tra una ragazza giovane, bella, simpatica, ed educata e un giovane che pensa che infilarsi un dito nel naso sia un modo divertente per dimostrare la propria disinvoltura, insomma non la finiva più. Si era infatti addormentato quando Zuppaduva lo svegliò scuotendogli il braccio per riprendere dal punto dove era arrivato, poi però il mago, rifletté meglio e rinunciò perché si era ricordato del frastuono che faceva quel tipo russando e quindi passò subito alle due possibili soluzioni: la prima intervenire sull’aspetto estetico del soggetto interessato e sulla personalità attraverso lunghe sedute in palestra e lezioni di stile ed eleganza, la seconda preparare una pozione che scateni l’amore tra i due soggetti. Bortolo ci rifletté a lungo, più o meno un nano secondo e decise che la seconda era senz’altro la migliore. Il mago borbottò tra se facendo il preventivo che poi presentò al cliente il quale deglutii, sbarrò gli occhi ma rimase deciso: si realizzi la magica pozione. Il mago studiò il caso, analizzò, verifico gli ingredienti e alla fine uscì dal laboratorio con una boccetta e le istruzioni d’uso: la potentissima pozione doveva essere messa sulla testa del soggetto, il quale, non appena avrebbe sentito gli effetti si sarebbe innamorato della prima persona che avrebbe visto.
“Sulla testa?” fece Bortolo ”Ma in nessuna fiaba si è mai sentito!”
“E in questa si!” chiuse il mago mettendola alla porta.
(continua ...)

giovedì 17 settembre 2009

QUESTIONE DI LINGUAGGIO (parte 2 di 2)

Due mesi dopo Walter è un uomo felice, anzi è più che un uomo, un uomo-computer. Si sente sicuro di se e dei suoi mezzi, tutto l’approccio alla realtà è cambiato e qualunque problema lo affronta con un programma adatto. Niente più imbarazzi per lui. Ogni questione è analizzata a fondo e la decisione viene presa in tempi rapidissimi. All’inizio ci sono stati piccoli problemi per qualche programma che si impallava impedendogli anche di svolgere alcune normali funzioni fisiologiche in modo corretto, ma poi tutto è andato per il meglio. Quelli dell’Agenzia sono soddisfatti e lo hanno portato in giro in riunioni aperte soltanto ad un pubblico estremamente selezionato a cui presentare il prodotto. Sembra che abbiano avuto molte prenotazioni. Qualche fastidio è rimasto. L’aggiornamento del software avviene attraverso delle pillole di bio-hardware piuttosto consistenti che il “maresciallo” gli consegna ogni volta promettendo che stanno studiando come ridurre le dimensioni, solo che mentre lo dice non riesce a smettere di ridere.
Il bio-hardware per funzionare usa l’elettricità del corpo quindi non deve sovraccaricarsi mentre lo usa e a volte si sente veramente scarico. Il “maresciallo” gli ha confidato che avevano pensato di inserire uno spinotto nel retto opportunamente adattato per inviargli un po’ di energia direttamente alla base della colonna vertebrale ma poi hanno rinunciato non sa bene perché. Walter, comunque, ne era contento e preferiva tenersi la spossatezza. Anche nella vita privata è un successo. Quando incontra Lorena riesce a comportarsi con la stessa sicurezza e padronanza che aveva nelle chat e ormai si frequentano assiduamente. Lui le ha mostrato la sua velocità di scaricamento di file musicali e cinematografici da internet e lei ne è rimasta incantata. Mentre fanno l’amore Lorena può scegliere di ascoltare una serie di brani usando i suoi capezzoli come i comandi di un iPod. Walter è davvero un uomo felice.
Salto temporale di sei mesi. I viaggi per le performance con il “maresciallo” sono diradati di molto, anzi da un mese non viene più contattato. Quando qualche programma si impalla e cerca di contattare l’agenzia lo fanno attendere in linea sempre più tempo. Oggi due ore e poi la linea è caduta definitivamente. Walter è esasperato ormai e si reca direttamente nella sede del primo incontro. Nel club c’è la porta aperta, stanno facendo le pulizie. Entra deciso e si dirige nel retro dove tenta di azionare la porta scorrevole ma inutilmente. In preda ad una crisi di nervi comicia ad urlare, a battere i pugni ed a prendere a calci la porta. Improvvisamente i pannelli scorrevoli si aprono mostrando due individui vestiti con un completo scuro, occhiali da sole e auricolare. Uno dei due porta scarpe da donna. Walter capisce al volo e si precipita fuori di corsa.
Proprio sull’ingresso va a sbattere contro qualcuno che stava entrando. Finiscono a terra, l’altro impreca: è Gargiulo, il dattilografo del primo incontro.
“Gargiulo, sono io mi riconosce?”
“Sì che ti riconosco: sei uno stronzo. Ma è questa la maniera dico io?”
“No, Gargiulo. Sono io, il signor Walter, quello dell’esperimento, si ricorda?”
Quello si massaggia un po’ la testa stringendo gli occhi e poi:
“Ma si, sei quello che chiamavamo in codice commodore 64, come no? Mi ricordo adesso. Come va, come va? Bene, bene ?”
“Gargiu’ adesso pure lei con bene, bene? No, non va affatto bene. E’ una disastro, una tragedia. Ho cercato di aggiornare i programmi che mi avete installato ma ormai sono così pesanti che il bio-hardware non c’è la fa più a farli girare ad una velocità decente. Se apro un programma di grafica, mi devo sedere sul divano altrimenti rischio di cadere svenuto. Giusto il programma di scrittura continua funzionare ma anche per quello sono in arrivo nuovi aggiornamenti e ho paura di scaricarli. E se mi impallo definitivamente? Sono disperato. Non so più che fare.”
“Scusate ma voi avete chiamato l’assistenza qui dell’Agenzia?”
“Continuamente ma non mi danno più retta. All’inizio si, tutto andava bene. Ogni piccola questione veniva subito risolta. Ma da qualche settimana sono cambiate le voci del call center, e questi non mi dicono nulla, prendono tempo e adesso addirittura fanno cadere la linea e non mi rispondono proprio più.”
“Cambiate le voci, dite? Allora ho capito. Scusate ma dovete sapere che a noi, a me e al “maresciallo” ci hanno spostato in un altro reparto perché volevano rivedere il progetto. E si vede che hanno già cominciato.”
“Come rivedere il progetto? Ma non eravamo all’avanguardia, il bio-hardware, le nuove frontiere eccetera eccetera?”
“Si, certo, sempre il bio-hardware, sempre quella è la direzione, ma, se mi ricordo bene, lei è impostato con una architettura di tipo binario, 01010101, giusto? Lei ha la CPU che lavora in modo sequenziale, giusto? Il suo hard disk interno contiene 1.000 gigabyte, giusto?”
- “Giusto Gargiulo, tutto giusto e quindi?”
- “Ma lo sa che questi scienziati ne inventano una al giorno? Il progetto bio-hardware adesso è stato reimpostato diversamente. Il linguaggio non è più quello binario, ma è basato sul DNA e sulla sue sequenze dei nucleotidi A, T, C e G. Al corso di aggiornamento che hanno fatto qui in Agenzia ci hanno spiegato che, con alcuni enzimi, si può fare copia e incolla delle sequenze elaborare simultaneamente su più sequenze. Dicono gli esperti, che un centimetro quadrato di DNA può contenere quasi sei milioni di Terabyte di informazione. Una meraviglia! Incredibile, no?”
“Una meraviglia? Ma non capisco. Che vuol dire ?”
“Che la tecnica sta facendo passi da gigante in pochissimo tempo e quindi, amico mio, quello che è stato installato in lei è come dire? … una tecnologia obsoleta, ormai. “
“E io?”
“E lei, ovviamente, è un modello superato!”
“Come superato? Mi buttano via come una macchina rotta?”
“E’ la scienza, amico mio. Adesso ci sono strumenti di nuova generazione. La nostra Agenzia ha deciso di puntare tutto su questo nuovo percorso.”
“Ma … ma come? E io ora che farò?”
“Su, su non si preoccupi.”
“Non si preoccupi? Ma lei mi sta dicendo che ormai non servo più a nulla. Che ne sarà di me?”
“Tranquillo. Qualcosa si trova sempre, anzi se vuole le posso presentare un mio cugino che si occupa recupero di parti e…”
“Ma … ma lei sta parlando di smontarmi per prendere i vari pezzi, praticamente di cannibalizzazione?!”
“Ehhhh, cannibalizzazione, che brutta espressione. Io preferisco dire che esiste un mercato di appassionati di modernariato e che amano recuperare il recuperabile. E’ tutta una questione di linguaggio. Lei, amico mio, è drastico, troppo drastico. Vede solo bianco o nero. Dia retta a me, per godersi davvero la vita bisogna imparare ad apprezzare le sfumature.“

domenica 13 settembre 2009

QUESTIONE DI LINGUAGGIO (parte1 di 2)

“01001010010100010 … una serie infinita di linguaggio binario. Lo schermo visualizza niente altro che scelte non rinviabili. O 0 o 1, o sì o no, tertium non datur come diceva il prof di latino. Il computer non ragiona, decide. Le sfumature sono solo l’illusione suggerita da migliaia di sì e migliaia di no che compaiono sullo schermo ad ogni colpo di mouse. Un universo inequivocabile.” Così pensa Walter mentre porta il cursore su start, tasto destro del mouse spegni il pc … Attendere gli aggiornamenti da installare ... fine.
Sposta la sedia e si alza. Domenica mattina. Uscire, uscire. C’è il mercatino in piazza. Come vestirsi? Pantalone lungo tipo combat? Fa troppo caldo ma ha le tasche laterali. O magari quello corto senza tasche e zainetto a tracolla. Scarpe o sandali? Cappello? Sì, anche se adora uscire con i capelli bagnati e farli asciugare al sole. Tre cambi di calzatura fino a che, più che altro per stanchezza, rimane in sandali. T-shirt o polo con il collo alzato? Quella blu navy, anzi bianca, anzi no blu e pantaloni con le tasche. Ma anche zainetto. E capelli bagnati. Esce, chiude la porta. Riapre, posa lo zainetto e prende il cappello. Chiude. Riapre. Ha scordato il cellulare.
Sole che picchia fuori, bello. Caffè, caffè. Il bar vicino casa? oppure quello in piazza con i cornetti buonissimi? Oppure quello della cameriera …? Sms di Saverio. Lo aspetta al bar centrale. Problema risolto. Bar centrale c’è Lorena. Adora Lorena. Bel sorriso invitante e belle gambe. Simpatia reciproca e battute inevitabilmente sbagliate. “Questo proprio non lo devo dire”. Giusto il tempo di formulare il pensiero e subito la lingua parte in quarta. Frustrante. Troppo poco tempo tra pensiero e azione? Mah.
In chat Walter si trova perfetto. Brillante, autoironico senza strafare, tempi giusti per piccoli affondi vagamente erotico-allusivi. A volte con più di una contemporaneamente riesce a reggere il gioco del contrappunto leggero, brioso, divertente. Con la tastiera davanti si sente sicuro nel gestire i rapporti. È il suo piano di appoggio, la solida base da cui partire per fantastici voli pindarici o, in caso di emergenza , la zattera di salvataggio sempre pronta. Senza tastiera, e video naturalmente, è il naufragio e lui lo sa.
E quindi quando su una chat per iniziati viene a conoscenza di questa misteriosa Agenzia che cerca volontari disposti a sottoporsi a interventi con tecniche sperimentali fino ad allora segrete, si mette subito alla ricerca di informazioni: da quello che ha capito l’esperimento consentirebbe una fusione uomo-computer. Walter è deciso. Venuto a conoscenza della procedura per mettersi in contatto, invia subito la mail di accettazione e si presenta in un club privè nei pressi del quartiere vecchio della capitale, nel cui retro si nasconde la sede dell’Agenzia. Parola d’ordine, classiche porte scorrevoli a scomparsa da film di spionaggio, reception spartana con impiegata annoiata tipo Centro prenotazioni visite della ASL. Moduli da firmare e accesso in una stanza asettica con tavolo e tre sedie dove attendere. Dieci minuti di attesa, poi entrano due individui con il fisico più da impiegati del catasto che da agenti segreti con un portatile e fogli vari. Il primo si siede e comincia a chiedere a Walter conferma sui suoi dati anagrafici. Il secondo scrive sul portatile. Pausa e momento di concertazione tra i due poi quello che sembra il capo dei due lo fissa negli occhi, sorride e:
“Allora, caro signor Walter, è proprio convinto? Bene, bene. Lei ha sicuramente già chiaro il tutto ma, prima della conferma ufficiale dell’atto con cui lei decide di sottoporsi volontariamente al nostro esperimento, ribadiamo velocemente il concetto. Il nostro esperimento consiste nell’installare nel corpo del soggetto, in questo caso lei signor Walter, questa nuova tecnologia di bio-hardware che interagirà direttamente con il soggetto stesso. Praticamente il soggetto, e quindi lei, sarà trasformato in una specie computer umano. Attraverso una seria di piccole operazioni - stia tranquillo, tutte in day hospital, niente di complicato, ha capito? Bene, bene - inseriremo il meglio della tecnologia debitamente preparata in modo che il suo corpo, non solo non la rigetti, ma sarà indotto, tramite appositi stimoli, a sviluppare collegamenti nervosi così che il soggetto, cioè lei, potrà interagire con il suo bio-hardware dando direttamente ordini dal cervello. Capito? Bene, bene. Niente più tastiera, niente mouse, touch-screen e roba varia. Tutto superato. Tutta roba arcaica. Il cervello del soggetto, cioè il suo cervello, interagisce ormai direttamente con il cervello artificiale mentre il soggetto stesso, cioè lei signor Walter, potrà fare quello che vuole, passeggiare, guardare la tv, bere qualcosa al bar. Quello che vuole. Capito? Bene, bene. Avrà la connessione internet 24 ore su 24 del tipo flat e porte USB installate sotto le unghie dei pollici opportunamente adattate e un telefonino ultima generazione in omaggio. Una nuova frontiera, eccetera eccetera e tutte quelle belle cose che si dicono in queste circostanze. Capito? Bene, bene.”
Il sorriso con cui Walter aveva seguito tutta la spiegazione si rabbuia all’improvviso:
“Ma non è che, installandomi tutta quella tecnologia, in realtà voi volete trasformarmi in una specie di burattino comandato a distanza?”
I due uomini di fronte a lui si guardano per un momento negli occhi e poi esplodono in una risata.
“Ma lei è proprio uno spasso! Non ha capito chi siamo noi,vero? Bene, bene. Potremo costringerla con la forza ormai che è qui ma dirle la verità è più divertente e ci fa perdere meno tempo. Quello che all’Agenzia interessa è testare che questa tecnologia funzioni per poi metterla in commercio. Lei saprà che ormai per gli enti pubblici va di moda l’autonomia? Ormai vale anche per quelli pubblici ma poco pubblicizzati, scusi il gioco di parole, come l’Agenzia dove ora si trova. Anche noi dobbiamo saper gestire e investire. E quindi per trovare fondi l’Agenzia ha deciso di commercializzare un po’ di tecnologia sviluppata negli anni. Ma ha una minima idea di quanto varrebbe un affare del genere? Non le dico la cifra che tanto non la capirebbe. E comunque per tranquillizzarla le rendo noto quelli che dice lei li abbiamo già. Mai visto quei signori vestiti di nero con occhiali scuri e auricolare? La maggior parte di quelli sono stati realizzati così. L’auricolare è in realtà l’antenna con cui li controlliamo. Anzi ogni tanto per divertirci dalla centrale di controllo quando nessuno li vede ci divertiamo a farli prendere a schiaffi da soli o a farli vestire da donna. Sa com’è, a lungo andare ci si annoia.”
“Maresciallo, ma lo sapete una cosa buffa? – interviene il dattilografo da portatile – l’altra sera stavo seguendo proprio quello che dite voi, quello che si mette i vestiti della moglie. Ho pensato che avevamo lasciato il remote control acceso e invece era spento. A quello ci piace, marescia’ ci piace proprio.”
“Vabbuo’ Gargiulo, ma ora torniamo a noi e al nostro soggetto. Quindi, caro signor Walter, stasera dormirete qui che domani cominciamo a prepararvi per le operazioni che subirete. Tempo una settimana e la vostra vita cambierà. Capito? Bene, bene.”
(continua)

mercoledì 26 agosto 2009

UN RICORDO SOPITO (remixed)


Spengo la luce, sto per alzarmi dal tavolo di lavoro e tornare a casa, quando un ricordo mi affiora alla mente improvviso, netto, senza nessun motivo apparente. Le immagini si stagliano nitide nella mia memoria, quasi si impongono. Rimango seduto e rivivo la scena, come fosse un film, fotogramma per fotogramma. Del resto fare film è da sempre il mio lavoro.
E’ stato venti anni fa, esattamente venti anni fa. Rivedo la segretaria di allora che mi annuncia questa persona che voleva propormi una idea. Già allora il mio ruolo era quello di valutare le proposte per le nuove produzioni e concessi qualche minuto. Quello strano tipo, piuttosto anonimo e vagamente sovraeccitato, voleva parlarmi di quella che, secondo lui, sarebbe stata un’idea eccezionale per un film, un colossal tipo catastrofico-fantascientifico.
Piuttosto scettico, gli chiesi di esporre brevemente il plot che ero atteso per una riunione e quello, con uno sguardo allucinato, cominciò con la descrizione della prima scena: alba su New York, panoramica sullo skyline della città in controluce sul cielo rosato e in sottofondo una musica serena e rassicurante.
“Magari la Rapsodia in blue di Gershwin, come la scena iniziale dell’ultimo film di Woody Allen”
ironizzai cercando di smontare quell’aria mistica che aveva assunto infastidendomi non poco.
Quello senza scomporsi, rapito dalla sua visione, e continuò a descrivere come, improvvisamente, un jumbo sarebbe entrato nell’inquadratura con un rombo spaventoso andandosi a schiantare contro la torre nord del WTC. Una enorme esplosione infuocata poi, pochi secondi, e un altro jumbo avrebbe centrato l’altra torre. Altra enorme palla di fuoco. Urla, fiamme, folla impazzita per strada, traffico nel caos. Mentre i due edifici crollavano rovinosamente delle voci fuoricampo, tipo edizioni speciale del telegiornale, avrebbero annunciato di altri aerei contro il Pentagono e magari contro la Casa Bianca.
Gli chiesi se, nella sua visione, la Pan American avesse dichiarato guerra agli USA ma lui di nuovo non raccolse continuando a descrivere la sua visione apocalittica, insistendo in modo maniacale sui dettagli del crollo delle due torri.
Allora, brusco, gli feci notare che la sua idea era totalmente inverosimile.
“Ma caro amico, lo sanno tutti sanno che, a causa degli incidenti verificatesi in passato, le torri sono state progettate per resistere agli impatti aerei, altrimenti nessuna assicurazione li coprirebbe, e poi, mi scusi, ma chiunque, anche uno sprovveduto è a conoscenza del fatto che gli Usa hanno la flotta aerea migliore del mondo a proteggere il proprio territorio. Non consentirebbero una cosa del genere”.
Ma quello continuò a esporre quello che solo la sua mente, che a questo punto mi sentivo di definire malata, vedeva farneticando di terroristi arabi in versione suicida, neanche fossero dei kamikaze giapponesi, di un presidente Usa che da mezza figura diventa il capo indiscusso di una nuova crociata, di demolizioni controllata di edifici, di complotti e cospirazioni, di dichiarazioni di guerra ad un paese straniero accusato di possedere fantomatiche armi di distruzione di massa.
E di scene di bombardamenti notturni con l’oscurità segnata da riflettori e proiettili traccianti e di battaglie nel deserto con i pozzi di petrolio in fiamme sullo sfondo.
Bloccai il suo delirio e, calmo ma risoluto, gli dissi che lui era totalmente pazzo e che io non avrei più ascoltato quelle farneticanti follie, totalmente infondate e assolutamente non plausibili.
Mi aspettavo una reazione violenta. Mi aspettavo urla e strepiti e, mano sul telefono interno, ero pronto a chiamare gli addetti alla sicurezza.
Quello invece tacque e mi sorrise. Restò così tranquillo qualche minuto poi mormorò: “Tra venti anni” quindi si alzò pacato, aprì la porta, chiuse e andò via. Mai più rivisto.
Un ricordo completamente sopito che mi sale alla memoria in maniera così prepotente e lucida. Proprio ora. Chissà perché.
Sarà che sono passati esattamente venti anni.
Sarà che adesso il mio ufficio è al piano 87° della torre nord del WTC, ma sento una sensazione di angoscia serpeggiarmi dentro e mi manca l’aria.
Tremo.
E’ la stanchezza, decido.
Meglio che vada a riposare prima che sia io ad impazzire sul serio.
Domani è già 11, ho tanto lavoro da fare.

lunedì 27 luglio 2009

IMPROVVISI ROVESCI


Viene giù troppo forte. Costretti dalla pioggia violenta all’intimità umida dell’androne di un palazzo per uffici, in attesa di poter uscire. La donna con il vestito chiaro fissa la strada con lo sguardo perso nei pensieri e un leggero sorriso sulle labbra. Occhi scuri grandi, capelli lunghi, le si indovina un corpo formoso sotto i vestiti leggeri inumiditi dalla pioggia. Gli uomini le girano intorno, spesso a contatto, piacevolmente costretti dalle circostanze e dalle dimensioni del luogo.
“E’una giovane madre – pensa l’uomo con gli occhiali - passandole vicino ho sentito l’odore di talco, come quello che usava mia moglie con nostro figlio. Sicuramente sta pensando al suo bambino che avrà lasciato alla nonna e non vede l’ora di tornare a casa a riprenderselo.”
“Lo conosco quel sorriso – pensa l’uomo con l’impermeabile nero – un sorriso da santa. Un sorriso che dice casa e famiglia. Ma se poi vai a scavare, chissà cosa scopri. Ne ho conosciute come te, che ti credi. Conosco il tipo. Sono sicuro. Sei la segretaria di un professionista e, sicuramente, anche l’amante.”
“Lo stesso profumo – pensa l’uomo con l’ombrello – e anche la stoffa del vestito che sento a contatto con la pelle della mia mano è così simile. Un po’ le somiglia. Anzi più la guardo e più mi sembra simile a lei. Quanto tempo è passato?”
L’uomo con gli occhiali sposta il peso del corpo da una gamba all’altra sfiorando la donna.
“Mi piace sentirlo così vicino, questo odore di talco. Mi ricordo che poi le rimaneva addosso quando il bambino si addormentava e io potevo riavvicinarmi a lei. I nostri corpi vicini. Così vicini come adesso sono vicino a questa donna. E poi lei si concedeva come ormai non fa più da tanto. Da quanto? Non ricordo neanche più. Grazie a questa pioggia che ci costringe qui dentro. Però, forse, non dovrei sfiorarla così ma proprio non resisto.”
L’uomo con l’impermeabile si sporge per controllare la strada urtando leggermente la donna e subito scusandosi con voce sommessa ma decisa .
“Adesso ti sono vicino, così vicino che sento l’odore della tua pelle. Ho accarezzato per un momento i tuoi fianchi e tu hai avuto un brivido. Vedo anche un luccichio nei tuoi occhi. Lo sapevo, sei una donna calda, appassionata. Riesco a immaginarti a letto quando ti scateni e diventi una tigre del sesso, sbrani gli uomini con le tue voglie, instancabile. Le conosco le femmine come te.”
L’uomo con l’ombrello ha il volto rivolto verso l’esterno ma con gli occhi cerca la donna.
“Perché mi ha lasciato? Perché te ne sei andata? Non capivo quello che dicevi quando mi hai abbandonato. Oddio. La odio e la amo ancora. Mi sento vibrare dentro. Lo senti anche tu, anche tu che sei così simile a lei? Anche tu mi faresti soffrire come ha fatto lei? O donna sconosciuta, sento che potrei amarti e odiarti, come odio e amo lei”
La pioggia sembra calare di intensità. E’ solo un attimo ma la donna, decisa, apre l’ombrello ed esce incurante degli schizzi d’acqua che la bagnano. La tempesta si scatena di nuovo con la stessa intensità.
I tre uomini si ritrovano tutti e tre a fissarla, sorridendo l’uomo con l’impermeabile, scuotendo lievemente il capo l’uomo con l’ombrello, fissando intensamente l’uomo con gli occhiali. Per un istante si guardano tra loro come se si accorgessero solo allora di aver condiviso un momento di intimità con quella sconosciuta. Nessuno dice nulla rinchiudendosi di nuovo nei propri pensieri. Solo una volta giunti a casa si accorgeranno di non avere più il portafogli.

lunedì 22 giugno 2009

La principessa con il singhiozzo


Hic hic hic furono queste le prime parole appena nata e da allora la principessina, bellissima come tutte le principessine delle favole, non riusciva a farselo passare. Era una normalissima principessina delle favola, sedeva a tavola insieme al re e alla regina, andava a correre nel parco del castello (bello davvero, un castello da favola), giocava a moscacieca, a muffarialzo, a pallavvelenata, a mazzapicchio, e rideva felice e contenta come una principessa. Solo il singhiozzo non le passava mai ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. E anche il re e la regina non ne erano troppo disturbati, era la loro unica figlia e nessuno avrebbe osato prenderla in giro, a quel tempo ci si metteva poco a far tagliare la testa a qualcuno troppo irrispettoso.
Ma gli anni passano anche per le principessine e anche lei diventò una principessa a tutti gli effetti, ossia un bel personale, una bella dote e quindi la necessità di un bel principe come marito. Ma qui cominciano i guai perché i primi pretendenti sentendola parlare in modo così saltellante a causa del perenne singhiozzo inventavano una scusa per tornarsene a casa e non si facevano più vedere.
Il re e la regina si resero conto che occorreva fare qualcosa e chiamarono il più importante cerusico del loro regno. Si presentò un ometto basso, capelli lunghi e bianchi, così come la barba, e grossi occhiali sul naso. Visitò la principessa, le auscultò la schiena, le fece tirare fuori la lingua, guardo con una grossa lente dentro gli occhi e dentro le orecchie ed infine sentenziò: il grave disturbo poteva essere curato con una dieta di due giorni a base di cipolle, da ripetere ogni due settimane.
La principessa, il re e la regina pensarono che due giorni non sono poi molti e quindi la poverina si chiuse in camera per due giorni, per non avere tentazioni, e mangiò la quantità prescritta di cipolle. Quando uscì dalla stanza corse dai genitori gridando di gioia “sono guarita, sono guarita”. Il re e la regina le andarono incontro a braccia aperte ma quando furono a portata di fiato fecero una faccia disgustata e si tapparono il naso senza abbracciare la poverina.
La cura per disintossicare funzionò ma tornò anche il singhiozzo e pure più forte di prima
Il re e la regina chiamarono allora il più importante cerusico del regno confinante a ponente. Si presentò un uomo alto alto e magro magro, capelli a scodella rossi rossi, come la barba, e grossi occhiali sul naso. Visitò la principessa, le scruto le orecchie, le fece fare dei piegamenti sulle ginocchia, guardò con una grossa lente dentro gli occhi e dentro il naso ed infine sentenziò: il grave disturbo poteva essere curato con una dieta di una settimana a base di fagioli, esclusivamente fagioli.
La principessa, il re e la regina pensarono che una settimana passa presto e quindi la poverina si chiuse in camera per non avere tentazioni, e mangiò la quantità prescritta di fagioli. E di nuovo, quando uscì dalla stanza corse dai genitori gridando di gioia “sono guarita, sono guarita”. Anche stavolta il re e la regina le andarono incontro a braccia aperte ma quando abbracciarono la figlia questa cominciò a fare una serie infinita di puzzette e allora fecero una faccia disgustata, si tapparono il naso e corsero via seguiti dal maggiordomo e dal gran ciambellano.
Per un po’ desistettero scoraggiati ma infine decisero di provare il più importante cerusico del regno confinante a levante. Si presentò un uomo grasso grasso, capelli a rasati, come la barba, e grossi occhiali sul naso. Visitò la principessa, le scruto le mani, le fece tossire, guardò anche lui con una grossa lente dentro gli occhi, dentro le orecchie e dentro il naso ed infine sentenziò:il grave disturbo poteva essere curato con una dieta di un mese a base di fragole, esclusivamente fragole.
La principessa, il re e la regina pensarono che una mese non passa poi così presto ma in fondo le fragole sono buone e neanche causano effetti disgustosi per l’odorato e quindi la poverina si chiuse in camera per concentrarsi meglio, e mangiò solo fragole per il periodo prescritto. Quando, dopo un mese, la principessa uscì dalla stanza corse dai genitori gridando di gioia “sono guarita, sono guarita”, il re e la regina le andarono incontro a braccia aperte un po’ circospetti ma si bloccarono guardandola in faccia: aveva il viso coperto di macchioline rosse, e anche le mani, tutto il corpo. La principessa si guardò allo specchio e per la delusione ricominciò a singhiozzare.
Per fortuna almeno l’effetto delle fragole passò dopo poco tempo, ma il problema non era stato risolto, e ancora qualche giorno e sarebbe giunto un pretendente da un paese lontano e ricchissimo. Questo principe del sud si era innamorato della principessa vedendola in ritratto, e sebbene non conoscesse nulla di lei né del suo paese era deciso a sposarla.
Tutti erano preoccupati ma il gran ciambellano ebbe una grande idea: organizzare per l’incontro tra la principesse e il suo pretendente un ballo a corte durante il quale tutti, ma proprio tutti dovranno fingere di parlare in hicchese, ossia parlare singhiozzando come se quella fosse la lingua del posto. E allora tutti, ma proprio tutti si impegnarono ad organizzare la cosa, anche perché non ne potavano più di quella storia, e facevano le prove tutti i giorni per imparare a parlare bene con il singhiozzo, addirittura il musico di corte inventò per l’occasione il ballo del singhiozzo.
Tutto andò alla perfezione: il principe straniero rimase stupito dal modo di parlare di quella strana gente, ma dopo un po’ si abituò e non ci fece più caso. La principessa era più bella che nei ritratti che aveva visto e lui era sempre più innamorato. Il re e la regina gli parlarono, in perfetto hicchese, della loro figlia così bella anche se così delicata per il clima del loro paese. Il principe straniero si offrì subito di sposarla e portarla a vivere nel suo paese. Il re e la regina decisero di non perdere un minuto e l’indomani mattina si celebrò il matrimonio, subito dopo i due sposi salutarono tutti e partirono per il sud.
Dopo qualche tempo arrivò una lettera della principessa ai genitori in cui annunciava che ormai non singhiozzava quasi più e il marito, al quale aveva raccontato che stava perdendo il suo accento originario, ne era davvero contento.
E aggiungeva che erano così felici che avevano deciso di avere due bambini, o forse tre.

martedì 26 maggio 2009

La lezione di mia zia sulla differenziata (= chella strunzata).

Ma tu te lo ricordi a sanghione?
Quello che girava a raccogliere i cartoni.
Passava con suo carrettino pieno pieno
Che se li andava a rivendere
E lo stracciarolo? Te lo ricordi lo stracciarolo.
Quello passava a raccogliere quello che buttavi,
che lui poi o lo aggiustava o recuperava i pezzi
oppure i materiali che ci stavano dentro.
La differenziata, che strunzata.
Lo l’abbiamo sempre fatta solo che non si chiamava così,
veniva naturale non c’era bisogno di chiamarla.
Poi si sono inventati il nome e il problema
E invece di risolvere il problema ce lo scaricano addosso a noi.
E certo siamo noi il problema no loro che non sanno fa niente.
Insomma la raccolta dei rifiuti differenziata
Noi già lo facevamo quarant’anni fa
Ed era naturale, nessuno si sforzava.
E perché si faceva?
Perché conveniva: se restituivi il vuoto te lo pagavano o avevi uno sconto. Perché non si può fare pure adesso?
E che ci vuole? Tu raccogli un chilo di plastica, lo porti dove fanno la raccolta e quelli ti danno 50 centesimi, un euro.
E che ci vuole dico io. Tutti questi disoccupati avrebbero qualcosa da fare invece di chiedere l’elemosina, la differenziata la faremmo per scelta e non per imposizione e magari si risolve pure il problema della mondezza.
I soldi per pagare quelli che portano i materiali raccolti? E tutti quelli che spendono per quei baracconi di società che dovrebbero fare la differenziata e invece te la fanno fare a te? Invece di darli a loro i soldi che se li magnano in mille modi, dalli a quelli che ti portano il chilo di plastica il chilo di cartone, il chilo di vetro. Allora si
La differenziata, che strunzata.

Io la prossima volta voto mia zia.

lunedì 18 maggio 2009

Dall’inviato speciale sul fronte interno

Faccia a faccia con il bancomat

L’incarico era chiaro: verificare il comportamento dei bancomat alla luce delle ultime notizie sulla crisi finanziaria. Mi sono recato al solito sportello. Ho deciso che l’approccio ideale fosse quello di un contegno normale, come nulla fosse successo. Il display del bancomat alternava tranquillamente schermate su servizi e pubblicità come nulla fosse. Con fare sereno infilo la tessera nell’apposita fessura,come da prassi. Schermata normale con richiesta di digitare il codice “assicurandosi di non essere osservati”. Con la tecnica sperimentata in anni di frequentazioni di questi videogiochi con vincita sicura, seppur illusoria, rispondo alla richiesta. Tutto a posto, il display mi mostra i servizi disponibili tra cui il prelievo. Siamo nella piena normalità, mi viene da pensare, ma un giornalista di inchiesta va fino in fondo e scelgo prelievo. Un momento di pausa in cui ho l’impressione di avvertire una leggera vibrazione nell’apparecchio mentre la scocca che lo riveste mi sembra diventare un po’ più fredda. Di nuovo mi appare la schermata con i servizi a disposizione. “Mmmm” mugolo perplesso, poi di nuovo scelgo prelievo. Stessa vibrazione e sensazione di freddo. Attesa. Finalmente la schermata in cui posso scegliere l’importo. Avverto le spalle che mi si rilassano le narici che si dilatano e,dentro di me, un senso di leggerezza. Con un accenno di sorriso e con una nonchalance di altri tempi digito l’importo: 250 euro , crepi l’avarizia.
La vibrazione che arriva dal bancomat mi fa temere un terremoto. Il video sfarfalleggia, rimane spento per qualche istante. Il mio viso vagamente riflesso nel vetro di protezione mi rimanda uno sguardo perduto. Quando il display si rianima compare la scritta “conferma l’importo?”. Si, certo. Di nuovo sullo schermo:
“Sicuro?”
Certo che sono sicuro, voglio prelevare 250 euro. Ancora qualche istante di buio, rumori strani arrivano dall’interno. Di nuovo una scritta sul display:
“Non le bastano 100 euro per oggi?”
No che non mi bastano, confermo le 250 euro.
“A che le servono tutti questi soldi?”
Saranno affari miei mi servono 250 euro e voglio prelevarne 250.
“Non sia esagerato. Gliene posso dare 110”
No, ormai sono deciso ne voglio almeno 225.
“Veniamoci incontro 120 euro per oggi”
200, non un euro di meno.
“Pensi anche agli altri, non sia egoista. Ne prenda 150”
Alla fine ci accordiamo per 175 euro.
In conclusione voglio rassicurare il mio direttore e tutti gli utenti del nostro giornale che la situazione e sotto controllo e i bancomat funzionano normalmente o quasi. Al prossimo servizio.

domenica 17 maggio 2009

RECENSIONE SUPERFICIALE 4

Solo critica superficiale
Solo analisi tegumentale
Causa carenza di mezzi
Messi a disposizione dal giornale
Valutare il libro dalla copertina
Recensire il film dalla locandina

Il video del serialkiller
Ennesimo prova cinematografica del pirla di turno che crede di diventare superman sparando alla gente, senza rendersi conto di essere rimasto il pirla che era. Per quanto ancora insisteranno?
Non capiscono che un minimo di basi sono fondamentali. il cinema è arte: non puoi cimentarti senza avere un minimo di consapevolezza del mezzo che intendi usare ne del linguaggio che gli è proprio. Devi studiare i classici da eisenstein a kubrick, devi farti due palle così nei cinema d’essai a vedere cento volte ladridibiciclette. Un minimo di struttura, ca..o! i testi poi, banali da morire. Il valore espressivo e il valore estetico di un opera si misurano a partire dalla consapevolezza e della conoscenza del linguaggio usato per arrivare al contenuto.
Questa è roba da trogloditi, si mettono con una pistola in mano e pensano di essere tarantino. Ma sparatevi subito piuttosto senza far perdere tempo agli altri.

sabato 16 maggio 2009

RECENSIONE SUPERFICIALE 3

Solo critica superficiale
Solo analisi tegumentale
Causa carenza di mezzi
Messi a disposizione dal giornale
Valutare il libro dalla copertina
Recensire il film dalla locandina

“UNA VITA DA MEDIANO”

rivisto per caso un pezzo di intervista
in cui il liga prendeva le distanze dal suo brano
qualcuno gli ha rinfacciato che un artista
non può lagnarsi di fare una vita da mediano.
sono rimasto di stucco
e non ho capito dov'era il barbatrucco.
A parte la cazzata sesquipedale
Che un artista narra solo di se e del suo vissuto
E non possa calarsi nei panni di quel tale
che magari ha incontrato anceh per un solo minuto.
Ma il brano in questione mi sembra interessante
anche per il testo non corretto politicamente .
in un gioco di squadra per la squadra si gioca
E mica puoi giocare con undici maradona
Ci vuole il gregagrio che fa il lavoro oscuro
che porta l'acqua al campione che combatte duro.
non gioca di fino ma senza il suo lavoro grosso
il rifonitore dovrebbe corre pure lui a più non posso
L’elite non scende in campo mai da sola
ha bisogno di lavora anche per lei
Cha cazzo hai da essere triste o ligabuo,
E ‘sto tono malinconico che mi pare un tradimento
che se col pallone fai il mediano
sul palco sei il centravanti…di sfondamento.

RECENSIONE SUPERFICIALE 2

Solo critica superficiale
Solo analisi tegumentale
Causa carenza di mezzi
Messi a disposizione dal giornale
Valutare il libro dalla copertina
Recensire il film dalla locandina

“CRONACHE DI NARNIA- IL PRINCIPE CASPIAN”

Ti punta il coltello alla gola
Vieni a vedere ‘sto film amico
Corri a compra’ il biglietto, vola!
il tipo il locandina sta un po’ accigliato
mentre ti fissa negli occhi
Oppure è solo preoccupato
che se il botteghino fa i “bocchi”
deve lascia perde il “rutilante mondo”
E andare a lavorare sul serio.
Lui, il leone giramondo
E tutto il cazzimperio.
Ci tengono a informarti
che in umbria hanno girato
verso Ternia o da quelle parti
buona parte di tutto il filmato
Evidentemente anche a questa produzione
arrivano finanziamenti dalla regione

giovedì 14 maggio 2009

RECENSIONE SUPERFICIALE 1

Solo critica superficiale
Solo analisi tegumentale
Causa carenza di mezzi
Messi a disposizione dal giornale
Valutare il libro dalla copertina
Recensire il film dalla locandina

“la solitudine dei numeri primi”

Volto di donna tra fogliame verde
Lo sguardo che nell’incredulità si perde
gli effetti della totale assenza di relazioni
Evidentemente di una cifra tra milioni
Che sta davanti agli altri o forse così crede
Perché tanto ormai gli altri più non vede
E per dar sollievo alla sua solitaria pena
in totale autonomia e di buona lena
Fingendo di non accorgersi di essere osservato
Ostenta il suo momento di autoamore privato
Così che con questa intima manifestazione
Con tutto il mondo o quasi ha una relazione

LO ZABAJONE


Il dolce che più ha segnato la mia infanzia è stato lo zabaione, almeno quello nella versione più semplice e domestica rispetto alle ricette che poi ho rintracciato nei vari libri di cucina. Gli ingredienti si limitavano allo zucchero e al tuorlo dell’uovo, ma la vera magia consisteva nella preparazione, nel far montare quella crema lavorandola nel bicchiere con un sapiente e continuo movimento del cucchiaino, amalgamando insieme i due ingredienti base, in modo che lo zucchero venisse assorbito dall’uovo, e continuare a girare e girare fino a che non se ne sentivano più i granelli. A quel punto l’impasto diventava di un giallo pallido e la materia così lavorata trascendeva, il palato avvertiva un sapore sublime che non aveva più nulla dell’uovo e dello zucchero. La sensazione era di mangiare in realtà la passione stessa con cui avevi lavorato per ottenere quella sostanza. L’artista di famiglia nel campo zabaioni era uno zio, fratello di mamma. Fin da piccolo, la passione nel lavorare la materia prima, lo rendeva capace di realizzare delle versioni sublimi. Il tempo che impiegava sembrava eterno agli altri, ma lui era instancabile, sapeva che più lo lavoravi, più lo zabaione diventava buono e creava ogni suo capolavoro con dedizione mantenendo costante il ritmo, elemento secondo lui fondamentale per la riuscita dell’opera. Gli altri fratelli, pur amando lo zabaione, non avevano la sua stessa pazienza, e quando vedevano lo zio alle prese con il rito dello preparazione, aspettavano il momento finale e casualmente, uno o due di loro, gli passavano accanto con un cucchiaino in mano – nessuno voleva usare quello di un altro - e “ti spiace se assaggio?” . Sapevano bene che lo zio, troppo buono, era incapace di rifiutare, e si gettavano famelici su quel nettare degli dei asportandone porzioni copiose. Una volta tutti e cinque i fratelli si presentarono contemporaneamente dotati di cucchiaino di prammatica e con l’acquolina in bocca. Lo zio dapprima li guardò sgomento raggomitolandosi nella poltrona dove era solito celebrare il suo personale rito, poi si riprese e disse loro: “Solo un momento che aggiungo un altro ingrediente”... (continua)

lunedì 11 maggio 2009

NEMESI ATIPICA (the director's cut) - parte 3

SOLILOQUIO INTRODUTTIVO
Ride, ride sempre, parlo e ride, sto zitto e ride, mi guarda e ride. Sto scemo. Scemo e stronzo. Mi sfotte in continuazione. Con questa storia del pronto soccorso poi, si sta divertendo come un pazzo. Io soffro e lui ride. Sono ancora tutto acciaccato dopo 10 giorni. Tutti i muscoli indolenziti, anche perché quell’infermiera m’ha tenuto fasciato così stretto. Meno male che poi ha dato retta a quel medico. Lei dice che è un coglione, anzi che tutti gli uomini sono coglioni. Chissà che storie avrà avuto. E quanto deve avere sofferto. E quanto avranno sofferto quei coglioni che stavano con lei. Magari li fasciava stretti pure a loro. Però è carina. Un po’ pazza, ma chi non lo è.
Mario non lo è. Mario è proprio scemo e pure stronzo.. Ma ve l’ho detto che tartaglia? Ci mette mezz’ora a dirmi una battuta cattiva su di me. Un po’ perché balbetta e un po’ perché ride in continuazione. Mi da così ai nervi che lo ammazzerei. Anzi sarà lui la mia prossima vittima. O meglio la prima visto che gli altri tentativi non sono andati come dovevano. Sfortuna perché le trappole hanno funzionato come previsto, solo sfortuna. Ma lui… lui pagherà per tutte le prese per i fondelli che ho subito. Ridi pure, stai per pagare e so già come.

SOLILOQUIO DEL TERZO TENTATIVO
“Ho studiato tutto: arrivo al lavoro, i movimenti, i tempi. Mario arriva al lavoro alle 6,30 e subito si dirige spogliatoio si toglie la giacca e entra nel suo w.c. personale, personale perché nessun altro ha il coraggio di usare dopo che c’è stato lui, e ci rimane dai 30 ai 40 minuti. Poi viene in magazzino e fa sempre lo stesso giro, finge di controllare e di mettere a posto per circa trenta 35 minuti, sparisce e ricompare alle 10,30 per la pausa, in cui fa colazione con quel beverone di un colore strano che realizza con polvere di liquirizia e acqua, almeno credo. Problemi di evacuazione forse. Ma questo non gli impedisce di scroccarmi sempre le cose. Ogni volta che mi vede masticare qualcosa mi chiede sempre cosa è e se ne ho per lui, e quando lo dice fa la faccia da cane bastonato e zoppica pure. E’ l’unico momento in cui lo fa, mai visto zoppicare in altre occasioni, anzi se gli serve corre come un disgraziato. Ma ho scoperto che soffre anche di cuore e quindi potrei fare in modo di dargli qualcosa aggravi la sua situazione e lo porti a lasciare la valle di lacrime. Potrei farmi vedere che mastico sempre le gomme senza zucchero, queste tipo confetto che fanno pure bene ai denti. Per lui è un’esca irresistibile, sicuramente me la chiederà ed io avrò preparato un altro pacchetto da cui farò in modo che lui scelga quella la gomma “trattata”. Pacchetti uguali ma con una tacca che posso avvertire al semplice tocco, così quando lui me la chiederà davanti agli altri io infilerò la mano in tasca e prenderò l’altro pacchetto, lui prenderà quella preparata e ….alè, la missione sarà compiuta.

Ho scelto queste che danno pure l’alito profumato, le mastico tutto il giorno tanto che il capo ormai mi chiama “il ruminante”. Sono due giorni e ancora non me ne ha chiesta una! Che stia male? Eppure le sue abitudini sono invariate. Colazione alla stessa ora, con lo stesso beverone. Forse dovrei metterlo lì, il veleno anche se, con quel colore che esce fuori quando lo prepara chissà che c’è dentro. Magari basta concentrarmi e sperare che gli ingredienti facciano effetto, così è suicidio però, e come serialkiller farei una figura del cacchio. Stamattina rispetta i tempi in modo perfetto: 30 minuti di bagno, 30 minuti di finto lavoro e ora è sparito, ricomparirà tra 3 minuti, alle 10,30, per prepararsi il beverone. E quindi ho fatto bene oggi a portarmi la boccetta del veleno per mischiarlo agli ingredienti che usa. Almeno la pianterò di masticare le gomme del pacchetto buono. Anzi dei pacchetti buoni visto che ne ho consumato almeno 3 in 2 giorni, sempre attento a non prenderlo dal pacchetto “trattato” che invece sta qui nella tasca ancora integro. Eccolo qui in tasca lo sento. Mah? Cacchio è aperto?.. come è possibile? .. cazzo stamattina ho comprato uno nuovo che ho appena aperto, oh no! È questo quello con la tacca, allora … ho in bocca la gomma “trattata” … ma allora… mi sono avvelenato! ….oddio mi.. sento male… aiuto … mi … sento….

TERZO PRONTO SOCCORSO SCENA FINALE
“ di nuovo qui allora”
“aiuto, mi sono avvelenato…aiuto..”
“ti ricordi di me? Ci vediamo spesso ultimamente”
“si sei l’infermiera Giovanna ma io sto morendo…”
“stai calmo ti stiamo controllando. Sei arrivato qui svenuto con la bava alla bocca e ti ha portato il tuo collega, quello che tartaglia. Ma sta sempre a mastica gomme quello? ora faremo una bella la lavanda gastrica, ti infilerò questo bel tubicino giù per la gola e ti daremo una bella pulita alla tua pancia e tutto quello che c’è dentro verrà fuori e non ti farà male. Capito?”
“si,..cioè, ma..”
“ buono, ci penso io”
“urgh…”

“bravo, sei stato molto. Non ti lamenti mai, veramente dai soddisfazione ad una come me che ci mette passione in quello che fa”
“ grazie, Giovanna, posso …posso chiamarti così?”
“certo, puoi chiamarmi Giovanna quando parliamo da amici, ma quando sono nell’adempimento delle mie funzioni chiamami signora Giovanna, serve rispettare i ruoli”
“ah,..va bene, signora Giovanna”
“Bravo. Ed ora per stare sicuri, per essere certi che non ci sai più niente nel pancino ti farò un bel clistere”
“ eh, ma…”
“chiudo la porta a chiave non ti preoccupare. Non entrerà nessuno”
“ ah… eh si cioè… meglio”
“ Bravo piccolino che non si ribella. Ho capito sai, non c’è più bisogno che fingi con me. Anche tu hai capito per questo contini a farti male.”
“ come … cosa hai capito tu e … cosa avrei capito io?”
“che ti sei innamorato di me, piccolino. Ma non c’è più bisogno che ti inventi queste scuse, io ti ho capito, ti guardo negli occhi e so cosa vuoi da me”
“ oh, si, cioè, io ti ho pensato spesso, dalla prima volta che ti ho incontrata qui al pronto soccorso..”
“e ho capito subito che eri diverso da tutti gli altri. E me lo hai dimostrato assecondandomi sempre senza ribellarti, non come hanno fatto tutti gli altri finora che non sapevano accettare me e il loro ruolo”
“si io voglio assecondare tutti i tuoi desideri, tutte le tue aspirazioni e inol..”
“ e poi mi hai dimostrato di saper soffrire”
“eh si, il rapporto sano come dicevamo l‘altra volta lo richiede”
“rapporto sano, si è vero, anche se non secondo i canoni comuni, ma in realtà il nostro sarà più naturale degli altri”
“naturale…cioè ho capito bene tu ed io insieme , cioè tipo innamorati”
“più che innamorati, piccolino, noi ci combiniamo perfettamente, siamo concavi e convessi, la mia deviazione, la presunta deviazione secondo i canoni ufficiali della normalità, è compensata, anzi, è perfettamente armonizzata dalla tua”
“cioè…tu credi che noi siamo fatti l’uno per l’altra?”
“si, amore mio. Nessuno finora mi aveva accettata per quella che sono. Chiunque mi è stato vicino è fuggito, anche chi aveva provato pur conoscendomi non ha resistito molto, forse pensava, sperava di cambiarmi”
“io non desidererò mai cambiarti”
“lo vedo nei tuoi occhi, mio docile tesoro”
“ma …come hai fatto a diventare così come sei?”
“chissà, forse perché nessuno mi ha mai voluto veramente bene”
“io ti amo e ti vorrò sempre tanto, tanto, tanto bene”
“anche io ti amo, piccolino, e ti farò sempre tanto, tanto, tanto male”

martedì 5 maggio 2009

NEMESI ATIPICA (the director's cut) - parte 2

SECONDO SOLILOQUIO INTRODUTTIVO
..pausa, finalmente. Una settimana che sono rientrato al lavoro e già non ce la faccio più. Non so’ fatto per il lavoro fisico io, e invece qua me tocca usa tutto meno che il cervello.
Una settimana e la ragioniera mi avrà rivolto si e no 10 parole: tutti ordini.
A parte un “bentornato” detto così strascicato e lungo che nel frattempo io le ho detto buongiorno, mi sono tolto il cappotto, soffiato il naso e le ho detto grazie. Forse c’era una leggera nota di sarcasmo perché ha fatto subito la faccia storta che fa sempre quando le parlo.
Neanche una volta che mi abbia chiesto come sto. Ho fatto 3 giorni di ospedale per riprendermi dal semiassideramento. Tre giorni con quell’infermiera che si prendeva cura di me. Bellina, un po’ rotondetta mi pare, bionda e ‘sti due occhi che mi fissavano e mi fissavano ogni volta che mi parlava. Mi metteva un po’ in soggezione veramente. Anche perché ogni volta che mi parlava sembrava mi desse degli ordini. Però lo faceva per il mio bene, m’ha fatto un sacco di quelle fiale che facevano un male cane, ma non le dicevo niente. Mi curava. Che vuoi che sia un po’ di dolore. Mica tanto poco però. Io, però, non dicevo niente. Anche perché mi fissava con quello sguardo appuntito…mi ricorda la maestra delle elementari che ogni tanto mentre spiegava si interrompeva all’improvviso e mi fissava così come se aspettasse solo un pretesto per mettermi in punizione.
La ragioniera invece non mi calcola proprio. Guardala ‘sta stronza. Secca come un chiodo. Vabbè però le tette ce l’ha e neanche piccole. Vuoi vede che ha ragione Mario che si è rifatta tutta. Co ‘sti vestiti stretti pe’ fa vede che pure se c’ha l’età sua è sempre soda. Palestra, ci vuole far credere. Mario ha detto che una volta ha visto dentro la borsa quello che si porta. Stai a rota de clisteri, bella. Perché saresti pure bella se non avessi trattato così il tuo corpo. Il tuo corpo è un tempio, lo diceva il mio maestro di shiatsu. Anche se poi lo beccavo che fumava in ascensore e con un peroncino in mano. Però lei ha proprio alterato il suo corpo. La sua faccia con quelle labbra rifatte e quei zigomi imbottiti di botulino o che schifezza è quella che usano. Tutto per diventare una icona di questa società dell’apparenza. Niente è più naturale nemmeno i nostri corpi lo devono essere: è questo che ci impongono. Snaturarci per non riconoscerci più.
Ma io non mi farò imporre questa filosofia malefica, mi ribello a questo omologazione di bellezza artefatta e pure irraggiungibile. Tu, stupida, hai deciso di diventare un clone di modelli televisivi violentando così il tuo corpo. È giusto che la punizione ti colpisca e attraverso te si riverberi in tutte la copie che tu rappresenti e raggiunga il modello originale, motore di tutta questa follia. E io sarò il mezzo attraverso il quale la punizione si compierà

SOLILOQUIO DEL SECONDO TENTATIVO
“Ho studiato tutto: arrivo al lavoro, i movimenti, i tempi. La ragioniera arriva al lavoro alle 8 e trenta e subito si dirige alle scale in ferro e entra nel suo ufficio in quel box metallico che domina tutto il magazzino. Alle 10 e 30 esce dall’ufficio scende i 18 scalini della scala in ferro e va al bar”ciccia” di fronte per fare colazione: cornetto integrale al miele e cappuccino. Torna al magazzino sale le scale in ferro e torna nel suo ufficio e ricomincia il lavoro. Le scale in ferro sono il punto adatto: per tutti sarà un incidente. Ho studiato il suo modo di scendere, è sempre di corsa e sempre a mettere o cercare cose nella borsa o a parlare al cellulare. Non afferra mai il corrimano, mica è una vecchietta coi dolori articolari, fa palestra lei. Basterà fare in modo che inciampi, una caduta con 18 scalini da ruzzolare. Il mezzo: un filo di nylon teso che sarà invisibile con la luce scarsa che c’è qui dentro. Quello da pesca andrà benissimo, teso ad una altezza di 20-30centimetri in modo che ostacoli il piede al momento dello stacco dal gradino, con il corpo sbilanciato. A quel punto lei avrà le mani occupate come al solito e non riuscirà a frenare la caduta. Perfetto.
Sistemerò il filo prima del suo arrivo assicurando un capo sotto la scala a ridosso del muro; poi lo farò salire sulla scala, girandolo intorno alla prima barra trasversale che è alla giusta altezza, poi lo abbasserò in modo da scomparire sotto il bordo del gradino, lo farò risalire sulla barra trasversale dal lato opposto e poi scendere verso terra. Sistemerò sotto la scala così che l’altro capo sia nascosto da una pila di scatoloni e qualche minuto prima che lei scenda applicherò un peso al filo in modo che rimanga teso con la giusta tensione. Dopo staccherò il peso e tirerò il filo dall’altra parte, scioglierò l’altro capo, faccio sparire il tutto et voilà il gioco è fatto.

Tutto pronto, il capo è fuori e Mario è nel bagno dello spogliatoio per la solita seduta di almeno mezz’ora. Alle 10 e 30 anche loro saranno qui e quindi ora è il momento giusto per attuare il piano. Il filo da pesca l’ho acquistato ieri in un negozio dall’altra parte della città. Forse non dovevo dare tutte quelle spiegazioni al commesso quando ho chiesto la resistenza del filo, Che ti frega che ci devo fare io con il filo da pesca anche se non ti sembro un pescatore, e se le serve per una canna da lancio, e se pesca dalla barca, e se usa il piombo, e quanto la fanno lunga per un filo di nylon, ma che tipo ma stai al tuo posto, sei commesso?. Vabbè dai, veloce ed efficace come un commando, dai su lega il filo, bene e ora tiriamolo sulla scala, cazz…che casino! Niente Mario sta di là e il capo è in giro. Sali sulle scale, piano non fare rumore, bene il filo intorno alla barra trasversale,… poi in basso sotto il bordo dello scalino, così ben nascosto, poi sale,..ecco …sull’altra barra, …e ora giù, … bene e ora indifferenza e al lavoro

E’ quasi l’ora…la ragioniera è in ufficio davanti al pc, operazione zavorra via, ecco il filo ci annodo questo pacco da 5 kg, controllato con bilancia pesa persona di mia madre, e vai ..eh …come mai?… qualcosa non va, avevo calcolato che doveva allungarsi di circa cm 50 invece non si è quasi mosso, eppure è teso, a meno che … cazzo!, si è incastrato sotto il gradino, e ora? Che faccio? Non posso lasciarlo lì devo sganciarlo o togliere tutto…devo comunque salire sulle scale, però sono le 10 e20 , è una azione temeraria: Salgo! piano, ecco sono quasi al filo, però devo rimanere accovacciato per non farmi vedere che la porta dell’ufficio è a vetri per la metà superiore, ecco dove è bloccato. Si! ci sono riuscito, bene, adesso si tende come previsto, posso tornare giù ma prima controllo che fa la ragioniera, ah è davanti al pc che lavora. Lavora? Scrive una mail, chissà a chi, se alzo un po’ la testa riesco anche a leggere, ma è una poesia, dai, scrive una poesia
“…la mia lingua scorre
il tuo collo inarcato
si insinua fremente
nella valle dei seni
li sale ad assaporare
il gusto dei capezzoli eretti
per poi ridiscendere
verso l’orlo dell’ombelico
dove s’avvita a spirale
e mentre riprende il percorso
e le mani mie ti afferrano i fianchi
le tue cosce si schiudono
ad offrirmi lo spettacolo
magico e meraviglioso
di sua maestà la fica”
….cazz…ma allora ..lei è una di quelle…cioè no, di quell’altre ..ma allora non è …oh preme “invia”… e adesso spegne il pc cazzo! mi devo levare di qua veloc…porca puttana il fil... Ah.., cazz…acc …mado... ork … … ahio!

SECONDO PRONTO SOCCORSO
“ahia…ahia”
“buono e tranquillo, sei di nuovo al pronto soccorso. Stavolta qualche contusioni ed abrasioni”
“..come dice…”
“non ti ricordi di me, allora”
“ si, certo…ahia…lei è l’infermiera dell’altra volta, come sta?”
“meglio di te, sicuramente. Ti sto applicando le cure del caso se vuoi saperlo, con tintura di iodio sulle abrasioni”
“Ahi.. ma mi sono rotto tutto? Ho tutte ‘ste fasciature addosso che..”
“le ho fatte io. Zitto ora”
“ahia, ma che cac..”
“prego?”
“..eh..no cioè… scusi…e che brucia”
“se brucia è perché sta facendo effetto. Ora stai fermo qui che c’è il medico che mi chiama nell’altra stanza. Controlla le tue lastre. Fermo qui e non ti muovere”
”..va bene…anche perché così fasciato proprio non potrei. Ecco mi ha lasciato solo, fasciato con le braccia dietro la schiena, e le gambe strette che possono muoverle solo insieme e a malapena. Vabbè comunque si prende cura di me e ci tiene, ha consumato una bottiglia intera di quel prodotto sulle mie ferite, bruciava da pazzi ma non ho avuto il coraggio di dirglielo. Però che fortuna a incontrarla di nuovo. eccola”
“stronzo!”
“ma io non ho detto niente”
“ce l’ho col dottore”
“ah scusi, che ha detto?”
“non capisce niente come tutti gli uomini. Stai buono adesso che ti devo togliere le bende, cosi poi sarai libero di andare in giro a farti male da solo”
“ non servono allora..”
“non servono secondo quel cretino di un medico”
“non è bravo?”
“ è un maschio e quindi un coglione per definizione”
“scusi ma che vuol dire? secondo lei tutti i maschi sono coglioni anche suo marit…”
“non sono sposata”
“..ah cioè volevo dire il suo fidanz...”
“non sono fidanzata”
“ah no, strano una bella ragazza come l…”
“lo vedi che siete tutti dei coglioni!”
“..ma io … non volevo offenderla, solo che volevo dire che magari qualcuno diverso ci sarà pure, ahia, può fare un po’ più piano? Dicevo qualcuno con una sensibilità più adatta alla sua, ahi, che…”
“gli uomini non capiscono una donna che non cerca protezione, ne hanno paura, non hanno sufficiente intelligenza e fantasia per uscire dagli schemi mentali da trogloditi che governano le loro menti. Una donna che prende l’iniziativa li disorienta, una donna che sa quello che vuole e per ottenerlo è disposta ad imporsi se necessario li terrorizza. Vogliono avere loro la guida anche se non sanno dove andare, io invece conosco i miei obiettivi e questo li fa sentire inferiori. Hai capito ora?”
“…si, signora…ahi, cioè…possibile che nessuno abbia mai provato a stare con lei ...ahi ...senza cercare di imporsi… alla pari…”
“ ci provano, cosa credi, ma appena capiscono cosa voglio scappano, hanno paura gli idioti. E quindi adesso rivestiti e vattene pure tu”
“mi dimette…”
“è il medico che ti dimette, piccolino. Fosse per me ti curerei ancora, come dico io però”
“beh, allora grazie. Mi è piaciuto essere curato da lei...”
“Giovanna”
“..signora Giovanna”
“Giovanna”
“ si, … Giovanna, bene…e comunque esistono anche uomini che non sarebbero terrorizzati o disorientati da una donna che prende l’iniziativa come ha detto lei, cioè … come hai detto tu, Giovanna, e che accetterebbero ogni tanto anche di farsi guidare, Giovanna e che…”
“ e che non avrebbero paura di soffrire?”
“ ..beh, certo in un rapporto a due c’è bisogno anche di saper soffrire”
“e che saprebbero assecondare tutte le aspirazioni di una donna forte?”
“certo, Giovanna, la comprensione dei desideri dell’altro è alla base di un rapporto sano e..”
“tu credi eh?”
“si io credo che…”
“e allora… fila!”
“…”
“ho detto VAI!”
“…va bene, arrivederci, Gi…eh, scusi, signora Giovanna”