giovedì 25 agosto 2011

NON SO SE SOPRAVVIVERÒ A QUESTA VITA - cronaca 10 (reloaded)

Lo spogliatoio è interamente rivestito di maioliche bianche, anche sul soffitto, ed illuminato da una luce diffusa che non riesco a capire da dove arrivi. Ognuno sulla propria panca, ci prepariamo. Marinetti in silenzio, dardeggiando occhiate severe e concentrate tutto intorno, indossa calzettoni con la giarrettiera, mentre il marchese La Fayette estrae una testa di legno su cui ripone con cura la parrucca incipriata. In un angolo una montagna di muscoli ripiegata su se stessa cerca la concentrazione mugugnando preghiere. Questa visione di Sparacus dovrebbe suggerirmi un vulcano in eruzione, mi sembra piuttosto una pignatta di fagioli sul fuoco. Inutile negare, sono perplesso.

Faust indossa il perizoma leopardato – incredibile! Ce l’ha davvero. Devo chiedergli se suona la batteria – esponendo a voce alta le sue elucubrazioni tecnico-tattiche. Per me poche indicazioni, una su tutte, se ho la palla lanciarla a sinistra sulla fascia di Marinetti. Come si sente nominare Filippo Tommaso si gira verso di me lanciando il suo grido di guerra: SDENG ZAFF BANG! Ma contro chi giochiamo? Faust fa un gesto di sufficienza, l’A.S. Margaritas ante porcos, buone individualità ma scarso gioco di squadra. Sembra davvero fiducioso. Indossiamo le nostre divise bianche con bordi blu oltremare, ma mi colpisce che sono molto larghe, almeno tre taglie in più.

Scendiamo in campo, coperto da un manto erboso perfetto e circondato da tribune che a prima vista mi paiono infinite. Non scherzava Faust, davvero ci vengono tutti a vedere queste partite. L’altra squadra è già in campo, completo verde con scritte e numeri dorati, anche loro almeno tre taglie in più. Il capitano ha sulle spalle scritta il nome: Remirro de Orco – Chi è costui? – mentre riconosco i fratelli Santoanastasi, coppia difensiva, Ugo Foscolo credo sia la punta avanzata e in porta William Shakespeare. Arbitra Pedro Almodovar in giarrettiera di pizzo.

Comincia la partita e io mi ritrovo con gli occhi sbarrati: i giocatori si muovono lentamente danzando con leggiadria. Piroettando sulle punte Remirro De Orco, gestisce la palla e la appoggia ad uno dei Santoanastasi, Marzio credo, che con gesto teatrale la passa al portiere. Il pubblico applaude ad ogni coreografia e la partita prosegue con giocatori più intenti alle evoluzioni aggraziate che a finalizzare il gioco cercando il tiro in porta. Ad ogni occasionale contatto è tutto uno “Scusi, non volevo” oppure ”Prego, è colpa mia”.

Cerco di adattarmi muovendomi a passo di danza ma quando mi capita la palla tra i piedi al centro del campo e, alla mia banale finta Remirro de Orco trova esteticamente piacevole cascarci in pieno lasciandomi libera la strada verso la porta avversaria, l’istinto prende il sopravvento. Non si giocano centinaia di partite in mezzo alla strada, quasi tutte ad una porta sola e “ogni tre calci d’angolo è rigore” senza che questo non ti segni indelebilmente per tutta la vita e pure oltre.

I Santoanastasi si muovono all’unisono per contrastarmi, ma arrivandomi davanti contemporaneamente, decidono di abbracciarsi per improvvisare due passi di tango insieme. L’applauso è assicurato ma io, che ho continuato la corsa dietro la palla, mi ritrovo da solo davanti la porta e tiro. Il portiere, Shakespeare è intento a monologare verso il pubblico e il pallone finisce in rete. Goal!

Vado con tutto il repertorio delle esultanze, salto piroettando con il pugno in alto, poi la maglia sulla testa, linguaccia, aeroplanino, cullo il bambino, breakdance, ecc. Sto per cominciare le esultanze collettive, ma mi accorgo che compagni e avversari mi guardano stupiti e imbarazzati.

Torno nella mia metacampo guardando interrogativo Faust che mi risponde con una serie di gesti ininterpretabili. Remirro de Orco intanto pone la palla al centro, alza le mani e annuncia solenne:

“No Fair Play Time”.

Una schiera di angeli volanti atterra e divisi in squadre di tre ci spogliano ci dotano di elementi di protezione e caschi e ci rivestono. Quando termina la vestizione sembriamo pronti per una partita di football americano, ora la divisa calza giusta.

Più stupito di prima guardo Faust che, ancora gesticolando, mi fa capire che è tutto a posto. Sarà, ma ho i miei dubbi e il ruggito con cui l’intera squadra dell’A.S. Margaritas si scaglia contro di noi me li conferma tutti. Adesso si muovono con veemenza frenetica. Entrata feroce di Gippo Santoanastasi su Marinetti scatenato sulla fascia che, cascando, scava un solco. Scambio col fratello per evitare Spartacus che, in effetti, manca la palla ma centra in pieno l’avversario scaraventandolo in alto. Gippo si alza in volo per quattro, cinque metri agitando freneticamente gambe e braccia, dopodiché ricade pesantemente sopra Martinetti che si stava rialzando.

Contrasto violento tra Ugo Foscolo e LaFayette, le scintille provocate dallo sfregare delle armature protettive bruciacchiano le loro divise mentre rotolano a terra, io controllo la palla, pronto a calciare, ma Remirro mi sbatte spalle a terra e, finendomi sopra, faccia a faccia, ne approfitta per ringhiarmi sul viso lasciando colare una bava di saliva che potrebbe annegare un animale di taglia media. Una pallonata tremenda lo prende in faccia salvandomi.

Il pubblico in delirio sostiene Martinetti che scatta di nuovo sulla fascia, evita questa volta l’entrata assassina di Gippo e crossa al centro. Groviglio di corpi, risolve Spartacus che trascina tutto il gruppo di peso in fondo alla rete: 2 a 0.

Corro ad abbracciare il goleador, faccio appena in tempo a toccarlo che tutto il resto della squadra, compreso Faust, ci piomba addosso. Poi non ricordo nulla.

Mi sveglio negli spogliatoi dopo chissà quanto tempo. Moana Pozzi vestita da infermiera mi sta rimboccando le coperte. La guardo e mi sorride.

“Sono in paradiso?”

“Si”

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