venerdì 24 aprile 2009

EFFETTO DOMINO


L’appuntamento era dietro casa subito dopo mangiato. Mario arrivò 10 minuti dopo di me. “Ma che ti sei portato appresso a tua sorella?”
Prima di rispondere serrò le labbra gonfiando la bocca come faceva ogni volta che si sentiva in difetto. “I miei non vogliono che resti sola, che combina un sacco di guai”
“e che guai può fare una bambina di 10 anni?”
“pensa che la settimana scorsa ha preso tutte le medicine dall’armadietto del bagno, le ha pestate tutte insieme e le ha fatte mangiare al cane dei vicini. Quelli si sono incazzati con i miei”
“ma mica possiamo fare la missione con lei appresso”
“tanto questa non parla quasi mai e poi magari ci aiuta”
“Ma se è una femmina di 10 anni”
“Pure tu hai 10 anni”
“si ma io sono maschio. Uffà, vabbè andiamo, però se la missione fallisce è tutta colpa tua”
Volevamo introdurci nella “casa”, un edificio abbandonato ad un piano circondato da un muro scrostato e semidirupato. Passammo da una breccia sul lato opposto alla via principale e attraversammo il giardino incolto che sembrava la jungla di sandokan vista in tv la sera prima. Io aprivo la pista spostando i rami e nel farlo mi accorgevo del tremore delle mie mani. Volgendomi indietro incontravo il volto pallidissimo da Mario quasi incollato alla mia schiena. La sorella ci seguiva più distaccata, con aria assente, ma certo a lei non tornavano in mente tutte le storie che gli altri ragazzini ci avevano raccontato sulla “casa”, non solo diavoli, streghe, fantasmi, ma soprattutto vampiri. La missione era appunto trovare la coppa d'oro nascosta là dentro che, secondo quel ciccione di Saverio, raccoglieva i denti da latte che i vampiri cambiavano diventando grandi. Chi li trovava poteva diventare invisibile, diceva Saverio, Mario invece diceva che facevano volare chi se li metteva in tasca. Saverio si mise a canzonarci, e quindi partì la sfida e la nostra missione.
Le porte e le finestre erano tutte sbarrate, girando intorno notai che sotto il terrazzino di ingresso, sul cui parapetto erano allineati una seria pieno di vasi di coccio pieni di scheletri vegetali, c'era una finestrella semiaperta. “Da lì” sussurrai a Mario, lui annuì e mi spinse avanti. Mi introdussi a fatica tanto era stretta l’apertura., il posto era buio e con quell’odore di umido e di polvere che ti riempe subito naso e gola. Mi mossi verso la porta semiaperta , mentre Mario cercava di entrare come avevo appena fatto io, bisbigliando qualcosa alla sorella che come al solito non rispondeva. Urtai qualcosa che, con effetto domino, fece crollare una serie di ombre nere causando un fracasso terribile. Mi bloccai e, quando sentii una voce cavernosa sbraitare da dietro la porta che stavo per raggiungere, mi si gelò il sangue. In preda al panico mi precipitai verso la finestra. Mario era già schizzato chissà dove e io mi arrampicai su oggetti marci e pieni di ragnatele cercando di uscire e intanto sentivo che qualcuno o qualcosa era entrato nella stanza ruggendo. Ero quasi completamente all’aperto e mi accingevo a correre quando mi sentii afferrare per una caviglia. Non ebbi il coraggio di guardare indietro, cercai di scalciare ma inutilmente, mi sentivo tirare verso quella voce che rideva e bestemmiava. Le porte dell’inferno sembravano essersi spalancate, i capelli dritti in testa per il terrore volevano bucarmi il cranio, le mie mani disperate cercavano di afferrarsi all’erba che si strappava facilmente, quando un rumore secco de improvviso spezzò quella risata demoniaca , la presa sulla mia caviglia si allentò. Non riuscii a muovermi per chissà quanto poi sentii di dovermi girare e vidi la testa dell’uomo schiacciata da un pesante vaso di coccio. Alzai lo sguardo lentamente scorrendo il muro centimetro dopo centimetro fino al bordo del parapetto del terrazzino, da cui mancava uno dei vasi. Al suo posto vedevo le spalle e la testa della sorella di Mario con uno sguardo che non ho mai saputo definire.
Da allora stiamo insieme, prima amici poi fidanzati e presto ci sposeremo. Lo ha deciso lei, come sempre, e quando io, come sempre, ho cercato di obiettare mi ha fissato negli occhi ed io, come al solito, ho rivisto lo stesso sguardo che aveva su quel terrazzino tanti anni fa.
E allora, come al solito, lascio che sia lei a decidere.

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