martedì 5 marzo 2013

otto marzo

http://www.regione.lazio.it/musei/anzio/argomento1.php?id=167&vms=53&page=1


foto di Giò Marino


"...
In fondo al rettilineo appare la ciambella vetrosa del palazzetto dello sport dell’Eur. Fine del viaggio o quasi. Nenè sente il bisogno di chiedere emergere impellente dentro di lei:
“Zia, ho bisogno di sapere di Diego”.
Angela contrae le labbra, guardando fisso davanti a sé.
Infila la testa nella borsa, rovistando rumorosamente. Finalmente riemerge.
“Voglio sapere di lui”.
“E di tua madre invece?”.
Adesso è Nenè che cambia espressione, crucciandosi.
“Non vuoi mai parlare di lei”.
“No, lo sai bene”.
“Lo so bene, hai ragione”.
“Mi devi spiegare di lui, invece”.
“Non saprei cosa dirti, cara Nenè”.
Rimane solo il rumore ottuso del motore, mentre l’auto si approssima al grande incrocio segnalato da una fila di semafori tutti rossi.
“Lei lo odia” si ritrova a pensare Nenè, mentre le sue mani stringono il volante e la tensione nelle dita le fa tremare i polsi. Fino a poco tempo prima, mai aveva osato esplicitare tale pensiero nella sua mente, sebbene da sempre avesse covato dentro di sé l’idea che la zia Angela provasse avversione nei confronti di suo padre. Ogni volta che lo aveva nominato davanti a lei, Angela, dopo aver contratto il viso in una smorfia indecifrabile, aveva sempre cercato di sviare il discorso, mai una risposta precisa, mai un’informazione certa. Non sapeva mai nulla di lui, dove fosse, cosa facesse, e neanche cercava di saperlo. Sembrava, viceversa, che cercasse di ignorarne l’esistenza. Invece, per Nenè suo padre era tutto. Un giorno sarebbe tornato da lei e per lei. E sarebbero andati via insieme.
“Tu lo odi?” più volte avrebbe voluto chiedere alla zia da un po’ di tempo a questa parte, ma non c’era mai stata l’occasione o la volontà, meglio il coraggio di affrontare il discorso. Per paura che tutto potesse spezzarsi, che tutto il castello di carte che era la sua vita, che con tanta cura aveva costruito intorno a sé per attendere al sicuro, potesse essere improvvisamente spazzato via.
Ma oggi è diverso. Diego, suo padre, sta tornando, anche se, per ora, nessuno deve saperlo.
Allora ora è il momento, che tutto si spezzi se è questo che deve accadere, Nenè vuole sapere:
“Tu lo odi! Odi mio padre!”.
Il tono non chiede conferme o repliche, dal sedile posteriore non viene alcuna risposta. Nenè rimane in attesa. E’ sorpresa lei per prima del tono perentorio che ha usato. Il suo corpo è teso, contratto, aggrappato al volante. E’ pronta a qualsiasi reazione, urla scandalizzate, pianti a dirotto, offese veementi. Invece…
Ancora nulla arriva dal sedile posteriore. Il cane, intanto, continua a dormire acciambellato sul sedile a fianco al posto di guida. Il silenzio è innaturale, riempito solo dal rumore monotono del motore imballato dell’auto ferma al semaforo.
Nenè alza lentamente lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, si erge leggermente spostandosi verso destra in modo da inquadrare il viso della zia.
Finché la vede, come non l’aveva mai vista prima. Un raggio di sole, penetrando dal finestrino alla sinistra, le illumina il viso con una luce calda, donandole una bellezza diversa. Immobile, ruotato verso sinistra, con la sigaretta, spenta e dolente, tenuta tra le labbra chiuse come a dare un casto bacio di saluto. Gli occhi, impreziositi dalla luce, che vi penetra dentro con irruenza impudica, brillano di una malinconia profonda. Guardano lontano evocando ricordi, pensieri, sensazioni, forse.
Poi lo sguardo di Angela si indurisce, così come le labbra. Diventano pietra, e la pietra non parla. Nenè capisce che non saprà nulla.
E’ la visione di una dea esotica, impenetrabile nel suo mistero, che i colori accesi delle vesti non alleggeriscono, ma avvolgono e celebrano una maestosità che nasconde, non rivela. Sfidarla è stata un’empietà, si ritrova a pensare Nenè, subito scuote la testa, rimproverandosi questo riflesso da superstizioso ottuso, indegno per una mente razionale come la sua. Ma anche lei si richiude nel silenzio.
E rimangono in silenzio fino a che la voce della zia, perentoria, ordina:
“Fermati qui, prendo la metro”
... "
(estratto dal nuovo romanzo)

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